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Hemingway, perfetto per il cinema

Moriva cinquant'anni fa il grande scrittore americano.
di Pino Farinotti


domenica 3 luglio 2011 - Focus

Il 2 luglio del 1961 a Ketchum, nell'Idaho, moriva Ernest Hemingway, suicida. Aveva 63 anni. Depresso, quasi disperato, stanco e ormai senza vitalità, si sparò un colpo con un fucile da caccia. Per qualche tempo, non molto per la verità, si cercò di accreditare un incidente, ma Ernest era troppo esperto di armi, il grilletto non gli sarebbe mai sfuggito. Si era rifugiato in quella tranquilla contea di Blaine, con l'ultima moglie, per non essere disturbato. Quel finale era persino logico, Ernest, privo di forza, esausto nell'ispirazione, escluso dalle magnifiche azioni che erano la sua passione e identità: ma perché avrebbe dovuto vivere ancora?
Ernest aveva sempre avuto paura della fine, di quella fine. Suo padre, un medico sensibile, forse debole, dominato da una moglie non sensibile né debole, aveva posto fine alla propria vita allo stesso modo.
Se in una sintesi di icona, di memoria e di estetica, devi dare contorno a un'istantanea dello scrittore ideale, per lo meno dell'era moderna, a prendere forma sono il volto e il corpo, larghi, di Hemingway, con quella barba brizzolata, e gli occhi stretti e narranti. Tutti noi, che lo abbiamo letto e abbiamo per lo meno tentato, auspicato, un vita che non fosse così normale e statica, tutti noi siamo un po' Hemingway.
E lui non ha lesinato. Da quando aveva 18 anni era come se sapesse che sarebbe stato un modello da indicazioni. Andava a caccia nei boschi del Michigan, era amico degli indiani che ancora vivevano da quelle parti. Poco più che adolescente venne in Italia, in guerra. Fu ferito, ricoverato a Milano. E da lì cominciò a raccontare. Ernest evoca davvero molto, i posti della terra: le corride di Madrid, le fieste di Pamplona, la pesca di Cuba, Parigi e la cultura, la Costa Azzurra e l'alcol. Ha fatto tre guerre. Quanti, quanti racconti.

Lusinga
Era una grande lusinga per il cinema, e infatti il cinema lo privilegiò, anche se gli fece pagare prezzi molto alti. Tuttavia, per contrappasso, acquisì i suoi romanzi a prezzi alti, ma non altrettanto. Il cinema ha devastato Hemingway. Per una ragione molto semplice, la ragione è il cinema stesso, nella sua essenza e dunque non ne ha colpa. E' proprio un fatto di esistenza e di genetica, diverse. La letteratura vale per impegno&ricerca&cultura&verità, il cinema per spettacolo&trucco&divulgazione&lieto fine. Il nodo è quel "maledetto" happy end. Hemingway non è uno scrittore allegro, positivo e ottimista. Grande, estrema è la sofferenza dei suoi personaggi. E grande&estremo è l'equilibrio drammaturgico delle storie. Non è possibile che una vicenda di Hemingway abbia un fine lieto. Sta proprio, ribadisco, nella struttura, che è impietosa. Eppure il cinema attribuì il lieto fine a quelle storie. Una bestemmia narrativa che Ernest (mal) sopportava, addolcita solo dai milioni di dollari che le major gli dispensavano. E così Harry Morgan, il tragico proprietario di battello ferito a morte nel mare di Key Largo nel romanzo Avere, non avere, nel film relativo, nei panni di Humprey Bogart (dunque roba seria) se ne va per mano alla sua giovane innamorata Lauren Bacall. E lo scrittore Harry Street, protagonista di uno dei "49 racconti", Le nevi del Kilimangiaro, che nell'originale muore delirando per un'infezione, nel film con Gregory Peck guarisce felice, e sempre mano nella mano di Susan Haward.

Definizione
Quando è necessaria un'unica definizione, quasi sempre Hemingway è l'autore di Per chi suona la campana. Molti ritengono che sia quel titolo la migliore combinazione fra libro e film. Ma il rischio corso dal romanzo fu davvero grande. Hemingway venne a sapere che la Paramount cercava di salvare il protagonista Jordan (l'eroe che deve morire sul ponte per permettere ai suoi di salvarsi). Chiamò il suo agente e disse "se lo fanno, prendo il fucile, vado là e comincio a sparare". E così Gary Cooper muore, secondo copione, anzi, secondo libro, e non se ne va verso il tramonto violaceo con Ingrid Bergman, mano nella mano. Certo, va detto che poi quei film ci piacevano e molto, proprio per il lieto fine.
Ernest Hemingway è uno degli eroi che ci mancano ufficialmente. Non aggiungo altri nomi, che comunque non sono molti. Esempio, emulazione, segnale, incanto: Ernest aveva la grazia per trasmetterli. Milioni di vite "normali e statiche" hanno scovato qualcosa di utile e felice dai suoi romanzi e dalla sua vita. E' morto mezzo secolo fa. La sue indicazioni rimangono. La gente continua a estrarre i suoi libri dagli scaffali.

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