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Come suonare una sessione di jazz

Il bad boy Mathieu Amalric racconta la sua esperienza con Tournée.
di Ilaria Ravarino

In foto Mathieu Amalric, regista e attore di Tournée, film sul burlesque ispirato ad un romanzo di Gabrielle Colette, "I retroscena del music hall".
Mathieu Amalric (58 anni) 25 ottobre 1965, Neully-sur-Seine (Francia) - Scorpione. Regista del film Tournée.

martedì 8 marzo 2011 - Incontri

Entra in conferenza stampa con un’ora di ritardo, il regista-attore Mathieu Amalric, a Roma per presentare il suo Tournée. Pretende e ottiene una lunga pausa caffè, fuma parecchio come ogni cattivo ragazzo che si rispetti, si prende tutto il tempo che vuole per rispondere alle domande dei giornalisti. Piccolo, sfuggente e tutto occhi, è leggermente irritante quando cerca di svincolarsi dalle maglie della promozione: "Sono stanco", si lamenta spesso in italiano, e "Lasciatemi andar via, ho parlato troppo". Fino a ieri notte era sul set di Vous n'avez encore rien vu, dell’amico Alain Resnais, e si capisce che è là dove vorrebbe essere in questo momento: perché anche se il bellissimo Tournée gli ha portato il premio della regia a Cannes, Amalric resta nel profondo, più che un abile regista, un talentuoso attore. Quindi sornione, capriccioso, inafferrabile. E per questo terribilmente affascinante.

In che modo il suo film si è ispirato al libro di Gabrielle Colette, "I retroscena del music hall"?
Sono sempre stato attirato da quel libro perché ha per protagonista una donna che gode nello spogliarsi e nel mostrarsi nuda. Ma il bello è che non lo fa perché si sente in qualche modo prigioniera del suo corpo, come accade alle ragazze che fanno streep tease per professione, ma per una pulsione che viene dal suo animo, come per una specie di istinto di libertà.

Il libro di Colette è ambientato nel 1905 e parla di music hall, il suo film invece si svolge ai giorni nostri e sceglie il burlesque. Perché?
Un giorno, nel 2005, mi è capitato fra le mani un articolo che parlava di new burlesque. Ho avuto subito l’impressione che ciò che spingeva le performer del new burlesque a esibirsi fosse qualcosa di molto simile al sentimento descritto dal libro di Colette.

E cioè?
Sono donne che hanno escogitato un modo divertente, ed efficace, per esprimere la loro rabbia e nello stesso tempo fare politica. Sono donne piene di vita, non più giovanissime, che hanno trovato la forza di esibirsi dopo aver attraversato vite durissime e piene di dolori.

Un film sulle donne, girato da un uomo. Lo sguardo di Tournée è più maschile o femminile?
Maschile. Era inevitabilmente la soluzione più onesta: per me, che con le donne sono negato, è stato come giocare a immaginare cosa accade nella stanza delle ragazze. Devo dire di aver avuto anche qualche buona intuizione.

Come giudica la moda del burlesque?
Il New Burlesque è nato nel 1995 negli Stati Uniti come movimento lesbico, gotico, punk, arrabbiato e duro. Roba da emarginati, insomma. La moda lo ha recuperato trasformandolo nel suo esatto contrario: oggi, a Las Vegas, sui palchi burlesque ci sono donne con il corpo completamente rifatto. Il colmo per una disciplina che gioca con i complessi, nata per tirare fuori la propria diversità e portarla in scena.

C’erano gelosie tra le performer che hanno girato il suo film? Lei ha diretto le più grandi dive del burlesque...
In qualche modo quelle donne non hanno più l’età per le gelosie: hanno già rinunciato a illusioni e ambizioni. Dato che la loro espressività in scena risponde sempre a un’esigenza intima e personale, sono molto solidali le une con le altre. Più che rivalità ci sono stati piccoli screzi, come succede in ogni grande famiglia. La loro è una molteplicità di solitudini che trova forza nel gruppo.

Perché ha scelto attrici non professioniste?
Prima di tutto perché nessun’attrice si sarebbe mai fatta mettere all’ingrasso. Men che mai le francesi, notoriamente prive di senso dell’umorismo. Mi è bastato cercare performer che corrispondessero naturalmente ai personaggi immaginati per il film: una timida, una che fosse solo musicista, una capace di fare numeri classici e una dotata di grandissimo talento. Quelle donne sono attrici nate, animali da scena, dotate di un incredibile senso del ritmo e capaci di adeguarsi immediatamente ai vincoli cinematografici.

Avete improvvisato sul set?
Nel film non c’è nessuna inquadratura rubata, non volevo un approccio documentaristico. Il fatto che io, il regista, recitassi a fianco a loro, ha fatto cadere ogni tentazione di rappresentarle come animaletti sotto a una campana di vetro. A nessuna di loro ho fatto leggere la sceneggiatura perché temevo che si irrigidissero, come accade spesso ai non professionisti, ma gli ho raccontato tutto nei minimi particolari. Girare con quelle donne è stato come suonare una sessione di jazz: c’era un accordo generale, aperto alla possibilità di piccole sorprese.

Qualcuno ha paragonato il suo film a certo cinema americano degli anni ’70. Qui in Italia, invece, è stato tirato in ballo Fellini.
Fellini, magari. Vorrei essere capace di fare film così allegri, e allo stesso tempo così malinconici, come i suoi. Ho un’incredibile attrazione per il suo cinema, come per molto cinema italiano. Dino Risi e quel tipico sense of humor da sopravvissuti. Moretti. Garrone. E Michelangelo Frammartino: ho visto il suo film a Cannes. Poetico. Bellissimo.

La femminilità rappresentata in Tournée può funzionare da modello per le nuove generazioni?
Gli show di burlesque fanno bene a tutti, alle donne e agli uomini, che poi guardano le loro compagne con occhi completamente diversi. Qualcuno in Francia ha detto che questi spettacoli dovrebbe pagarli la previdenza sociale.

Lei cosa ha imparato da queste donne?
Sono tuttora attratto dalla loro intelligenza, dal loro modo di stare al mondo. E dall’incredibile onestà dei loro sentimenti.

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