Gli americani ne sanno una più del diavolo. Addirittura sono tornati nel 1776 per saccheggiare le teorie presunte della felicità di uno dei loro tutori storici, Thomas Jefferson, e su di essi hanno pianificato un'operazione molto astuta: un plot alla Frank Capra con una star di prima caratura come Will Smith protagonista e un autore come Muccino tra i più talentuosi a dirigere gli attori. E allora scattano gli applausi perchè tutte le combinazioni hanno fatto centro in virtù dei risultati commerciali del film e della nomination all'Oscar (attesa, preannunciata, già pianificata?)di Smith. Ma la perfezione a prima vista cela sotto la patina qualche lacuna, qualche superficialità che in particolar modo gli spettatori a stelle e strisce non colgono o non gliene importa nulla di farlo: perchè? Il protagonista ha assunto i panni dell'eroe e approda nel pianeta Felicità. E va bene così. Per loro.
La consistenza della stesura del tessuto narrativo (di Steve Conrad, quello di The Weather Man) è inattacabile sotto diversi punti di vista, il primo dei quali è il mantenere ben salda l'attenzione dello spettatore senza cadute di tono, e con una buona coerenza "spettacolare". Qualche ghigno di disapprovazione proviene dall'atteggiamento eccessivamente romanzesco del film e da una morale assai discutibile. Ma come? Will Smith nota una Ferrari e vuole diventare miliardario per giungere in quell'agognato pianeta Felicità? Quest'ultimo è un termine, un concetto, un territorio di dibattiti secolari e viene liquidato con la brama di accumulare un sacco di soldi? Di certo siamo di fronte a due estremi: il primo Smith è squattrinato, abbandonato dalla moglie (tra l'altro il pessimo doppiaggio non rende merito alla bravura di Thandie Newton) e con un pargolo da mantenere. Il secondo è uno dei consulenti finanziari più ricchi d'America. Ed è in quel momento che, carico di denaro, scopre la felicità. Muccino organizza (con bravura, bisogna ammetterlo) un marchingenio che assenconda la voglia di happy end e di lacrimuccia. Ma nella vita di uomo anche il sorriso di un figlio nei servizi della metropolitana può costituire una parte della felicità. E' limpido che un impiego stabile ed una posizione professionale dignitosa non è respinta da nessuno, ma proporre una storia (vera) vendendola come ricerca della felicità mi sembra un chiaro spintone verso i veri valori della vita. E soldi ne fanno parte ma non sono la felicità. Ad essere onesti lo spettacolo (dal punto di vista puramente visivo) non tradisce le attese ma non sempre il fine giustifica i mezzi.
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