Titolo originale | V Ožidanii Morja |
Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Russia, Germania, Belgio, Francia, Kazakhistan, Ucraina |
Regia di | Bakhtyar Khudojnazarov |
Attori | Egor Beroev, Detlev Buck, Anastasia Mikulchina . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 27 novembre 2012
Dopo sei anni di preparazione e lavorazione, Bakhtiar Khudojnazarov ritorna al realismo magico che aveva caratterizzato Luna Papa confermandolo ai vertici del cinema contemporaneo.
CONSIGLIATO SÌ
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Marat è il capitano di una nave che salpa ogni mattina dal villaggio dove vive con la giovane moglie un quotidiano di sale e amore. In un'alba di infausti presagi, Marat prende il mare accompagnato dalla compagna, decisa ad affrontare con lui qualsiasi rovescio. Una tempesta di sabbia affonda la nave, 'affoga' il mare e segna per sempre il destino di Marat, unico superstite. Spiaggiato e patito, torna al villaggio cinque anni dopo alla ricerca della sua nave e del suo amore, 'evaporati' come il mare. Inviso alla sua gente, che non gli perdona di essere sopravvissuto al suo equipaggio, Marat avvia una lotta ostinata contro il (suo) mondo. Raggiunta in una landa desolata e polverosa la nave deteriorata dall'affondamento e dal trauma della riemersione, Marat la ripara e ogni dannato giorno avanza verso il mare e il sogno, strappando alla superficie e ai cuori aridi degli abitanti qualche metro di fede.
Con tensione e tempi narrativi magnificamente lontani dalle scansioni tipiche del modello dominante americano, Aspettando il mare traduce in versi (e sentimento) l'evaporazione del lago d'Aral, che ha lasciato il posto a un deserto venefico e addolorato. Quarto lago del pianeta condannato dalla scellerata politica economica sovietica, che lo ha ridotto a una pozza di acqua salata, Aral è il corpo d'acqua che muove l'ispirazione di Bakhtiar Khudojnazarov, trasformandola in poesia e rendendo visibile quegli spazi e quei tempi che la visione contemporanea elimina, uccide. Affrontando e rivelando il rimosso, l'autore tagiko mette lo spettatore di fronte allomicidio del reale e alla più grande tragedia ecologica del Novecento, per risvegliarlo a un modo nuovo (e responsabile) di abitare la natura. Custode della sua bellezza è il capitano di Marat, risparmiato dal mare (e da un voto d'amore) perché non smettesse di desiderarlo e di cercarlo dentro un viaggio autistico. Il protagonista, in una trama ingarbugliata da folklore e modernità, rapine e inseguimenti (sentimentali), predoni e amanti estremi, è portatore di morte, e per questo sgradito al villaggio, e insieme di rinascita, del venire alla luce dinanzi all'eternità, al mare e a una natura benevola. Alla maniera della tartaruga rifugiata nell'imbarcazione, Marat apprezza il silenzio e naviga la lentezza, puntando la linea dell'acqua e avanzando nella polvere di cui si riempiono la bocca le comari del villaggio o quella che il tempo deposita sulle fotografie, le radio e i grammofoni. Khudojnazarov sposa la storia e il punto di vista di un navigatore senza mare che, toccato il punto estremo dell'esperienza umana, gli volta le spalle per ritrovare quello di partenza. Luogo deputato alla ricerca è il deserto, fondale e abisso di un mare seccato, protagonista è un uomo che diversamente dall'amico Balthasar non ha bisogno di un museo per richiamare il mare alle facoltà dell'immaginazione. Marat lo ha fatto proprio esemplificando lo stretto legame tra il viaggiare e il fluire delle acque. La cifra che lo definisce come uomo e come marinaio è la geometria circolare del suo stesso viaggio, incline all'ossessione e irriducibile allo schema del quadrato familiare, promesso dai baci e dalle parole di Tamara. Non c'è casa migliore della propria nave perché è lungo la strada o sulla pagina traslucida del mare che rinasce la speranza, si dischiude l'orizzonte del rinnovamento e della rivoluzione di sé.