Metà del ventiduesimo secolo. Jake Sully, un ex marine che ha perso l'uso delle gambe durante un'azione militare, ha la possibilità di tornare ad avere una fisicità normale utilizzando un corpo nuovo: un avatar allestito appositamente in laboratorio sulla base del codice genetico del suo defunto gemello e di una specie aliena abitante sul pianeta Pandora. Collegandosi all'avatar attraverso un dispositivo elettronico, Jake è in grado di comandarlo a distanza tramite i propri impulsi cerebrali e di percepirne gli stimoli sensoriali. La sua esistenza subisce una sorta di sdoppiamento, in quanto il suo stato di coscienza collegato all'avatar coincide con uno stato comatoso del corpo reale e viceversa. Sottoposto a una dura iniziazione per entrare a far parte dei Na'vi - la popolazione indigena abitante sul pianeta - Jake riscopre la padronanza dei propri movimenti, ed entra in armonia con la natura lussureggiante del mondo alieno, concepita affinché ciascuno dei suoi elementi possa stabilire un rapporto simbiotico con tutti gli altri. Si innamora della giovane Neytiri e la sceglie come sua compagna. L'intensità di simili esperienze lo portano a registrare nel suo videolog di essere arrivato a percepire la coscienza nel suo corpo reale come sogno, e la coscienza nell'avatar come vita reale. La simulazione - così come il sogno o il gioco - riveste un'importante funzione gnoseologica, in quanto aiuta colui che simula a conoscere una realtà altrimenti ignota. Per questo motivo i bambini giocano: per abituarsi ad affrontare situazioni che saranno tenuti a sostenere da grandi, nel momento in cui le circostanze simulate nel gioco diverranno reali. Ma quando si compie la trasformazione dalla finzione alla realtà? Quali sono le condizioni che la determinano? «Io ti vedo», è la splendida dichiarazione d'amore che si scambiano i Na'vi: ovvero, credo a ciò che i sensi mi manifestano; vedo che tu esisti, che io non sono l'universo intero, come istintivamente sono portato a credere. E dunque ti rispetto, cerco di trovare con te un'armonia accettandoti per quello che sei. Non tento di trasformarti in qualcosa di simile a me, ma vengo a incontrarti nel tuo territorio. I frutti di tale attestazione non tardano a manifestarsi. Jake può conferire al sogno la consistenza della veglia e alla finzione la rilevanza della realtà. Il suo è un vero e proprio atto di fede. Egli crede alla divinità che sorveglia l'armonia del bosco sacro, preferisce arrendersi a ciò che percepiscono i suoi sensi piuttosto che andare in cerca dell'inottenibile (tale è - etimologicamente - l'unobtainium, il prezioso minerale che gli esseri umani vogliono razziare nel pianeta). Aldilà della retorica di guerra e del manicheismo hollywoodiano cui il finale paga un evitabile tributo, mi sembra sia questo uno degli aspetti più significativi del film. La fede può compiere il miracolo: lo spirito vitale si trasfonde dal corpo menomato nel vigoroso avatar. L'illusione artistica richiede anche allo spettatore un simile atto di fede. La telecamera è l'avatar del pubblico, il mezzo attraverso il quale egli compie un'esperienza oramai più sensoriale che mentale, sempre più libera dall'astrazione di una visione bidimensionale. Per questo motivo in Avatar il 3D non è un semplice virtuosismo, ma una tecnologia essenziale per la fruizione di uno spettacolo che porta il cinema verso una nuova era.
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let_8
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martedì 26 gennaio 2010
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i see you
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Concordo praticamente con tutto, aggiungerei solo che l'atto di fede compiuto dal protagonista è secondo me un atto d'amore e di abbandono, di fiducia completa nell'altro. Il film è inoltre qualcosa di completamente diverso da tutto quello che ho visto prima dal punto di vista della 'storia' del cinema, compresi i precedenti 3D.
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alexiabi
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giovedì 4 febbraio 2010
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un fim "anaffettivo"
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Se qualcuno non avesse visto il film e si trovasse a leggere questa recensione correrebbe sicuramente a sedersi sulla poltrona del cinema. Per poi accorgersi purtroppo che la recensione è in realtà molto più bella e profonda di quanto non sia la pellicola, che lascia molto poco spazio alla parte umana e psicologica di una storia molto affascinante in potenza, ma "bruciata" con tutta una serie di quelle scontatissime americanate, ormai logore e ripetitive. Banalità e macchiette che si trovano a sostituirsi ad altre tematiche, ben più profonde e affascinanti, di cui emerge nettissima la necessità di un esplorazione ben più ampia: lo sdoppiamento di personalinità, la percezione della vita virtuale come la vita reale, un qualcosa che accade non solo su pandora, ma spesso anche utilizzando una semplice chat; il rifiuto finale della vita reale e di un corpo menomato.
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Se qualcuno non avesse visto il film e si trovasse a leggere questa recensione correrebbe sicuramente a sedersi sulla poltrona del cinema. Per poi accorgersi purtroppo che la recensione è in realtà molto più bella e profonda di quanto non sia la pellicola, che lascia molto poco spazio alla parte umana e psicologica di una storia molto affascinante in potenza, ma "bruciata" con tutta una serie di quelle scontatissime americanate, ormai logore e ripetitive. Banalità e macchiette che si trovano a sostituirsi ad altre tematiche, ben più profonde e affascinanti, di cui emerge nettissima la necessità di un esplorazione ben più ampia: lo sdoppiamento di personalinità, la percezione della vita virtuale come la vita reale, un qualcosa che accade non solo su pandora, ma spesso anche utilizzando una semplice chat; il rifiuto finale della vita reale e di un corpo menomato. Tutti temi solo "accennati", affrontati fugacemente, per dar spazio invece a interminabili scene di combattimento, che francamente alla fine risultano quasi ridondanti.In complesso quindi, il film può dirsi un sicuro tripudio di effetti speciali, ma "vacuo di anima" e quasi inespressivo dal punto di visto emozionale. Un gran peccato, perchè la trama è davvero notevole, molto metaforica e paurosamente attuale. Ma mal rappresentata e disequilibrata, poichè si sceglie di dare fin troppo spazio alla spettacolarizzazione e alla magnificenza, che da sole risultano sterili e quasi pretenziose, a scapito di aspetti piu introspettivi e di certo molto piu pregnanti emotivamente. Il risultato è che non si arriva mai a conoscere i protagonisti, non si può immedesimarsi con loro, non ci toccano e ci risultano estranei, perchè semplicemente "non li vediamo". La storia della battaglia per il metallo prezioso diventa quindi l'aspetto preminente del fim, a discapito dell'aspetto psicologico e umano che alla base voleva animare la trama della pellicola: la realizzazione del virtuale e la virtualizzazione - abbandono della realtà. Ciliegina sulla torta, quel "gioiellino" in stile John Rambo, che si beve la sua tazza di caffè sull'elicottero da guerra, mentre fuori si sta svolgendo l'apocalisse, dicendo qualcosa del tipo "ragazzi muoviamoci voglio essere a casa per cena". Ecco l'americanata, penosa a dir poco. Ne sentivamo la mancanza.Sono uscita dal cinema delusa. Delusa perchè non mi sono emozionata, nulla di nulla, forse quasi irritata per questa poca soddisfazione.Ricordo invece quanto Titanic mi aveva emozionato, fatto piangere, mi aveva lasciato qualcosa. Avatar mi ha invece ricordato quanto le piccole cose siano in realtà le cose più importanti e quanto la loro assenza emerga lampante in una situazione di anaffettività. Ecco forse, l'ho detto: un film anaffettivo.Credo invece che se la sceneggiatura avesse dato spazio alle emozioni come descrive la recensione di Luca, spendendo qualche milioncino in meno in scene di guerra e regalando qualche minuto in più all'anima del protagonista, questo film sarebbe potuto essere un vero capolavoro. Magari la prossima.
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dantem
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lunedì 15 febbraio 2010
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sognare è bello ed oggi si sogna poco.
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Mi piace molto leggere le opinioni, le critiche (sempre costruttive): si imparano tante cose, a volte piccole, a volte di grande importanza e verità. Quanto dice ALEXIABI è senz'altro una verità, in quanto andiamo senz'altro cercando dei Rambo ed il cinema ce li propina: Stallone ce ne ha propinati ben cinque! Però vedi, Alexiabi, non possiamo e non dobbiamo incolpare il grande schermo: esso ci dà quel che vogliamo! A monte -ne sono convinto- c'è sempre quella voglia di sognare, di vedere che c'è qualcuno che ha la meglio sulla "durezza" della vita, insomma che qualche volta il bello, il "pulito" trionfi. Quei Rambo che ti vincono una guerra da soli, in realtà siamo noi, sono i nostri sogni, il nostro ribellarci alle brutture, alle ingiustizie, alle crudeltà sempre all'ordine del giorno.
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Mi piace molto leggere le opinioni, le critiche (sempre costruttive): si imparano tante cose, a volte piccole, a volte di grande importanza e verità. Quanto dice ALEXIABI è senz'altro una verità, in quanto andiamo senz'altro cercando dei Rambo ed il cinema ce li propina: Stallone ce ne ha propinati ben cinque! Però vedi, Alexiabi, non possiamo e non dobbiamo incolpare il grande schermo: esso ci dà quel che vogliamo! A monte -ne sono convinto- c'è sempre quella voglia di sognare, di vedere che c'è qualcuno che ha la meglio sulla "durezza" della vita, insomma che qualche volta il bello, il "pulito" trionfi. Quei Rambo che ti vincono una guerra da soli, in realtà siamo noi, sono i nostri sogni, il nostro ribellarci alle brutture, alle ingiustizie, alle crudeltà sempre all'ordine del giorno.Sognare è bello ed oggi si sogna poco.Vi chiedo scusa per i miei sproloqui e vi saluto caramente. Dantem.
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