minus
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martedì 26 marzo 2013
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tremendo
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kyashan
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giovedì 27 dicembre 2012
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somewhere: il grande esistenzialismo è altrove
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Sofia Coppola ha iniziato a scrivere la sceneggiatura di Somewhere a Parigi: “Pensavo che forse è stata la mia fase esistenzialista, o comunque quel che posso immaginare di più vicino a quella sensazione”. Somewhere è in effetti un film che rientra appieno nei temi tipici dell’esistenzialismo: la ricerca di sé, la precarietà della vita, il dare un senso e un significato all’esistenza. Ed è questo quello che cerca di fare il protagonista, Johnny Marco, attore Hollywoodiano, la cui vita è un alternarsi tra donne, feste, apparizioni televisive. Tutto questo viene accolto passivamente, con apatia: l’essere ha ormai lasciato il posto all’avere.
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Sofia Coppola ha iniziato a scrivere la sceneggiatura di Somewhere a Parigi: “Pensavo che forse è stata la mia fase esistenzialista, o comunque quel che posso immaginare di più vicino a quella sensazione”. Somewhere è in effetti un film che rientra appieno nei temi tipici dell’esistenzialismo: la ricerca di sé, la precarietà della vita, il dare un senso e un significato all’esistenza. Ed è questo quello che cerca di fare il protagonista, Johnny Marco, attore Hollywoodiano, la cui vita è un alternarsi tra donne, feste, apparizioni televisive. Tutto questo viene accolto passivamente, con apatia: l’essere ha ormai lasciato il posto all’avere. La Coppola, come già fatto in Lost in Translation, ai dialoghi predilige il silenzio, che qui fa da contrappasso alla chiassosa e frenetica vita da star, un silenzio attraverso il quale il protagonista trova nella piccola figlia Cleo l’affetto e qualcosa di vero in cui credere. Nonostante le ottime premesse, Somewhere risulta però un film riuscito solo a metà: l’uso dei silenzi, delle lunghe pause, di inquadrature lentamente zoomate, se da un lato vuol farci immedesimare nella condizione di Johnny Marco, dall’altro ha il rischio di annoiare lo spettatore, che facilmente considererà la visione come una semplice perdita di tempo. A mio avviso il vero punto debole è però nella fragile caratterizzazione dei personaggi (tutt'altro era lo spessore dei protagonisti, Bill Murray e Scarlett Johansson, di Lost in Translation) e nella sceneggiatura in generale, anche questa inferiore ai precedenti film della Coppola. In conclusione ritengo che Somewhere non sia un film da sconsigliare, di certo non è un film "facile" e alla portata di tutti, ma non basta certo questo carattere elitario a farne quel gran film che tanta critica entusiasta ha definito; in tempi recenti l'accoppiata cinema-esistenzialismo ha senza dubbio proposto di meglio.
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albydrummer
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martedì 11 settembre 2012
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..lento..ma gradevole.
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Lo stile di Sofia Coppola è indiscutibile. A me sinceramente il film è piaciuto,,non è stato il massimo,e come nello stile della Coppola,mette in risalto i suoi personaggi,nella vera vita quotidiana,la loro angoscia,il loro finto sorridere in un posto,come in questo caso un attore famoso, Si evidenzia la solitudine del personaggio,l'ozio,e un sesso ,anche un pò noioso,di una banale e triste lapdance,invece un coinvolgimento,più allegro con la sua figlia. Anche le musiche sono sempre ottime,e fedeli al gusto della Coppola.,il sound dei Phoenix..
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great steven
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domenica 2 settembre 2012
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un'opera che confronta l'individuo con la società
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SOMEWHERE (USA, 2010). Diretto da SOFIA COPPOLA. Interpretato da STEPHEN DORFF, ELLE FANNING, CHRIS PONTIUS, MICHELLE MONAGHAN, LAURA CHIATTI, JO CHAMPA, ALEXANDER NEVSKY
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Johnny Marko è un attore di Hollywood con residenza in un lussuoso hotel della California. Assolutamente a suo agio in una vita monotona e tutt'altro che interessante, occupata da folle di ammiratori, corse
in automobile, farmaci e spettacoli appositamente preparati per lui, deve a un certo punto accettare la richiesta dell'ex moglie che gli affida temporaneamente la loro bambina undicenne, Cléo.
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SOMEWHERE (USA, 2010). Diretto da SOFIA COPPOLA. Interpretato da STEPHEN DORFF, ELLE FANNING, CHRIS PONTIUS, MICHELLE MONAGHAN, LAURA CHIATTI, JO CHAMPA, ALEXANDER NEVSKY
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Johnny Marko è un attore di Hollywood con residenza in un lussuoso hotel della California. Assolutamente a suo agio in una vita monotona e tutt'altro che interessante, occupata da folle di ammiratori, corse
in automobile, farmaci e spettacoli appositamente preparati per lui, deve a un certo punto accettare la richiesta dell'ex moglie che gli affida temporaneamente la loro bambina undicenne, Cléo. Il contrasto fra
i loro due mondi è notevole: Cléo pratica pattinaggio artistico, ama nuotare e giocare ai videogames, ed è caratterizzata da una personalità vivace e curiosa. Senza mai abbandonare il suo torpore e la sua
indistruttibile indifferenza, Johnny saprà comunque comportarsi da bravo genitore nel periodo (positivo) che la figlia passerà con lui. Fino a quando la madre non la riprende e Johnny riprecipita nella sua solitudine,
ora più angosciosa di prima. Premiato con un controverso Leone d'Oro al Festival di Venezia, è un film certamente di non immediata comprensione e piuttosto articolato a livello psicologico, ma chi l'ha giudicato
noioso e monotono è probabilmente succube della cinematografia moderna, sempre più propensa a sfornare action-movie zeppi di violenza e inverosimiglianze, al limite anche del patetico e purtroppo tutti
dipendenti dal ciclo della ripetitività. In "Somewhere", invece, l'azione è tutta concentrata nel pensiero dei personaggi e nelle mosse che quest'ultimo li conduce a fare: sebbene non si possa parlare di un autentico
racconto di formazione, bisogna notare come il rapporto tra un padre ombroso e una figlia solare giovi ad entrambi, apra nuove prospettive e permetta un confronto costruttivo che aiuti entrambi - ma soprattutto lui - a crescere. Ma crescere solo interiormente, poiché il comportamento di Johnny sarà anche autodistruttivo, in ultima analisi, ma resta sempre il prodotto di una società troppo caotica, nervosa, affamata di ricchezza e
potere (anche mediatico, come s'evince dalla conferenza coi giornalisti), costantemente preoccupata ad evolversi con una velocità superiore ai suoi stessi ritmi e che quindi stanca e svilisce l'individuo, il quale cade
in una depressione (definibile in tutto e per tutto "metropolitana") perché non sente di appartenervi. Isolato e schiavo della società che in fin dei conti detesta, questo personaggio necessita di una svolta, benché sappia che forse gliene manca il coraggio o la volontà. La scena finale, in cui percorre molti chilometri con la macchina per poi scendere in una campagna dove non c'è anima viva, rappresenta però un piccolo riscatto, o meglio, un punto di partenza: Johnny Marko fugge dal suo torpore, si lascia alle spalle quel mondo rumoroso per iniziare a trovare un suo equilibrio interiore, così da valorizzare la sua esistenza. Dove lo
troverà? Non si sa. "Da qualche parte", ci dice il titolo. Quanto alla sceneggiatura, avrebbe fatto decisamente meglio a inserire più personaggi rilevanti e a togliere qualche vip nel ruolo di sé stesso: a parte l'intermezzo italiano della consegna dei Telegatti (bravi Frassica e la Ventura), gli altri (come Del Toro) sono piazzati male e il massimo che riescono a fare è una comparsata insipida. Per concludere, i silenzi e le pause che spesso ricorrono scena dopo scena hanno chiaramente un loro compito espressivo, ma più d'una volta si indugia troppo, e in quegli specifici casi non sarebbe guastata una maggiore rapidità.
La Coppola ha comunque saputo orchestrare bene questa storia diversa dalle altre, che non perde di vista il suo scopo, con l'esperienza via via crescente di una regista che si sta definitivamente affermando.
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lucarci
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venerdì 25 maggio 2012
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un film imbarazzante
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Un film imbarazzante: trama inesistente o leggerissima, dialoghi poveri, attori mediocri. E pensare che ha vinto pure il Leone d'Oro a Venezia. Già non è bello sfruttare il proprio congome per fare carriera e successo, e con film come questi è offensivo due volte.
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johnny1988
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venerdì 23 marzo 2012
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se tutto non è un fast food
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SOMEWHERE – The sound of silence
La storia di sicuro non preme mai sull'acceleratore. E di tempo, oggi, si sa, ce n'è troppo poco. Viviamo a lungo il doppio dei nostri progenitori, abbiamo il privilegio rispetto al passato di avere maggiori possibilità di coltivarci, ma se tutto, anche l'arte, non è un fast food, è meglio lasciar perdere film come questi. Alla faccia del racconto complesso, qui pare non esserci nemmeno una trama, non c'è nemmeno un finale risolutivo! E poi, dalla Coppola ci si aspettava ben altro! Ma vedere il film da soli cambia già molto la prospettiva rispetto a quando si viene distratti dalla compagnia.
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SOMEWHERE – The sound of silence
La storia di sicuro non preme mai sull'acceleratore. E di tempo, oggi, si sa, ce n'è troppo poco. Viviamo a lungo il doppio dei nostri progenitori, abbiamo il privilegio rispetto al passato di avere maggiori possibilità di coltivarci, ma se tutto, anche l'arte, non è un fast food, è meglio lasciar perdere film come questi. Alla faccia del racconto complesso, qui pare non esserci nemmeno una trama, non c'è nemmeno un finale risolutivo! E poi, dalla Coppola ci si aspettava ben altro! Ma vedere il film da soli cambia già molto la prospettiva rispetto a quando si viene distratti dalla compagnia. Sofia Coppola è, e si sa, una delle poche promesse del cinema indipendente americano contemporaneo, non solo è figlia di un papà abbondante (!) di genio, ma è anche erede diretta di quella corrente intellettuale ormai al tramonto che un tempo amava tanto definirsi anti-hollywoodiana. Nel cinema, quello americano in primis, si usa dire che esistano due categorie di registi, quelli che hanno davvero qualcosa da dire e quelli che, con lo stesso zelo dei primi, hanno bisogno di far soldi. Non è facile giudicare Sofia Coppola, è indubbiamente un'attenta osservatrice dei rapporti umani, ma bisogna anche dire, in controbattuta, che anche lei, come molti altri della sua generazione, si lascia sedurre spesso e volentieri dalle opportunità del guadagno facile. Le Vergini suicide e Maria Antonietta, così raffinate nelle musiche, nel montaggio, nei costumi, nella fotografia, hanno avuto gran successo e hanno emozionato il pubblico, specie quello giovane, un po' alternativo e intellettualoide, ma non sembrano offrire troppi spunti di riflessione. Oggi, con Somewhere, la regista punta in alto, e in buona parte si ispira alla sua biografia; torna ai tempi migliori di Lost in Translation, recuperando con relativo successo (più personale che di pubblico!!) ciò che sa raccontare meglio, il confronto dell’uomo coi lussi e i disagi dell'esistenza. La trama è ridotta all'osso: Johnny è un ricco attore, ozioso e solo, fedele alla bottiglia e al fumo, passa i giorni, cioè infiniti tempi morti, dentro la sua Ferrari o sul lettino dei massaggi, fra una conferenza assurda e una lap dance domestica. Per vedere sconvolta la sua routine con l'arrivo della figlia adolescente. Ecco qui lo spunto per l'analisi sulla comunicazione e sui sentimenti, sui rumori della quotidianità e sui silenzi della solitudine. Nulla di nuovo sotto il sole, pare, ma l'originalità del film sta nella maturità della regista, che non prende le parti di nessuno dei personaggi e limita l'estetica concentrando l'occhio sugli sguardi, che dicono molto di più di quanto non mostrano. I protagonisti infatti parlano poco e non si dicono quasi mai niente di interessante, sono l'obiettivo e le immagini a tradurre i loro pensieri. Siamo quindi noi del pubblico a interpretare le vite di padre e figlia, come fra le pagine di un testo semplice e diretto. E' curioso, e non banale, infatti, come Johnny Marco sospetti spesso di essere seguito da fotografi indiscreti e non se ne veda apparire neanche uno, oppure come la Ferrari sfrecci libera e sicura in una strada chiusa, facendoci intuire fin dall'inizio come vanno le cose. Uno che conosce il cinema riconosce presto le allusioni, non si riesce a non pensare ai temi preferiti di Bergman, a Un'Altra Donna di Woody Allen, così come al Buffalo '66 di Vincent Gallo: la crisi di autocoscienza, la desolazione filtrano, lì e qui, attraverso una lucida malinconia che sconfina nella speranza. Difatti, la Rowlands di Allen trova il riscatto nell'autobiografia; l'Elle Fanning della Coppola, con un garbo fiabesco, sveglia il papà e gli prepara la colazione, danza dolce per lui come Christina Ricci si esibiva per Gallo, o come la fata Turchina trasformava un burattino di legno in essere umano. Così il film a poco a poco si illumina, uno studio freddo e grigio del trucco in cui Johnny si sottopone a una maschera di cera che gli lascia scoperte soltanto le narici per respirare, all'inizio, quindi uno spazio aperto e assolato, alla fine; Johnny, abbandona l'auto sul ciglio della strada e cammina, con un sorriso di speranza. La Coppola presenta l'esitazione che precede il viaggio, senza (troppe) lacune e senza eccessi, e per la prima volta, i suoi personaggi, una volta smontati, li ricompone, lasciandoci un sospiro di buon auspicio. Alla faccia dei critici più esigenti e ostili della Mostra di Venezia, come Tarantino ha sottolineato, dimostrando una finezza più da osteria che da spaghetti western.
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amyblue
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mercoledì 29 febbraio 2012
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una meravigliosa scena da antologia, nient'altro.
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Buon sangue non mente dicevano ai tempi delle ‘vergini suicide’ peccato che la cineasta americana surclassi abbondantemente il sopravvalutato genitore in quanto ad efficacia comunicativa, al di là della spesso sterile tecnica. La premessa fondamentale: Somewhere non è Lost in Translation. Non ne possiede la stoffa del capolavoro, l’ambientazione mistica, la fotografia elegante, tantomeno la freschezza epocale della sceneggiatura; inoltre Dorff/Fanning non sono Murray/Johansson, il rapporto tra i due è anche profondamente differente, laddove una storia d’amore fatta di cenni e silenzi ci trasportava in una Tokyo straniante, qui il rapporto padre-figlia si consuma nella scialba atmosfera dello Chateau Marmont tra lapdancer da due soldi e battaglie a Guitar Hero.
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Buon sangue non mente dicevano ai tempi delle ‘vergini suicide’ peccato che la cineasta americana surclassi abbondantemente il sopravvalutato genitore in quanto ad efficacia comunicativa, al di là della spesso sterile tecnica. La premessa fondamentale: Somewhere non è Lost in Translation. Non ne possiede la stoffa del capolavoro, l’ambientazione mistica, la fotografia elegante, tantomeno la freschezza epocale della sceneggiatura; inoltre Dorff/Fanning non sono Murray/Johansson, il rapporto tra i due è anche profondamente differente, laddove una storia d’amore fatta di cenni e silenzi ci trasportava in una Tokyo straniante, qui il rapporto padre-figlia si consuma nella scialba atmosfera dello Chateau Marmont tra lapdancer da due soldi e battaglie a Guitar Hero. Qui non troverete cavalcate notturne sognanti sulle note di Sometimes o le spumeggianti danze dell’ottimo Marie Antoinette ma riconoscerente istintivamente quel filo conduttore che ha percorso tutta la “breve” carriera della Coppola, vale a dire quel minimalismo esasperato, quel cinema in funzione del solo cinema, il sublime nel nulla. E’ un film che si ferma a metà strada ma che svetta in una stagione comunque piena di sorprese e prodotti validi (un miracolo?). No comment sul sacrosanto ma impietoso ritratto del 'bel paese'. C'è però una breve, singola e splendida scena che va incorniciata e tramandata ai posteri: l'allenamento di pattinaggio, sostenuto da 'Cool'. La Coppola è stata probabilmente l'unico essere vivente in grado di comprendere e valorizzare la tragicità occulta ed il valore generazionale nella voce (e nei testi) di Gwen Stefani, qualche minuto di intensità insostenibile che vale il biglietto. Menzione speciale alla colonna sonora quindi, very very 80/90’s come sempre, eternamente adolescenziale e sintomo di una genuinità e umiltà registica fuori dal comune. La recensione è purtroppo tendenziosa e disturbata da presenze dal decennio passato, forse non adatta a chi ha lasciato un pezzo di cuore (cinematografico) al Park Hyatt Hotel di Tokyo e che, da allora, ordina solo vodka tonic.
Il genio c'è ancora ma fa il verso a se stesso; la magia del 2003 è irripetibile, Sofia, smettila di provarci.
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tommy906
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lunedì 13 febbraio 2012
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riflessivo e rilassante
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Lo trovo un ottimo film, molto rilassante per via delle sue interminabili scene e molto riflessivo, perchè dietro a tutto ciò c'è sicuramente un significato. Trovo inoltre fantastico il fatto di non dare molte risposte (per esempio sapere dove và la moglie), e focalizzarsi di più su altro. Un finale molto bello che conclude un ottimo film.
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angelo48
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venerdì 30 dicembre 2011
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leone d'oro a vemezia?
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Scrivo questo commento solo per comunicare tutta la mia perplessità dopo aver visto questo film: perplessità sulla giuria del festival, perplessità sui critici cinematografici, perplessità sulla regista. Per fortuna che esiste Mymovies dove numerose persone hanno lasciato recensioni assolutamente condivisibili nella stroncatura di questo inutile ed assurdo film. La Coppola ha fatto il compitino su un tema potenzialmente interessante: lo star system ed il vuoto di idee,Cultura (con la C maiuscola) e sentimenti che lo pervade. L' impressione finale é che questo vuoto abbia fagocitato anche lei! Papà Coppola dovrebbe vigilare maggiormente sulla figlia ed evitare che produca altri danni al buon nome di famiglia.
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Scrivo questo commento solo per comunicare tutta la mia perplessità dopo aver visto questo film: perplessità sulla giuria del festival, perplessità sui critici cinematografici, perplessità sulla regista. Per fortuna che esiste Mymovies dove numerose persone hanno lasciato recensioni assolutamente condivisibili nella stroncatura di questo inutile ed assurdo film. La Coppola ha fatto il compitino su un tema potenzialmente interessante: lo star system ed il vuoto di idee,Cultura (con la C maiuscola) e sentimenti che lo pervade. L' impressione finale é che questo vuoto abbia fagocitato anche lei! Papà Coppola dovrebbe vigilare maggiormente sulla figlia ed evitare che produca altri danni al buon nome di famiglia. P.S. Marini, Ventura e Frassica forse pensavano di arrecare lustro alla loro fama partecipando, si fa per dire, ad un film della Coppola...mi sono apparsi francamente patetici.
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flaviex
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giovedì 29 dicembre 2011
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l'insesatezza della vita sotto i riflettori
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Somewhere è un film che predilige silenzi e vuoto a parole e azioni. Questo metodo espressivo, già mostrato con altri scopi in "Lost in translation", viene in questo quarto film della Coppola ripreso per evidenziare la solitudine di Johnny Marco, un attore trentenne vittima del suo successo in un sistema senza anima. La Ferrari che sfreccia su una desolata pista, le lap dancer che ballano mostrando una sensualità finta, il sesso ricercato per inerzia, mostrano la noia e il "non sense di vivere" del personaggio principale. Johnny Marco ha perso la strada e gira e rigira intorno agli stessi schemi, cerca qualcosa che non troverà mai all'interno della sua vita solitaria fatta di apparenze e posizione sociale.
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Somewhere è un film che predilige silenzi e vuoto a parole e azioni. Questo metodo espressivo, già mostrato con altri scopi in "Lost in translation", viene in questo quarto film della Coppola ripreso per evidenziare la solitudine di Johnny Marco, un attore trentenne vittima del suo successo in un sistema senza anima. La Ferrari che sfreccia su una desolata pista, le lap dancer che ballano mostrando una sensualità finta, il sesso ricercato per inerzia, mostrano la noia e il "non sense di vivere" del personaggio principale. Johnny Marco ha perso la strada e gira e rigira intorno agli stessi schemi, cerca qualcosa che non troverà mai all'interno della sua vita solitaria fatta di apparenze e posizione sociale. La noia e l'apatia pervadono la sua vita. Lasciare tutto è l'unica salvezza, Johnny questo lo capisce osservando l'unica cosa di umano che c'è nella sua vita: sua figlia. Lei balla, ama il padre, lei è presente, è la speranza, ed è contagiosa, la sua bellezza è semplice come la sua danza. Johnny ne rimane conquistato, pur nella sua assenza, nella smemoratezza di un padre confuso e bambino, Johnny ritrova un segno, qualcosa si accende in lui. Ecco l'accettazione del disagio, l'accorgersi di non essere una persona, come dice al telefono alla ex moglie, è un allarme che porterà alla liberazione. La scena finale, seppur la più importante in realtà è la più breve, questo perchè la compulsività non c'è più, adesso c'è la vita con la sua imprevedibilità, così il ritmo ritorna normale..proprio sui titoli di coda.
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