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La voce del poeta

Chiavi di accesso a Leopardi in Il giovane favoloso.
di Roy Menarini

In foto Elio Germano in una scena di Il giovane favoloso.
Elio Germano (44 anni) 25 settembre 1980, Roma (Italia) - Bilancia. Interpreta Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone Il giovane favoloso.

domenica 19 ottobre 2014 - Focus

Il cinema italiano, tra muto e sonoro, tra grande schermo e televisione, ha raccontato tutto e tutti: Dante, Leonardo, Cristoforo Colombo, Galileo, Verdi, Garibaldi, e poi i grandi uomini del Novecento, da Ferrari a Olivetti, da Fermi a Mattei, da Pasolini a Falcone.
Che non avesse mai tentato l'impresa di raccontare Leopardi (e Manzoni, anche) è sorprendente, almeno considerando la vocazione pedagogica della nostra narrativa per immagini, sostenuta con risultati contraddittori dalla televisione di Stato o con fondi pubblici. Coraggioso, dunque, Mario Martone lo è stato di sicuro. Sia pure sostenuto da finanziatori istituzionali, per il regista napoletano dal punto di vista cinematografico si trattava di una bella gatta da pelare. Diciamo così: di una scommessa poetica. Non del tutto vinta, e vediamo perché.
Partiamo da Noi credevamo, capolavoro di quattro anni fa, concepito in tempo per le celebrazioni dell'Unità d'Italia e opera del tutto imprevista da chi si augurava il gran film risorgimentale, blasettiano, buono per una celebrazione retorica del nostro Paese in uno dei momenti più critici della contemporaneità (crisi economica, dissolvimento della Seconda Repubblica, ecc.). In quel film, Martone - invece che commemorare - realizzava due mosse essenziali: mettere in crisi le forme di racconto storico più prevedibili (girando un film corale brechtiano e disagevole) e rifiutare visioni conciliatorie del passato. Tesi: nella lunga strada che ha portato all'unità d'Italia, si è perso più che vinto, e una parte della nazione ha lasciato per strada molte speranze.
Di fronte a Leopardi, Martone - pur con l'intelligenza e la dedizione certosina che gli conosciamo da anni - non sembra possedere la stessa lucidità progettuale. Per smontare la figura irrigidita dalle antologie scolastiche, Martone ha avuto ben chiaro che cosa non fare, anche questa volta: non una biografia da lunedì sera su Rai Uno; non una lezione didattica di poesie e bibliografia; non una agiografia dell'uomo solo e sfortunato.
Sul Leopardi da restituirci, invece, è tutto più problematico. Le chiavi di accesso alla sua figura sembrano scacciarsi l'un con l'altra durante il film. C'è il Leopardi romantico senza accorgersene; il Leopardi freak (forse il film che avremmo voluto vedere, o probabilmente quello che Elio Germano pensava di girare sfiorando il ridicolo di una gobba grottesca e di un corpo piegato a 90 gradi); il Leopardi illuminista che annusa gli odori rivoluzionari e nazionalisti; il Leopardi ironico, fuori luogo e fuori tempo, che inciampa in brutte figure a raffica e si estenua in una vita sociale per cui è inadatto; il Leopardi allucinato, che sogna incubi e vive ambizioni sfrenate, cui Martone dedica a singhiozzo alcune, non riuscite, epifanie visive; il Leopardi erudito, geniale, enciclopedico, che in parte trattiene e in parte esprime (recitando anche le proprie poesie).
Forse Martone ha pensato che, per evitare il pedagogismo di cui sopra, fosse necessario ridare carne, storia, personaggio al Leopardi inafferrabile e controverso persino tra gli italianisti più rinomati. Alla fine, però, manca proprio il poeta, il miracolo della creazione, la sensibilità dell'artista, barattata per una serie drammatica di occasioni perdute: donne non conquistate, fughe non riuscite, premi non vinti, condizioni di salute non recuperate, e ovviamente felicità mai trovate. Come se Il giovane favoloso, con tutte le sue idee e le sue qualità, infine si accontentasse di essere un gigantesco "non". Con in più il rischio dell'effetto-Amadeus, ovvero il punk ante-litteram ("Una specie di Kurt Cobain" lo ha infatti definito il regista, con banale anacronismo), qui suggerito anche dalla deludente colonna sonora elettronica di Apparat, musicista ampiamente sopravvalutato e particolarmente limitante.
Massimo rispetto, ovviamente, per l'impresa e per la sensibilità verso un pezzo di storia italiana. Leopardi, però, continua ad essere una specie di mistero rappresentativo, tanto quanto la sua poesia rimane sostanzialmente un "unicum" stilistico dell'800.

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