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La ragazza con la pistola nell'Italia che cambia

Con Gli ultimi saranno ultimi, Massimiliano Bruno cerca un dialogo più fitto con la commedia all'italiana. Dal 12 novembre al cinema.
di Roy Menarini

Paola Cortellesi (50 anni) 24 novembre 1973, Roma (Italia) - Sagittario. Interpreta Luciana nel film di Massimiliano Bruno Gli ultimi saranno ultimi.

domenica 15 novembre 2015 - Focus

Una delle verità di questi anni è che non è chiaro cosa il nostro pubblico si aspetti dal cinema italiano. Il motivo per il quale la nostra produzione ha insistito tanto sulla commedia, nel nuovo secolo, non è solo un fatto di eredità storiche o di mera obbedienza al botteghino (che ovviamente pesa parecchio), ma anche di incertezza nel target da parte di sceneggiatori e registi.

Di recente, la commedia - e con lei tutta la quota del cinema italiano al box office - ha subito un ridimensionamento. Ed è probabile che sia questo il motivo per cui quest'anno stiamo assistendo a progetti diversi e a esperimenti meno prevedibili, come - per rimanere alla stagione in corso - Alaska, Per amor vostro o questo Gli ultimi saranno ultimi, che anche nel solo atto di mettere in mano una pistola a Paola Cortellesi mostra uno scarto abbastanza sorprendente.

Il problema è che il nostro paese ha cominciato a diventare indecifrabile. Per la commedia all'italiana, che viene giustamente mitizzata ma talvolta anche ingenerosamente presa a pietra di paragone ossessionante, le cose erano un po' più semplici: la modernizzazione e i nuovi stili di vita degli anni Cinquanta e Sessanta permettevano formidabili sintesi comiche e acute osservazioni, mentre la grande diarchia della cultura cattolica e della cultura comunista offriva certezze importanti nell'organizzazione del discorso e dei simboli. Oggi - dopo un altro periodo di grandi contrapposizioni tra destra e sinistra - l'orizzonte nazionale si è sfarinato: ci sono movimenti civili, culture plurali, sinistra e destra si confondono, la religiosità si trasforma, la laicità e le ideologie si confrontano su altri terreni, l'immigrazione modifica il nostro modo di guardare noi stessi e gli altri.

Massimiliano Bruno, che si è dato il compito di osservatore non banale di molta Italia contemporanea (sia pure Roma-centrica), non è sicuramente un regista che fa della continuità una sua prerogativa. Tanto Nessuno mi può giudicare e Viva l'Italia sono stati tentativi rispettabili di infilarsi nel dedalo della politica contemporanea attraverso metamorfosi interne alla commedia, quanto Confusi e felici ha rappresentato un significativo passo indietro sul piano di ambizioni e cura formale.

Qui, adattando il proprio stesso spettacolo del 2005 (sempre con Paola Cortellesi), il regista cerca un dialogo più fitto con la commedia all'italiana, in particolare con il Monicelli di Romanzo popolare e il Comencini di Delitto d'amore, e in generale con quei film degli anni Settanta in cui la narrazione in forma di commedia si annerisce via via fino a sfociare nel (melo)dramma. "Si ride finché si capisce che non c'è nulla da ridere" - formula cara agli sceneggiatori di quel periodo della commedia malinconica - è perfettamente applicabile anche in questo caso.

E se le trovate di scrittura (la messa che viaggia sulle onde dei ripetitori, le sedie che invadono la casa della coppia, il pranzo da Cacio e Pesce, il dialogo della cena di Capodanno, aforismi come "senza lavoro si puzza molto di più", Alessandro Gassman in un ruolo da guascone che non sarebbe dispiaciuto a Vittorio) sembrano firmate da Age e Scarpelli o Ugo Pirro, l'accumulo di temi - la precarietà, il provincialismo, la solitudine del transessuale, il confronto nord-sud, le contraddizioni delle forze dell'ordine, ecc. - rischia di annegare le direttrici principali.

In ogni caso, tra un tentativo e l'altro, tra un esperimento riuscito e un altro più claudicante, il cinema italiano mainstream batte qualche colpo. Il pubblico non sembra per ora accorgersene troppo, ma forse vale la pena insistere.

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