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Nikita Mikhalkov

Nikita Mikhalkov (Nikita Sergeyevich Mikhalkov-Konchalovsky). Data di nascita 21 ottobre 1945 a Mosca (Russia).
Nel 2007 ha ricevuto il premio come leone d'oro speciale per il complesso dell'opera al Festival di Venezia per il film 12. Dal 1978 al 2007 Nikita Mikhalkov ha vinto 2 premi: David di Donatello (1978), Festival di Venezia (2007). Nikita Mikhalkov ha oggi 78 anni ed è del segno zodiacale Bilancia.

Patriarca Míchalkov

A cura di a cura della redazione

Sta girando un manifesto sul rinato orgoglio russo. Un inno anche all'amore. Incontro con il grande regista. Colloquio con Nikita Michalkov.
Su un camion, nel mezzo della sterminata campagna russa, una giovane donna partorisce tra il rombo degli aerei tedeschi che bombardano i campi dell'Unione Sovietica. )k Siamo negli anni '40, in piena guerra. Le sue grida si mischiano a quelle dei feriti e dei utilitari spaventati: un soldato biondo, sporco, con le mani luride ma con il viso da bravo ragazzo, trancia con un taglierino il cordone ombelicale insanguinato del bambino appena nato.
Ma è il figlio di un soldato tedesco che ha stuprato la ragazza russa. La madre mormora: « Fatene quello che volete», ma i soldati sovietici lo salvano, e lo chiamano Josif, «come Stalin». Finito il bombardamento, attorno a loro rimangono soltanto crateri di bombe e cadaveri: sono vivi per miracolo, salvati da quel bambino nato su un camion. « Ci ha salvato lui, ci ha salvato Josif», urlano, stappando bottiglie di vodka e brindando alla salute di Josif Stalin. È aula scena de `Il sole ingannatore 2,", il sequel dell'omonimo film del 1994 con cui Nikita Michalkov vinse l'Oscar e Cannes. II protagonista del film era un colonnello sovietico che finisce in un gulag: sembrava una pellicola che volesse fare i conti con la tragedia dello stalinismo, ma ecco che nel sequel, dopo che i nazisti aggrediscono l'Urss, il colonnello viene richiamato in servizio. E Stalin torna il simbolo dell'orgoglio patriottico. Il più celebre dei registi russi ci riceve nel suo ufficio, in una palazzina tra la Tverskaya e quegli Stagni del Patriarca dove passeggiava il Voland di Bulgakov. Su un altarino circondato da icone arde mia fiammella, tutt'intorno le pareti sono fitte di premi, statuette, quadri e fotografie di Michalkov con i potenti della politica e del cinema. Il più ricorrente è Vladimir Putin, in posizione da 007 o in foto umoristiche autografate che all'esterno non circolerebbero mai Michalkov, (3 anni, loquace, seduttore camicia e giubbotto color crema, ribadisce il suo amore per l'Italia e ricorda con nostalgia il grande Marcello Mastroianni con cui girò lo splendido "Oci Ciornie". Michalkov è anche attore, spesso protagonista dei suoi film. Alla fine di questa intervista esclusiva chiede se la sua performance è piaciuta. Il regista sarà in Italia dal 15 al 20 aprile, ospite d'onore del IX Festival del Cinema Europeo di Lecce. Qui parla di sé, dei cinema, dei suo Paese e dell'Occidente, e dichiara il suo amore per la patria, la fede ortodossa e per Putin, per la sua famiglia (il padre 95enne scrisse l'inno sovietico di Stalin) e per l'aristocrazia. Ne viene fuori il ritratto di una Russia diversa da quella che ci siamo immaginati e con la cui cultura non sarà facile fare i conti.
Sta girando un film molto patriottico...
«Purtroppo questa parola nel contesto di oggi ha un suono arcaico e ironico. Sono patriota perché amo la Russia, ma non penso che noi siamo meglio degli altri. L'essenza del patriottismo è dire a qualcuna: "Guarda quello che mi piace, mostrami quello che piace a te, e anch'io proverò ad amarlo". E un sentimento fuori moda, purtroppo, perché il mondo va verso lo scioglimento dell'identità nazionale, personale, culturale. La globalizzazione vuoi rendere il mondo un gigantesco McDonaId's dell'intelletto».
Parliamo dei suo "Sole ingannatore 2".
«Trenta milioni di persone hanno combattuto quella guerra che noi chiamiamo la Grande guerra patriottica. Erano 30 milioni di individui, ognuno con la sua storia personale. Vorrei che una volta uscito dalla sala, ogni spettatore, prima di salire in auto o di comprarsi un gelato, si fermasse e si dicesse: "Che felicità, sto comprando un gelato". Alla fin fine, dopo Internet, i computer, il cosmo, rimangono le cose più semplici: l'amore, la vita, la morte, la paura, la farne, il dolore. Quando a una persona fa male un dente, anche se è lo zar o un principe, niente lo differenzia da un mina tore con lo stesso dolore. Cechov ha scritto che a una persona felice andrebbero ricordati coloro che vivono peggio».
Lei parla dell'importanza delle cose piccole, che cos'è per lei l'amore?
«L'amore è tutto. L'amore non è limitata alla relazione tra uomo e donna, o mamma e figlio. È il sogno di tutti gli abitanti della Terra: anche nelle peggiori situazioni. Nei miei film non ho paura di parlare dei sentimenti, e di solleticare le emozioni degli spettatori».
La sua è una famiglia con una grande storia: suo padre era un amatissimo scrittore di libri per bambini e l'autore dell'inno sovietico di Stalin, suo bisnonno era il governatore imperiale di Yaroslav, sua madre era principessa e poetessa, suo nonno un pittore dell'avanguardia. Poca gente nella Russia di oggi può vantare un lignaggio dei genere. cos'è l'aristocrazia per lei?
L'aristocrazia è l'élite dell'anima. L'aristocrazia è una profonda condizione dello spirito passata di generazione in generazione. Essere aristocratico significa avere un certo rapporto con i soldi, con la gloria e l'onore, e con il potere. Significa sapere che uno può rifiutare soldi, potere, tutto quanto, grazie alla forza dello spirito. Certo, ci sono anche gli aristocratici che frustavano i propri contadini fino alla morte. Mia madre, anche sotto Stalin, era una perfetta aristocratica, si interessava di tutto: parlava francese con l'ambasciatore francese e italiano con Gianni Rodari. Però diceva parolacce come il popolo e chiacchierava anche con chi le caricava la stufi o con i muratori in una casa. Ecco l'aristocrazia: quando ti interessa tutto, puoi comunicare con tutti allo stesso livello e trovare interesse in ciascuna?>.
Intanto la sua famiglia è accusata di essere una dinastia di servitori dei potere, suo padre dì Stalin, lei di Putin.
«Calunnie. Ai tempi dell'Urss non ho vinto nessun premio. 1 miei film attendevano tre anni prima di essere mostrati al pubblico, non volevano che girassi con Mastroianni, non mi facevano andare all'estero perché mio fratello (Andrei Konchalovsky, ndr) era andato in America. Non ho mai fatto un film sul partito o su un leader bolscevica. Ho sempre fatto solo quello che mi interessava e per questo oggi posso dire di non essere pentito di nessun mio lavoro. Ma considero Putin la persona che ha restituito la dignità alla Russia, E poi, dove sta scritto che l'intellettuale deve sempre essere contro il potere? lo sogno di amare quelli che ci governano! Lo stereotipo dell'intellettuale russo, alcolizzato, isolato e affamato, è una stupidaggine. Tolstoi ha vissuto 90 anni, non ha mai fatto la fame e ha scritto cose geniali».
Lei ha firmato "55", un panegirico a Putin mostrato In televisione per il suo compleanno...
«Ma andassero a quel paese quelli che mi criticano! lo vedo oggi un presidente che mi ama, che mi dedica sue fotografie. Ma perché non ho il diritto di dire che mi piace? Viene dal Kgb? Ma d Kgb non era l'inferno. Sono felice che il mio paese non è guidato da uno che piscia ubriaco sulla ruota di un aeroplano, ma da una persona di qualità, intelligente, sottile, viva, e inoltre brillante uomo sportivo. Sa cosa dice mio padre? Colui che è amato dallo zar, non è amato dagli accalappiacani, ovvero dalla gentucola».
Sta dicendo che noi occidentali non capiamo la Russia, i suoi intellettuali, la sua letteratura, i suoi film?
«L'Occidente vuole che la Russia sia comprensibile, mentre la Russia vuole essere compresa. Stessa radice, ma due parole contrapposte. Faccio un esempio: in un qualsiasi Hilton lei vada, a Parigi come a Hong Kong, riceverà un continental breakfast: caffè, succo di frutta, croissant. Non capirà neppure dove si trova. Ecco, l'Occidente vuole questo quando parla di una Russia comprensibile: ci vuole come un continental breakfast, ovvia e standardizzata».
Che cos'è la Russia per lei?
«Per me la Russia è l'essenza dell'anima. È una gigantesca unione di odori dell'anima inseparabili. Sono pezzi di costa, fiumi, e sassolini o l'odore e il suono di un cavallo che si bagna nel fiume. Sembra che questo suono sia identico dappertutto... Invece no. La luce è diversa. La pittura è diversa. Se io guardo Tiziano o Rubens, penso: "Mio dio quant'è meraviglioso". Però io lì non mi vedo. Mentre in qualsiasi pittore russo io ci sono».
Quest'anno con "12" è stato candidato all'Oscar. Si parla di un processo a un ragazzo ceceno che ha ucciso un patrigno, ufficiale russo. Perché un film sulla Cecenia?
«Non è un film soltanto sulla Cecenia. Continuo a stupirmi del successo che "12" ha avuto all'estero, perché in un film intrinsecamente russo. È la rappresentazione delle diverse identità coesistenti nella nostra società e del ruolo salvifico della religione».
Lei è molto credente?
«Certo. Credo che solo la nostra fede - badi bene, non la religione in generale, ma proprio la fede ortodossa - sia l'unica che metta la spiritualità sopra al materialismo, e sia l'unica forza in grado di contrastare la pragmatica relazione con la vita che regna nel mondo di oggi».
Fosse stato vivo nell'ottobre del 1917, sarebbe fuggito in Europa o sarebbe rimasto nella Russia bolscevica?
« Sarei andato con i russi bianchi e mi sarei battuto con tutte le forze>>.
Lei è famoso, ricco, vince tutto, in Italia è il russo più famoso dopo Putin. Che cosa desidererebbe d'altro?
«Niente. Voglio lavorare, voglio che Dio mi dia salute e interesse per la vita, e la possibilità di dire quello che voglio a chiunque. Mi hanno insegnato a vivere guardando chi sta peggio di me, non chi sta meglio, e questo ti libera da tanti problemi» .
Da L'Espresso, 17 aprile 2008

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