Carlos - Terza parte

Film 2010 | Biografico 115 min.

Regia di Olivier Assayas. Una serie con Edgar Ramirez, Alexander Beyer, Anna Thalbach, Susanne Wuest, Julia Hummer. Cast completo Genere Biografico - Francia, Germania, 2010, - MYmonetro 3,17 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 29 agosto 2014

Carlos è stato un uomo superbo e arrogante, dotato di forza e fermezza fuori dal comune.

Consigliato sì!
3,17/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,33
CONSIGLIATO SÌ
Il corpo mutevole di Edgar Ramirez racconta la storia di Carlos.
Recensione di Gabriele Niola
Recensione di Gabriele Niola

Carlos - Terza parte, la trama
Stanziato a Budapest e benvoluto da molti paesi come la Romania e la Libia Carlos e il suo gruppo sono diventati l'organizzazione terroristica più importante d'Europa, coinvolti in quasi tutte le più importanti operazioni di destabilizzazione geopolitica. La fine del comunismo segnata dal crollo del muro di Berlino però lo privano delle alleanze più forti e comincia il declino. Braccato da tutte le autorità internazionali e privo di paesi pronti a dargli protezione, Carlos si rifugia in Sudan in un forzato stato di pensionamento. Tradito anche dall'ultimo stato che sembrava dargli appoggio nel 1994 è catturato e portato in Francia per essere processato.


Carlos è il nome in codice di Ilich Ramírez Sánchez, terrorista mercenario filopalestinese di origini venezuelane (ma attivo più che altro in Europa), autore di alcune tra le più violente stragi degli anni '70 e al centro di una gigantesca caccia all'uomo della polizia. Carlos è bello, prestante e furbo. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina lo prende con sè e lui fa carriera velocemente grazie al sangue freddo e al carattere, almeno fino al clamoroso assalto al quartier generale dell'OPEC nel 1975, quando riuscì a sequestare sessanta ostaggi e scappare con loro in un DC-9 fornito dalla polizia. Quell'operazione però è anche l'inizio della fine dei rapporti con il FPLP e l'inizio della peregrinazione che nel giro di vent'anni lo porterà in carcere.
Ultimo innesto di una fortunata serie di film europei, per il cinema e per la tv, che affrontano con epica, gusto e forte senso dell'intrattenimento gli anni di piombo (non in senso temporale stretto ma in senso lato), leggendo le vite e le opere dei più noti villain della cronaca, Carlos non si distacca per stile, toni e approccio dai suoi predecessori.
Come già fece Marco Tullio Giordana trattando le Brigate Rosse in La meglio gioventù o anche Marco Bellocchio in Buongiorno, Notte o ancora come si è visto nel meno riuscito La Prima Linea, i criminali riconosciuti e condannati sono raccontati con i tempi e le modalità del cinema d'azione (sempre all'europea, s'intenda) ma cercando in ogni momento di far sì che l'epica che si accompagna al genere non scada nell'apologia.
Men che meno vuole infognarcisi Assayas, che sembra procedere sul medesimo binario (narrativo e visivo) su cui si era mosso Jean-François Richet per il suo ritratto di Jacques Mesrine nel dittico Nemico pubblico n.1, di fatto rinunciando a molti dei tratti più evidenti del suo cinema. Parte di questa scelta sembra giustificabile dalla committenza (e poi distribuzione) televisiva del film e parte sembra invece frutto della felice intuizione di mettersi da parte per inserirsi nel più continentale gioco alla ricostruzione della stagione terroristica degli anni '70 attraverso il filtro dell'avventura.
Il Carlos di Assayas è bello e desiderabile e il regista non esista a dilungarsi molto nelle scene che mostrano il corpo nudo di Edgar Ramirez, nel suo fare avanti e indietro tra forma smagliante e pesante ingrassamento. Carlos è un guerriero e come tale ha un corpo che è in sè un'arma, una caratteristica che, ancora una volta, avvicina il modo in cui si guarda Ramirez a quello in cui si guarda Vincent Cassel e al suo straordinario Jacques Mesrine, più spaventoso e autoritario all'aumentare dei chili.
Sebbene il film sia nettamente più dinamico nella prima che nella seconda parte, l'opera nel suo complesso disegna un affresco molto attento alla ricostruzione storica. Un cartello prima dell'inizio spiega per bene cosa è vero e cosa no, cosa è immaginato e inventato e cosa è invece stato riconosciuto legalmente come colpa del criminale. Non c'è nostalgia, adesione o repellenza per l'ideologia alla base delle azioni del protagonista. La politica, per quanto molto presente, fortunatamente non è elemento del discorso filmico come lo era nell'eccessivamente pesante La banda Baader Meinhof.
La visione unica dell'opera da cinque ore e mezza che ha offerto il Festival di Cannes tuttavia non è forse il modo migliore per godere di una storia organizzata per essere fruita in diverse parti. La scansione, il ritmo e le svolte non sono organizzate per una visione tradizionale ed è probabile che i passaggi televisivi migliorino l'impressione globale.

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