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Tsui Hark torna a stupire

Detective Dee recupera lo storytelling più classico e riunisce tradizione ed avventura.
di Emanuele Sacchi

Andy Lau in una scena del film Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma di Tsui Hark.
Andy Lau (Lau Fok Wing) (63 anni) 27 settembre 1961, Hong Kong (Hong Kong) - Bilancia. Interpreta Il Detective Dee (Di Renjie) nel film di Tsui Hark Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma.

martedì 9 agosto 2011 - News

Detective Dee è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Tsui Hark, colui che per inventiva, padronanza del mezzo e sagacia produttiva era stato dapprima l'innovatore iconoclasta e poi il mogul indiscusso del cinema di Hong Kong degli anni '80 e '90, sembrava ormai relegato a un ruolo di confuso interprete delle nuove esigenze di un pubblico mutato geograficamente e politicamente (la Cina Popolare che parla mandarino), con il quale l'antico re-inventore dei generi pareva stentare a relazionarsi in modo soddisfacente. Tra commedie alimentari come All About Women e l'irrisolto pastiche di Seven Swords, il tocco magico sembrava irrimediabilmente perduto. Fino al miracolo di Detective Dee, ideale per il mercato cinese con la sua profusione di effetti speciali e il richiamo wu xia, e capace di riportare Tsui Hark “a casa”, sul terreno in cui è ancora in grado di stupire, interno al genere e insieme dissertazione sul genere; dal punto di vista di chi osserva i meccanismi del cinema di genere per reinventarli a poco a poco, magari con impercettibili alterazioni del pattern. Quel che Tsui mette in pratica in Detective Dee è un recupero dello storytelling più classico, del puro piacere della narrazione, che si allaccia tanto alla tradizione cinese e alle sue icone culturali (agopuntura, arti marziali e non solo) quanto al gusto per l'avventura come patrimonio universale, in un fil rouge che collega i romanzi di Conrad, il fumetto americano del dopoguerra e il cinema di Indiana Jones, proprio del regista occidentale a cui più sovente Hark è stato accostato, Steven Spielberg.
L'operazione dista mille miglia da quanto portato avanti da Ang Lee o Zhang Yimou, con sontuosi wu xia a scopo dimostrativo nei confronti del mercato occidentale, e rappresenta uno sguardo all'indietro, rivolto verso l'epoca in cui la palpitazione dello spettatore di fronte a un'indagine ricca di colpi di scena era il nucleo dell'oggetto filmico. Il wu xia vissuto nuovamente come strumento di avventura e di intrattenimento, l'ingenua capacità di stupire che rivive nei meandri del Phantom Bazaar e che era alla base di un capolavoro (nonostante effetti speciali tutt'altro che all'altezza) come Zu: Warriors of the Magic Mountain e del suo remake non ufficiale in occidente, Grosso guaio a Chinatown di John Carpenter.

Magia e razionalità, scienza contro superstizione
Ambientazione storica scelta non casualmente quella di Detective Dee, terreno fertile per divagazioni romanzate. In primis la figura dell'imperatrice Wu Zetian, unica governante donna della storia cinese, salita al trono provenendo da umili origini, e nota per la sua condotta priva di scrupoli in tema di realpolitik; la questione della fama negativa di Wu, in parte dovuta allo “scandalo” di essere donna, viene abilmente ripresa da Tsui Hark. Del rapporto tra Wu Zetian e il magistrato Di Renjie si narrano molti momenti felici per la prosperità della Cina più che screzi, ma Detective Dee si concentra sul turbolento periodo immediatamente precedente all'incoronazione di Wu, nel 690 d.C., in cui è plausibile ritenere che Di fosse ancora legato alla dinastia Tang, interrotta dall'imperatrice. Come il plot mescola storia e fantasia, accostando personaggi realmente esistiti come Wu o Di Renjie a situazioni di fiction, così i momenti salienti del film vivono perennemente sul crinale tra incredulità superstiziosa e spiegazione scientifica. La scelta di Hark è chiara e tesa a sovvertire il pregiudizio. Il soprannaturale di arti marziali che sfidano la legge di gravità o di un cappellano che parla attraverso i daini, così come un'agopuntura capace di deformare i tratti somatici e confondere le identità, costituiscono qualcosa di accettato dai personaggi del film come un dato certo, sì bizzarro e proprio di pochi, ma ugualmente esistente nel mondo sensibile. Stessa cosa per il Phantom Bazaar, ritrovo per reietti, eccentrici e debosciati, immancabile topos del “porto di mare” prima e soprattutto dopo l'esistenza del bar di Guerre Stellari. Sorvolando sul concetto stesso di contraddizione, a questo universo semi-mitico non sono consentite ulteriori deviazioni dalla norma; categoria in cui rientra a pieno titolo la combustione spontanea, che Di Renjie (o Detective Dee) individua immediatamente come il risultato di un'ardita macchinazione, del tutto umana e spiegabile razionalmente. L'intreccio tra un contesto semi-fantasy e il whodunit, con l'indagine del detective condotta seguendo i canoni della più classica indagine di uno Sherlock Holmes (più che di un Dylan Dog), produce il contrasto di cui si nutre l'inarrestabile ritmo narrativo di Detective Dee. È la visione globale a prevalere, più che l'interesse ad approfondire il dettaglio, tanto che riguardi l'identità dell'assassino (facilmente intuibile ben prima del finale) quanto quella dei cospiratori e il loro legame con l'insolito strumento di morte utilizzato. Come se Hark rispettasse fino in fondo anche a livello narrativo la filosofia a cui si piega nel tempo il ribelle Detective Dee, passando da oppositore dell'imperatrice a suo angelo custode. Morale unificatrice ed ecumenica di certo non disdegnata dal governo cinese, benché indubbiamente assai lontana dallo spirito del regista de l'Arancia Meccanica di Hong Kong, il durissimo Dangerous Encounters – the 1st Kind; ma è un nuovo Tsui Hark, pronto per il terzo millennio e per un'industria in crescita come quella del cinema cinese.

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