Anno | 2021 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 52 minuti |
Regia di | Daniele Segre |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento sabato 11 settembre 2021
Un confronto con la forza creativa di un grande artista.
CONSIGLIATO SÌ
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Una vita ad occhi aperti, gettata nel presente, con le mani sempre sulla macchina da presa e gli occhi sul visore. Spesso sorridendo, come un adulto che torna bambino nel fare quello che ama. Tonino De Bernardi, classe 1937, autodidatta della settima arte, pioniere dell'underground, tra gli animatori della Cooperativa Cinema Indipendente, in seguito alla folgorazione per la sperimentazione del New American Cinema e del Living Theatre. Dal 1967 a oggi ha girato ininterrottamente, autoproducendosi, quasi un film all'anno (ma il vero numero non lo conosce nemmeno lui) "con tutti i mezzi", dall'8 millimetri muto al sonoro, fino al 16 e al 35, per poi convertirsi entusiasticamente al video digitale, estremamente più economico. Il suo è cinema low low budget, nomade, estemporaneo, spesso familiare. Sempre avvertito come una necessità: "io avevo proprio bisogno, nella mia vita, di aiutarmi a vivere. E il cinema mi ha aiutato". In un certo momento anche la Mostra di Venezia lo ha vezzeggiato, invitando Appassionate (in concorso nel 1999) e Rosatigre l'anno dopo (in Nuovi Territori).
In coincidenza con il quarantesimo anniversario della sua casa di produzione I cammelli, il torinese Daniele Segre (1952), a sua volta alfiere del cinema indipendente italiano, coglie l'occasione di una sua visita e filma l'amico di Chivasso De Bernardi in una candida confessione, che ne rivela il tratto giocoso, anarchico.
Ma il gioco è reciproco, perché l'ex maestro che ha impegnato la sua liquidazione per poter realizzare i propri film riprende Segre con la sua Canon da cui non si separa mai. Sfilano alcuni estratti (A Patrizia, Dei, Come ladro, Il sogno dell'India, Piccoli orrori, soprattutto Médée miracle, Elettra) che danno un saggio della sua poetica della spontaneità e di un cinema di prossimità, dandola per già nota. Il risultato è un documento affettuoso, che con coerente semplicità ne assevera l'originalità delle pratiche, un invito da seguire per approfondirne il percorso unico, tutto ai margini e controcorrente. Il sottotitolo riprende una frase diffusa nell'ambito delle sale da tè e del teatro giapponesi, tatuata sul corpo di un operatore del film.