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Storia "poconormale" del cinema: puntata 104

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Russell Crowe (Russell Ira Crowe) (60 anni) 7 aprile 1964, Wellington (Nuova Zelanda) - Ariete. Interpreta Massimo Decimo Meridio nel film di Ridley Scott Il gladiatore.

venerdì 18 febbraio 2011 - Focus

Il sociale
Gli anni duemila sono un decennio minore. Lo sono fisiologicamente. Se fossi più perentorio, se stessi alla mia pura, istintiva, discrezionalità direi che è il decennio peggiore da quando il cinema esiste. Alludo soprattutto al cinema occidentale. Cioè al cinema guida del secolo scorso. È palpabile una evidente decadenza americana.
Come d'abitudine mi avvalgo di un riferimento che fa testo, il premio Oscar. Una breve analisi dei titoli vincitori dell'Oscar assoluto. Abbiamo, a partire dal 2000 appunto: American Beauty, Il Gladiatore, A Beautiful Mind, Chicago, Il signore degli anelli, Million Dollar Baby, Crash-Contatto fisico, The Departed, Non è un paese per vecchi, The Millionaire, The Hurt Locker. Niente di leggendario.

Ispirazione
A leggere storicamente questi titoli emergono minore energia e ispirazione di due (anzi tre) maestri come Scorsese e i Coen. "Departed" e "Non è un paese" sono certo buoni film, ma non sono opere da storia del cinema con un Toro scatenato o un Grande Lebowski. Il Gladiatore è un colosso gradevole, Crash un compitino corretto e dimenticabile. The Hurt Locker è un infelice paradigma. Non è un film da Oscar, ma era politicamente opportuno per dare al mondo una certa indicazione positiva sull'intervento degli americani in Iraq. Serviva a Obama. Il film della Bigelow è un modello perfetto di cinema al fianco della politica. Un'opzione che ha certo contribuito alla definizione che ho dato sopra del decennio. In questa epoca si sono consolidate alcune tendenze, che certo hanno gonfiato il botteghino, ma hanno penalizzato la qualità.

Mercato
Le stagioni riconfermano dunque l'attenzione al mercato, legittima, ma davvero aggressiva: il cinema ha voglia di incassi naturalmente, ma troppa. Ecco dunque il numero sproporzionato dei prodotti in quel senso, animazione, effetti speciali, 3D, appunto. Si tratta di un indirizzo quasi soffocante che va a chiudere altre strade. Ho già rilevato: "...Un segnale esatto e implacabile sta nel box office del 2010: primo Avatar (che è comunque un grande film in assoluto), secondo Alice in Wonderland, terzo L'era glaciale 3- L'alba dei dinosauri. Tutti fantasy&3D. Lo sforzo artistico, creativo in questo senso può essere inteso come una sorta di pigrizia, o di scarico di responsabilità dal pensiero e dai contenuti, dalla voglia di rappresentare il reale, così complesso e articolato, violento e infelice, con verità impossibili da districare. Così si arriva alla fantasy assordante e rutilante: "mi applico a quell'eccesso di spettacolo, non ho bisogno di stressarmi alla ricerca di grandi idee e incasso pure tanti soldi."

Lettura
Nella prefazione del "Farinotti" 2011, in una lettura dell'ultimo anno del decennio, citando alcune tendenze e alcuni titoli, mi sono reso conto che il 2010 rappresenta una sintesi finale quasi perfetta. Un'appendice completa di quelle dieci stagioni. Un titolo esemplare di qualità che potremmo chiamare tradizionale è Tra le nuvole.
"Un film che avrebbe tutto, indicazioni importanti e dolenti sul momento economico e anche morale dell'Occidente, tradotto da metafore efficaci, attori e regia impeccabili. È un prodotto americano perfetto, appunto, ma lo è troppo. Soffre di troppa forma ed eleganza, è patinato, come se i suoi modelli abitassero tutti nelle pagine di Vogue. Tutta questo fa davvero pensare a un limite raggiunto, a una temperatura ormai assestata, a una perfezione fredda, soprattutto a una mancanza di potenza. E infine all'assenza, decisiva, della passione. Che film fai, se non c'è passione e potenza? Tutte queste qualità stanno nella giovinezza e nell'energia che le appartiene. Voglio rifarmi a un'altra disciplina, la letteratura che, è notorio, arriva sempre prima del cinema. A metà degli anni Sessanta, con segnali striscianti della crisi della narrativa occidentale, prevalenza anglosassone, "esplose" la freschezza&potenza, e la giovinezza, di un García Marquez, colombiano, col suo Cent'anni di solitudine. Era un gettito di passione necessario. Una profezia, un inizio e un'indicazione che fu raccolta. Dico che in questa stagione questo strisciante, certo parziale, passaggio di consegna e di cultura avviene da una grande potenza del cinema, anzi la più grande, ad altre culture, più fresche e passionali, appunto. Faccio due titoli, da quattro stelle, che sono emblematici: Il segreto dei suoi occhi di Campanella, argentino. Produco uno stralcio dalla scheda del dizionario, firmata da Nicoletta Dose: "Il film di Juan José Campanella è un thriller dalle implicazioni legali, ma è anche un'opera sentimentale sull'amore impossibile, oltre che una storia politica di denuncia morale. Gli avvenimenti mettono a fuoco un particolare momento storico (la dittatura militarista argentina tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta) ma, nell'operazione, si inserisce anche la volontà di rappresentare una storia piccola, tenuta in piedi da pochi personaggi, per riflettere sul comportamento umano universale. Questo equilibrio tra privato e pubblico è la forza del film."
Il secondo titolo è Il concerto, di Mihaileanu, rumeno. Trattasi di vicenda grottesca e felice, sorridente, ma capace di indicazioni profonde rispetto a dove va il mondo in questa epoca. Qualcuno ha evocato Billy Wilder. Perché no? Identifico i titoli col loro regista, non coi paesi produttori.

Tutto questo accadeva negli anni zero. Adesso siamo al primo degli anni dieci. Non resta che aspettare.

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