Titolo originale | Mange Tes Morts |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Jean-Charles Hue |
Attori | Frédéric Dorkel, Jason François, Michael Dauber, Moïse Dorkel, Philippe Martin (II) Elie Dauber, Joseph Dorkel, Violette Dorkel, Max Horne, Maud Le Fur Camensuli, Stéphane Macalou, Christian Milia-Darmezin, Elie 'Kiki' Dauber, Maude Le Fur Camensuli, Sagamore Stévenin. |
Tag | Da vedere 2014 |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 29 novembre 2014
Quando il fratello maggiore esce di galera, per gli altri due fratelli e la loro famiglia di zingari è una festa. Ma la notte non porterà consiglio.
CONSIGLIATO SÌ
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Jason Dorkel ha diciotto anni e il desiderio enorme di riabbracciare Fred, il fratello maggiore che ha scontato quindici anni di carcere ed è prossimo alla scarcerazione. Tutto è pronto nella piccola comunità gitana, convertita al cristianesimo evangelico, per il ritorno di Fred e il battesimo di Jason. Ma l'ingresso in campo di Fred, a velocità sostenuta e dentro un'auto probabilmente rubata, promette guai e il richiamo degli anziani, che lo ammoniranno e lo esorteranno a cambiare atteggiamento. Incontenibile e incontinente, Fred sceglie per Jason un altro battesimo e alla vigilia della cerimonia lo condurrà a trecento chilometri all'ora dentro una notte di rame e bitume. Accanto a loro e dentro la stessa vettura, una BMW Alpina, il fratello Mickaël e il cugino Moïse, (in)decisi come Jason sulla strada e il destino da percorrere.
Da dieci anni Jean-Charles Hue, realizzatore e videoartista francese, filma gli Jenisch, una comunità semi-nomade erroneamente assimilata ai Rom. Diversamente da loro, che arrivano dall'India, gli Jenisch hanno origini europee, pelle e occhi chiari, una propria lingua (di origine germanica), tanto orgoglio celtico e nessuna vocazione per la musica, la danza o qualsiasi altra espressione artistica. Distinti dai Rom ma ugualmente emarginati, gli Jenisch proprio come il cinema di Jean-Charles Hue, hanno due anime e navigano in due mari. Indecisi tra identità e alterità, vivono (anche) nel nord della Francia, dove lo sguardo di Hue li ha incrociati e consegnati al mito con un cinema perfettamente accordato ai protagonisti, di cui negli anni ha conquistato la fiducia e la considerazione.
Mange tes morts, evoluzione coerente di La BM du Seigneur, cronaca esplosiva della comunità Jenisch e testimonianza incandescente di una redenzione ricercata e fallita, esibisce anche questa volta una doppia filiazione: pasoliniana per la continua frizione tra mistica cristiana e corpo barbaro, e roucheniana per la drammatizzazione della materia etnografica. Mange tes morts tre anni dopo riunisce i medesimi 'attori', i membri della famiglia Dorkel, il loro reame di caravan, i loro affari, gli Jenisch comprano e vendono roba usata, e continua la sua indagine fisica e poetica di un mondo in precario equilibrio tra ideali virtuosi indotti dalla Chiesa evangelica e pulsioni autodistruttive.
Questa volta però l'autore francese si prende il rischio e come Fred Dorkel, protagonista 'di peso' di La BM du Seigneur, schiaccia il pedale dell'acceleratore, trasgredendo (felicemente) il contratto con lo spettatore, lasciando che il suo film irrompa a trecento chilometri orari nel cinema di genere, accostando senza freccia nelle 'aree' del western, del polar e del road-movie. Dentro una vettura meccanicamente modificata (e potenziata), una BMW Alpina, accomoda quattro uomini: Fred, fratello maggiore uscito di prigione dopo quindici anni, Mickaël, il fratello rimasto a casa ad aspettarlo, Jason, il fratellino adottato e presto 'convertito' all'età adulta e Moïse, il cugino che ha affidato la sua vita a Dio. Lanciati a tutta velocità lungo la strada e verso il furto di un camion carico di rame, invocano i loro morti (tes morts), perdendosi lungo i percorsi provinciali, infilando rotonde, sterzando davanti agli ostacoli e agli animali selvatici, rispondendo al fuoco nemico, seminando i poliziotti e doppiando gli avversari.
Tra imprecazioni, leggende e mantra gergali, i quattro protagonisti esprimono ciascuno la propria visione del mondo e il proprio modo di condurre la vita. Al centro del film non c'è mai un solo personaggio, ma la presenza 'in scena' è ugualmente e fluidamente distribuita. In un film collettivo e plurale non c'è che la strada a 'ricomporli' in (e per) un solo tratto e ancora la strada a separarli in fondo alla notte. Dentro un orizzonte plastico e narrativo, in cui avvampano i barbecue, Fred Dorkel recupera il suo fedele destriero in una grotta e rimonta in sella per partecipare a un nuovo rodeo meccanico, che devia in un rituale iniziatico, un battesimo di fuoco tra inferno e promessa di paradiso, tra crimine e redenzione. In mezzo (s)corre Fred e la sua vita caotica, mediata da un ventre gargantuesco e un volto capace da solo di occupare tutto il quadro. Centocinquanta chili di provocazione virile e di gesti gratuiti di cui non sapremo mai il perché. Forse perché non ce ne sarà mai uno, sicuramente perché Mange tes morts è un film sulla forza del destino.
Ancora una volta Jean-Charles Hue realizza un film rilevante e singolare che non ha bisogno di scrivere la propria storia al posto dei protagonisti, che sono chi dicono di essere, che sono quello che vediamo. Ispirandosi alle cronache dei Dorkel, Hue non cerca moralisticamente di ridonare loro una dignità, che d'altra parte non hanno mai perso, di cavalcare i clichés o di restituire un clima esotico, trovando una forma di rappresentazione efficace e adeguata, che partecipa della 'sensibilità' degli Jenisch e che si muove a folle velocità verso il mito. Tra messa in scena e improvvisazione in purezza, Mange tes morts ripete il destino di Fred e chiude su una redenzione mistica tuffata in una piscina di plastica. I piani, magnificamente composti e scolpiti dalla luce, glorificano gli irriducibili protagonisti di Hue, proiettati in una corsa violenta verso la saggezza e un passaggio solenne, dove il film finisce e la vita (ri)comincia.
Il film ha vinto il TFF ma nei precedenti festival ce ne sono stati di migliori . Il film ha una sua forza espressiva , gli attori sono ben dentro la parte ciò nonostante ,pur non annoiandomi,sono uscito dal cinema non totalmente convinto . Forse l'essere politicamente corretto spesso aiuta a vincere i festival ma può essere anche un limite [...] Vai alla recensione »