Somewhere |
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Un film di Sofia Coppola.
Con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Simona Ventura, Nino Frassica.
continua»
Drammatico,
durata 98 min.
- USA 2010.
- Medusa
uscita venerdì 3 settembre 2010.
MYMONETRO
Somewhere
valutazione media:
2,92
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Se tutto non è un fast fooddi johnny1988Feedback: 5532 | altri commenti e recensioni di johnny1988 |
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venerdì 23 marzo 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
SOMEWHERE – The sound of silence
La storia di sicuro non preme mai sull'acceleratore. E di tempo, oggi, si sa, ce n'è troppo poco. Viviamo a lungo il doppio dei nostri progenitori, abbiamo il privilegio rispetto al passato di avere maggiori possibilità di coltivarci, ma se tutto, anche l'arte, non è un fast food, è meglio lasciar perdere film come questi. Alla faccia del racconto complesso, qui pare non esserci nemmeno una trama, non c'è nemmeno un finale risolutivo! E poi, dalla Coppola ci si aspettava ben altro! Ma vedere il film da soli cambia già molto la prospettiva rispetto a quando si viene distratti dalla compagnia. Sofia Coppola è, e si sa, una delle poche promesse del cinema indipendente americano contemporaneo, non solo è figlia di un papà abbondante (!) di genio, ma è anche erede diretta di quella corrente intellettuale ormai al tramonto che un tempo amava tanto definirsi anti-hollywoodiana. Nel cinema, quello americano in primis, si usa dire che esistano due categorie di registi, quelli che hanno davvero qualcosa da dire e quelli che, con lo stesso zelo dei primi, hanno bisogno di far soldi. Non è facile giudicare Sofia Coppola, è indubbiamente un'attenta osservatrice dei rapporti umani, ma bisogna anche dire, in controbattuta, che anche lei, come molti altri della sua generazione, si lascia sedurre spesso e volentieri dalle opportunità del guadagno facile. Le Vergini suicide e Maria Antonietta, così raffinate nelle musiche, nel montaggio, nei costumi, nella fotografia, hanno avuto gran successo e hanno emozionato il pubblico, specie quello giovane, un po' alternativo e intellettualoide, ma non sembrano offrire troppi spunti di riflessione. Oggi, con Somewhere, la regista punta in alto, e in buona parte si ispira alla sua biografia; torna ai tempi migliori di Lost in Translation, recuperando con relativo successo (più personale che di pubblico!!) ciò che sa raccontare meglio, il confronto dell’uomo coi lussi e i disagi dell'esistenza. La trama è ridotta all'osso: Johnny è un ricco attore, ozioso e solo, fedele alla bottiglia e al fumo, passa i giorni, cioè infiniti tempi morti, dentro la sua Ferrari o sul lettino dei massaggi, fra una conferenza assurda e una lap dance domestica. Per vedere sconvolta la sua routine con l'arrivo della figlia adolescente. Ecco qui lo spunto per l'analisi sulla comunicazione e sui sentimenti, sui rumori della quotidianità e sui silenzi della solitudine. Nulla di nuovo sotto il sole, pare, ma l'originalità del film sta nella maturità della regista, che non prende le parti di nessuno dei personaggi e limita l'estetica concentrando l'occhio sugli sguardi, che dicono molto di più di quanto non mostrano. I protagonisti infatti parlano poco e non si dicono quasi mai niente di interessante, sono l'obiettivo e le immagini a tradurre i loro pensieri. Siamo quindi noi del pubblico a interpretare le vite di padre e figlia, come fra le pagine di un testo semplice e diretto. E' curioso, e non banale, infatti, come Johnny Marco sospetti spesso di essere seguito da fotografi indiscreti e non se ne veda apparire neanche uno, oppure come la Ferrari sfrecci libera e sicura in una strada chiusa, facendoci intuire fin dall'inizio come vanno le cose. Uno che conosce il cinema riconosce presto le allusioni, non si riesce a non pensare ai temi preferiti di Bergman, a Un'Altra Donna di Woody Allen, così come al Buffalo '66 di Vincent Gallo: la crisi di autocoscienza, la desolazione filtrano, lì e qui, attraverso una lucida malinconia che sconfina nella speranza. Difatti, la Rowlands di Allen trova il riscatto nell'autobiografia; l'Elle Fanning della Coppola, con un garbo fiabesco, sveglia il papà e gli prepara la colazione, danza dolce per lui come Christina Ricci si esibiva per Gallo, o come la fata Turchina trasformava un burattino di legno in essere umano. Così il film a poco a poco si illumina, uno studio freddo e grigio del trucco in cui Johnny si sottopone a una maschera di cera che gli lascia scoperte soltanto le narici per respirare, all'inizio, quindi uno spazio aperto e assolato, alla fine; Johnny, abbandona l'auto sul ciglio della strada e cammina, con un sorriso di speranza. La Coppola presenta l'esitazione che precede il viaggio, senza (troppe) lacune e senza eccessi, e per la prima volta, i suoi personaggi, una volta smontati, li ricompone, lasciandoci un sospiro di buon auspicio. Alla faccia dei critici più esigenti e ostili della Mostra di Venezia, come Tarantino ha sottolineato, dimostrando una finezza più da osteria che da spaghetti western.
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