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Storia "poconormale" del cinema: puntata 92

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Vittorio De Sica 7 luglio 1901, Sora (Italia) - 13 Novembre 1974, Neuilly-sur-Seine (Francia).

venerdì 26 novembre 2010 - Focus

Il sociale
Quel primo dopoguerra ha certamente un eroe, assoluto, Vittorio De Sica. Ed è limitativo definirlo "eroe del cinema". In quegli stessi anni un altro autore, Cesare Pavese, scrive i suoi due romanzi dominanti, La casa in collina e La luna e i falò. È legittimo dire che i loro percorsi artistici non sono lontani, anche i contenuti dello scrittore piemontese presentano modi realistici, anche se in divenire. Il mondo di Pavese, l'ultimo, prima della sua morte, presenta temi più vasti: un dolore intimo che però diventa universale. Uno stile che Pavese aveva assunto dalla sua frequentazione americana, attraverso traduzioni importanti. Ma c'è di più, proprio in quel periodo un giornalista, durante un'intervista, domandò a Pavese quali fossero i suoi narratori preferiti, lo scrittore non esitò: "Thomas Mann e Vittorio De Sica". Affermazione importante, che omologava il cinema alla qualità artistica della sua sorella nobile e maggiore, la letteratura.

Manifesto
Così, dopo Ladri di biciclette, manifesto realista, De Sica girò Miracolo a Milano, la vicenda del barbone Totò che organizza una ribellione di colleghi, riesce a prevalere sul cattivo proprietario delle baracche e alla fine vola, trionfante, verso il cielo. Era certo, un tentativo surrealista. Magari ingenuo, magari "incolto", ma era surrealismo. Quando dico incolto intendo superficiale, approssimativo, magari improprio, insomma intendo dire "cinema", con tutte le licenze che gli appartengono. Anche se Miracolo a Milano non piacque ai puristi degli stili, piacque invece al movimento del cinema e de Sica, che ormai si era abituato a un riconoscimento massimo ogni anno pari, in mancanza dell'Oscar (ricordiamo Sciuscià e Ladri di biciclette, appunto) si vide attribuire la Palma d'Oro (allora si chiamava Primo premio) al festival di Cannes.

Virtuoso
Prosegue dunque quel percorso virtuoso che vede il nostro cinema aggiudicarsi uno dei tre grandi Premi internazionali con cadenza quasi annuale. In quelle stagioni Cannes è davvero innamorata del cinema italiano. Infatti a De Sica segue, senza soluzione di continuità, Renato Castellani che si aggiudica la Palma nel 1952 con Due soldi di speranza. Si racconta di un disoccupato di un paesino del napoletano che si ingegna in tutti i modi per sopravvivere. Altra istantanea di quell'Italia. Anche "Due soldi" possedeva una cifra di realismo, doppiamente forte, perché la genesi del film veniva da un racconto, orale, di un disoccupato analfabeta. E la lingua era il campano stretto. Dunque, doppia, tripla verità. E c'era una novità, il botteghino. L'autore De Sica era amato dalla critica di tutto il mondo, ma i suoi film non riempivano le sale, Castellani scovò anche quel sortilegio non semplice, il successo di pubblico.

Terreno
E poi, il "sociale" naturalmente, che progrediva di pari passo con la fiction. Il terreno era davvero adatto. Le macerie lasciavano il posto alle costruzioni. La gente "per lo più", lavorava. Nel '50 c'erano state manifestazioni operaie intense, a Modena la polizia non aveva esitato a sparare su degli operai in sciopero: sei morti. È il momento davvero fisiologico perché nascano due grandi sindacati, la CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori) e la UIL (Unione italiana del lavoro).

Importante
Alla Mostra di Venezia, nel 1951 accade qualcosa di importante. Approda Rashomon, di Akira Kurosawa. Il film racconta di un samurai aggredito da un bandito insieme a sua moglie. Siamo nel 15° secolo. Al processo i testimoni offrono versioni diverse. Non si arriverà alla verità. La base la davano due racconti del giapponese Akutagawa, ma le reminiscenze occidentali erano presenti, da Faulkner a Pirandello. Lo sconosciuto Kurosawa incantò il mondo. Costruì un'opera che accorpava quelle diverse culture con un linguaggio tanto lento e silenzioso da essere violentissimo. Il cinema giapponese aveva creato un precedente che si sarebbe accreditato e imposto nei grandi festival nei decenni a venire. Cultura lontana e diversa, qualità altissima.

Cinque Oscar
Mentre da noi, in termini di qualità, stava sopraggiungendo qualcuno che avrebbe avocato il cinema a se stesso, qualcuno che con cinque Oscar "stranieri" sarebbe diventato uno dei modelli di cinema legislatori, da contare, come si dice, sulle dita di una mano. Stava arrivando il bianco e nero di Fellini.

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