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Lo sguardo ostinato

Il caso di Sugar Man, ancora in sala a 22 settimane dall'uscita.
di Dario Zonta

In foto Sixto Rodriguez.

martedì 12 novembre 2013 - Focus

Chi ricorda cosa è successo lo scorso 10 giugno? Poche cose certe: era praticamente estate, il sole sorgeva alle 5:35 e tramontava alle 20:47, la luna nuova era visibile al 2 per cento, quasi un filo di niente. La temperatura sotto la media stagionale. Era un lunedì, questo sì...

In un giorno non consono per le uscite cinematografiche, se non per quegli eventi unici giocati su di una sola data, s'affacciava in qualche sala un film documentario dal titolo promettente: Sugar Man. Sì forse era proprio così, un evento unico, come per i film-concerto di grandi band che hanno fatto la storia del rock e del pop (quest'anno ce ne sono stati a bizzeffe). E sì che Sugar Man è proprio un documentario "musicale" sulla figura misteriosa di un singer di origine messicana, naturalizzato americano, sconosciuto a tutti, ma un mito per i cittadini di Cape Town negli anni dell'apartheid.

Sono passate 22 settimane dal 10 giugno e davvero molte ma molte cose sono accadute, eppure Sugar Man è ancora lì, ancora in sala. Ma non come è accaduto e sta accadendo per altre pellicole, come ad esempio La grande bellezza, di cui ancora circolano delle copie in chissà quale sparuta città di provincia. No, Sugar Man con le sue piccole ma solidissime quattro copie ha garantito una miracolosa tenuta in alcune città capozona segnando un incasso crescente, frutto di un passaparola di sicura fortuna.

La settimana scorsa chi qui vi scrive ha visto il film a Roma proiettato non in una sala qualsiasi, ma al Nuovo Sacher di Nanni Moretti. Era martedì, lo spettacolo quello delle 20.30, quaranta spettatori almeno, forse di più. Alla fine, uno di questi, sulla coda dei titoli, ha sussurrato al suo compagno di visione, "lo rivedrei subito un'altra volta". Nessuno voleva andarsene, testimoni commossi di una storia straordinaria, incredibile se non fosse documentaria e documentata.

Per vizio professionale all'uscita notiamo la "strana" programmazione proposta quella settimana dalla Sacher: Anni felici di Daniele Luchetti relegato ai due spettacoli pomeridiani e Sugar Man, un misterioso documentario in lingua originale con interviste e ricostruzioni su di un fantomatico Bob Dylan messicano delle periferie industriali di Seattle, proposto negli spettacoli trainanti della prima e seconda serata. Cosa sta succedendo? Perché un film uscito il 10 giugno, 22 settimane fa, riesce a scalzare l'amico Luchetti in sala da sole 7 settimane con un film sulla Roma degli anni Settanta? Ogni film fa storia a sé, questo è certo, e Sugar Man, un vero e proprio caso cinematografico, e non solo in Italia, ha la forza di una storia straordinaria e incredibile che commuove e appassiona. Eppure abbiamo voglia di dire che qualcosa sta cambiando, o forse è già cambiato. Un certo spettatore cinematografico ci sta dicendo, certo molto timidamente, che è pronto a vivere il cinema come luogo di un'esperienza alternativa a quella esclusivamente finzionale. Non è una questione di linguaggi, sotto sotto lo sappiamo, ma sempre di emozioni e proiezioni. Ci sono altri film ora in giro per l'Italia che sono promessa di un'esperienza complessa e fortemente emozionale, alcuni sono film documentari (come The Act of Killing), altri sono "film a soggetto" (come lo straordinario La gabbia dorata di Diego Quemada-Diez, da vedere assolutamente). Sono esempi di grande cinema e la distinzione non serve a molto.

Da giovedì prossimo, Sugar Man passa da quattro a otto copie e verrà distribuito in altrettante città (Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Varese, Modena, Belluno). Cercatelo.

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