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In concorso al Festival di Roma tocca a Sergio Castellitto

Dopo L'Aria Salata ora Angelini Alza la testa.
di Gabriele Niola


lunedì 19 ottobre 2009 - News

Il film
C'è un ospite d'eccezione tra il cast di Alza la testa ed è Giorgio Colangeli che qui a Roma è stato premiato come miglior attore per L'aria salata nella prima edizione del festival. E proprio lui prende la parola per primo per fare un elogio della prestazione di Sergio Castellitto in questo film concludendo con l'auspicio che la giuria ne tenga conto al momento di assegnare i premi. E chissà forse lo farà visto che realmente il modo in cui Castellitto ha trasfigurato se stesso ha dello straordinario.
Accanto ai due attori anche l'esordiente Gabriele Campanelli, nel film il figlio di Castellitto, tutti tenuti sotto l'ala del regista Angelini che subito sintetizza tutto il flim così: "È la storia di un uomo che cada e si rialza, il rapporto padre figlio è solo un spunto. È uno sguardo diverso rispetto a quello di L'aria salata, lì era da figlio a padre, qui invece è un papà che guarda il figlio e che nel farlo sconfina in altri ruoli come quello dell'allenatore o anche della madre, anche se vivendo in un ambiente virile occuparsi del figlio con uno sguardo femminile non va molto bene".

Il mondo di Antonio Mero
Si chiama così il protagonista, Antonio Mero, un uomo solo che ha solo suo figlio e che con i suoi tipici modi bruschi gli insegna la boxe. È tutto quello che ha e su di lui riversa il massimo delle attenzioni. Questo è molto importante ma non è tutto il film.
"Antonio è un uomo che si trova di fronte all'unico dolore indicibile, che è quello della perdita di un figlio" racconta Sergio Castellitto "un'autentica ingiustizia, a cui reagisce nel modo più naturale per uno come lui, chiudendo tutto. Poi però qualcosa scricchiola e la storia di quest'ometto riparte perché accetta la situazione e percepisce che ci può essere qualcosa di più".
Molti sono i temi che vengono toccati dal film, non c'è solo l'amore paterno ma anche la vita ai margini della società e la convivenza con gli altri, sia gli stranieri che i "diversi" in senso più generale e tutto sempre dal particolare punto di vista di Antonio Mero: "Lui è un razzista ma in maniera comprensibile" continua sempre Castellitto "è uno basico ha amici rumeni ma li detesta, non è un razzista che ha i mezzi per capire che il razzismo è sbagliato. Saranno gli eventi ad insegnargli ad alzare la testa e guardare le persone negli occhi".
Lo specchio di Antonio ad un certo punto diventa Sonia: "Il più bel personaggio che io abbia mai letto, dotato di un grandissima dignità, che ha già alzato la testa e che va avanti a testa alta" racconta l'attrice che la interpreta, Anita Kravos "Ha ricevuto pugni in facia dalla vita come Mero e come lui ha una corazza esteriore, ma dentro è piena di tenerezza e femminilità".

Un film di Ken Loach con uno sberleffo zavattiniano
Alza la testa ha un andamento molto particolare simile a quello della vita "Un percorso non lineare" dice Angelini "che ti obbliga a rifare i conti ogni volta che qualcosa si inceppa. Nel fare il film volevamo questo modo di procedere, non una cosa lineare ma piena di variazioni. Iniziamo come commedia poi viriamo verso il film di formazione e poi addirittura sul drammatico per finire con toni speranzosi. È un film di frontiera, nasce ad Ostia e Fiumicino e finisce a Gorizia due frontiere, una di Roma e l'altra italiana".
Un film "anarchico" come lo definisce la sceneggiatrice Francesca Marciano che "nella sua struttura ci ha concesso molte libertà". Castellitto invece lo vede come un'opera davvero molto semplice "è un film paradossalmente molto popolare, Pasolini avrebbe definito il personaggio un proletario. Ma diversamente da come si fa oggi con gli operai gli si riconosce un dolore psichico profondo. Vive nei quartieri poveri di una grande metropoli e tira su un ragazzino che è la cosa più importante che ha nella vita, è un padre-madre che si comporta proprio come farebbe una madre anche con una certa invasività e possessività".
L'attore poi non esista a tirare in ballo paragoni difficili da sostenere: "È un film da Ken Loach o da fratelli Dardenne, ha un realismo emotivo molto ben raccontato e poi fa qualcosa per la quale ammiro molto Alessandro: si concede il diritto ad una pernacchia zavattiniana. È una bella risposta a molto cinema italiano intellettual-doloroso sempre attento allo specchio e non alla finestra".

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