Anno | 1983 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Italia, Germania |
Regia di | Marco Leto |
Attori | Jack Hedley, Erica Rogers, Wolfgang Kieling . |
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CONSIGLIATO N.D.
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Graham Greene è forse il più interessante romanziere che abbia oggi la letteratura inglese, e ne è già apparsa parecchie volte la firma su gli schermi, fra l'altro per il soggetto di Idolo infranto e de Il terzo uomo. Facilmente si comprenderebbe come un produttore inglese piuttosto novizio potesse un po' semplicemente pensare: poiché Greene è il nostro romanziere più vivo, e poiché Il nocciolo della questione è uno dei suoi più importanti romanzi, facciamone senz'altro un bellissimo film. Ma che in una tentazione del genere sia caduta quella vecchia volpe che è Alessandro Korda, proprio non lo si comprende, e rimane il vero nocciolo di questo problema.
Il romanzo di Greene è folto di acute notazioni psicologiche, talvolta di una fulmineità essenziale. I suoi personaggi non sono degli eroi, ma degli uomini quasi qualunque, visti con una sicurezza infallibile; e se pure in tutt'altra atmosfera, le sue battute di dialogo possono, come dimessa potenza, essere paragonate a quelle di Cechov. L'ambiente, questa Sierra Leone nel 1942, fu vissuto e sentito dal Greene, che venne inviato a Freetown, proprio nel 1942, dal Ministero inglese degli Esteri. E il suo protagonista, questo Scobie, vice-commissario di polizia che non riuscirà mai a diventare commissario, fu posto in funzione di quell'ambiente, di quegli anni, di quel clima, e al centro di una sua crisi nella quale dovevano dibattersi le sue non piccole tenerezze per la moglie, il suo improvviso amore per una giovane donna, la sua correttezza di funzionario, e sopratutto la sua fede cattolica. Epilogo di quella crisi un inesorabile e meditato suicidio, che forse Dio perdonerà.
Tutto ciò, in un film, e con le cadenze del romanzo, sarebbe quasi impossibile da delineare. Se il cinema potesse a tutto sostituirsi, avremmo scultura da film, pittura da film, musica da film, e così via. Sono invece proprio i suoi limiti a far riconoscere al cinema una sua autonomia. Si è purtroppo abituato a sfruttare, a saccheggiare la letteratura narrativa, ma è chiaro che un brutto romanzo può dar vita a un bellissimo film che ne abbia in tutto e per tutto preso il soggetto, mentre un bel romanzo può dar vita a un bruttissimo film che ne abbia voluto ricalcare timbri, toni, cadenze. Il nocciolo della questione più che un brutto film è un film impotente. Questo, malgrado la corretta finezza del regista George More O'Ferrall e la bravura degli interpreti (fra i quali un ottimo Trevor Howard) si risolve in uno schematico sommario del romanzo. Tanto schematico e superficiale che sceneggiatori e regista non se la sono sentita di trarre, alla fine, un plausibile suicidio di Scobie, e l'hanno sostituito con una violenta morte fortuita: strano modo di concludere presunti criteri di fedeltà e di omaggio al testo, che li avevano fino allora molto ingenuamente e un po' nebulosamente guidati. Pare che Greene abbia detto di essere stufo di vedere il suo nome sullo schermo, non sarà certo questo film a fargli mutare opinione.
(1953)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957
Graham Greene è forse il più interessante romanziere che abbia oggi la letteratura inglese, e ne è già apparsa parecchie volte la firma su gli schermi, fra l'altro per il soggetto di Idolo infranto e de Il terzo uomo. Facilmente si comprenderebbe come un produttore inglese piuttosto novizio potesse un po' semplicemente pensare: poiché Greene è il nostro romanziere più vivo, e poiché Il nocciolo della [...] Vai alla recensione »