Avatar |
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Un film di James Cameron.
Con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang.
continua»
Fantascienza,
Ratings: Kids+13,
durata 162 min.
- USA, Gran Bretagna 2009.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 22 settembre 2022.
MYMONETRO
Avatar
valutazione media:
3,88
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Da Aliens ad Avatar: la conversione di Camerondi FabalFeedback: 14969 | altri commenti e recensioni di Fabal |
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venerdì 20 settembre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
James Cameron non prova nemmeno a fuggire dal rischio di essere banale. E non solo perché gli effetti speciali gli fornirebbero, in ogni caso, un alibi di ferro: la storia infatti, nella sua prevedibilità, è comunque piacevole e suggestiva, iniettando nello spettatore alcuni brividi emotivi nelle scene di battaglia o nella tormentata conversione del protagonista. Né l’imprevedibilità rientra nelle aspettative del pubblico: la delusione ci sarebbe se alla fine vincessero i cattivi (cioè “noi” umani), se il bacio (tanto assurdo quanto scontato) di un uomo proiettato in un corpo alieno e un’aliena doc non si verificasse, se, insomma, i canoni terrestri della favola in stile classico non valessero anche per Pandora. Per ricavare un giudizio positivo su Avatar occorre allora appellarsi, in primo luogo, all’abilità di Cameron di rendere comunque molto avvincente questo minestrone di stereotipi e all’obbligo che lo spettatore ha di identificarsi nella vicenda; in questo l’obiettivo è raggiunto. In secondo luogo occorre elogiare la ricchezza visiva offerta dal film, non solo per gli effetti speciali, ma anche per la bellezza di Pandora e dei suoi scenari (elogiare ma trascurando, con un gesto misericordioso, le accuse di scopiazzatura dal lungometraggio animato “Aida degli alberi”). In un film fantasy o di fantascienza, a mio giudizio, a far emergere la bontà del lavoro è la credibilità dei luoghi: le ambientazioni, cioè, devono essere inesistenti ma verosimili, funzionare in se stesse senza il raffronto col mondo reale, e, soprattutto, devono poter apparire “normali” allo spettatore, in modo che ogni elemento si trovi a proprio agio. Perché ciò si verifichi è necessario evitare di introdurre i luoghi con atmosfere caotiche e già turbate, ma in condizioni di routine: la luna boscosa di Endor in Star Wars ne è un esempio lampante, e risulta molto in linea con Pandora, nonostante siano entrambe macchiate dall’errore di ospitare civiltà primitive geocentricamente intese, che danno per scontata la dialettica delle linee dell’evoluzione (archi, frecce e culto pseudo animistico). Errore in cui, invece, non cadono i monolitici e monocromatici Arrakis (Dune) e Tatooine. Pandora, comunque, è credibile, molto ricco di dettagli e forma un universo perfettamente circoscritto anche senza i marines guastafeste; nel complesso riesce ad atteggiarsi come un’oasi di Paradiso ben studiata e sorretta da una bella analogia tra micro e macrocosmo. Il campionario di flora è molto vario e dettagliato; la fauna invece è un po’ meno convincente perché racchiude e rende immediatamente riconoscibili le categorie terrestri di mammiferi, rettili, uccelli, insetti, anfibi. Siamo dunque ben lontani dalla indefinibile perfezione biologica di un Alien, nonostante anche in Avatar siano reperibili alcune invenzioni visive pregevoli, come nel design degli pseudo - rinoceronti. Non eccezionale, invece, è l’invenzione visiva dei Na’vi e degli Avatar, piuttosto stereotipata nel taglio d’occhi, nelle orecchie a punta e nei fisici snelli da figurini: probabilmente tutti i registi e gli ufologi concorderanno sul fatto che l’obesità sia un problema limitato a noi terrestri.
Il regista ha anche il merito di auto citarsi senza l’obbligo della discrezione, pur cadendo nel vizietto della scopiazzatura in alcune scene iniziali: lo sbarco sul pianeta, il discorso ai marines e la mensa sono scene pressoché identiche a quelle di Aliens, così come la ispanica incazzata interpretata dalla Rodriguez non è che il clone della Vasquez, anche nel modo di morire. Per non parlare poi dello scontro finale: il colonnello si erge ad ultimo difensore della sua razza, guidando lo scatolone metallico (già visto da qualche parte…) ma stavolta il cattivo, nonché sconfitto, è proprio lui. Le similitudini sono così evidenti che non possono certo essere casuali; né occorre tirare in ballo la scelta di mobilitare Sigourney Weaver, che da sterminatrice di xenomorfi diventa qui l’emblema di una “conversione” alla quale tutto Avatar è consacrato. Le similitudini con Aliens non sono perciò copiature, ma espedienti usati dalla stesso Cameron per simboleggiare una sua personale evoluzione: nelle atmosfere claustrofobiche e artificiali di Aliens, la guerra tra le due specie è un freddo atto di sopravvivenza biologica; pertanto lo spettatore si trova a parteggiare per l’unica razza che sia in grado di manifestare qualche sentimento, cioè la propria. In Avatar, invece, la sfera sentimentale viene estesa anche (e forse solo) agli extraterrestri che diventano così il “diverso” dal quale noi uomini degenerati avremmo solo da imparare.
Gli altri riferimenti tirati in ballo dai detrattori del film non perdonano, ad esempio, la troppa familiarità con la trama di Pocahontas, cosa peraltro innegabile (il buon senso suggerisce di non negare mai l’evidenza); ma vorrei limitare la portata di queste accuse proprio in virtù delle considerazioni già sviluppate. Ammesso che la sceneggiatura sia davvero il risultato di 15 anni di incubazione (vogliamo crederci), rivendicare l’autenticità di Avatar non lo salva dalla sua prevedibilità, perché dimostra una volta di più i cliché idealizzati (e purtroppo molto etnocentrici) su cui si fonda la narrazione; né può considerarsi immune da questa pecca lo stesso Pocahontas, che addirittura prende spunto da una storia vera deformandola in senso fiabesco, producendo così, più che un film originale, della piatta demagogia sentimentale. E quest’ultima, anche se mi duole ricordarlo, è un fenomeno tipico degli esseri evoluti, tenuti in scacco dai sensi colpa e non più dalle necessità della sopravvivenza; non certo dei primitivi per i quali il motto è Primum vivere. Pocahontas può comunque contare sull’alibi di essere un cartone animato della Disney, al quale si può concedere un impianto favolistico. In Avatar invece, che apre con quella che vorrebbe essere una probabile evoluzione umana, testimoniata da veicoli, armi e tecnologie all’avanguardia, questa concessione non può essere fatta; e così io mi trovo a scegliere Aliens ma, sia chiaro, solo per la sua maggiore credibilità. Come già detto, infatti, Avatar è molto avvincente e non può non coinvolgere: i ritmi sono sempre sostenuti, smarrendosi soltanto in alcune sequenze centrali, ma riescono pienamente a legittimare la lunga durata del film.
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