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Rassegna stampa di Preston Sturges

Preston Sturges è un regista, produttore, sceneggiatore, è nato il 29 agosto 1898 a Chicago, Illinois (USA) ed è morto il 6 agosto 1959 all'età di 60 anni a New York City, New York (USA).

PIETRO BIANCHI

La prima, folgorante apparizione di Preston Stunges nel cinema avviene con lo scenario di The Power and the Glory (Potenza e gloria, 1933); forse è inutile aggiungere che la pellicola di Howard e Sturges non ha niente da spartire con l’omonimo romanzo dell’inglese Graham Greene da cui John Ford ha tratto The Fugitive (La croce di fuoco, 1948). Dopo The Power and the Glory, il regista William K. Howard non riuscirà a interessarci che in Mary Burns Fugitive (Fuggiasca, 1935), un film del genere «gangster», interpretato mirabilmente da Sylvia Sidney. La novità di The Power and the Glory (conosciuto anche con il titolo Thomas Gardner, dal nome del protagonista) consisteva di due elementi: in una trovata, nel così detto «narratage», cioè in una voce fuori campo che commenta e introduce nell’azione; e in un’applicazione del metodo usato da Proust nella «Recherche» alla narrazione cinematografica. La trovata si sarebbe poi mostrata di una fecondità inesauribile, mentre la «durata» proustiana applicata al cinema ha avuto un corto avvenire. In Potenza e gloria, che rivelò Spencer Tracy come attore, due umili testimoni, attraverso il procedimento del «narratage», evo-cavano per lo spettatore la vita, il successo, gli amori di Thomas Gardner, mettendone in evidenza uno le luci e l’altro le ombre. Si vedeva Thomas vecchio, uomo d’azione riuscito ma tradito dalla seconda moglie; poi Thomas giovanotto che saliva su una collina con la donna del suo amore, che l’aveva incoraggiato nei primi, difficili passi. Certe artificiosità, del resto inevitabili, erano compensate largamente dal risultato complessivo, insolitamente coerente e vigoroso, e da momenti di schietta, intensa poesia: il suicidio della prima moglie, la già citata scena della collina. Dopo aver partecipato alla sceneggiatura di due eccellenti cinematografie: Imitation of Life (Specchio della vita, 1935), che è il lavoro più interessante di John M. Stahl, ed Easy Living (Un colpo di, fortuna, di Mitchell Liesen, Sturges passava alla regia. Dei suoi molti film esamineremo soltanto i due, che secondo noi risultano i migliori, The Lady Eve (Lady Eva, e Sullivan’s Travels (I dimenticati, 1941). A un primo, sommario esame due sono gli elementi che donano un accento particolare alle opere di Sturges, accento attraverso il quale codeste opere sono subito riconoscibili: un elemento etico, una sorta di volontarismo ottimistico che si diffonde sotto il segno calvinistico del successo, e un elemento comico nella linea del prodigioso Mack Sennett, ma filtrato attraverso il più elegante intellettualismo universitario e «clairiano». Che i protagonisti di, Sturges siano eroi della volontà destinati al successo è presto dimostrato. Se Thomas Gardner è addirittura l’eccesso di una riuscita (giunto all’apice della potenza egli vuole l’amore di una donna che potrebbe essere sua figlia), Claudette Colbert, che da vedova senza un soldo arriva al dominio di una grande industria alimentare in Imitation of Life; Jean Anthun, che in Easy Living si vede arrivare addirittura la ricchezza dal cielo; Barbara Stanwyck, che conquista d’assalto il cuore e i milioni di Henry Fonda in The Lady Eve; Joel McCrea infine che in Sullivan’s travels riconquista la libertà perduta per un eccesso di ottimismo, sono tutti, uomini e donne, sulla medesima linea. E aggiungerei che mai l’americanismo come comunemente lo si intende, cioè come una riuscita mescolanza di iniziativa, di ardimento, di ingenuità e di fortuna, si è presentato sugli schermi con più allegri e persuasivi colori.Ma è il senso univoco delle affermazioni e conclusioni sturgesiane ad apparirci a questo punto (e per poco che uno sia al corrente dei metodi di lavoro e dei tabù di Hollywood) rivelatore. Dopo l’allarme destato con The Power and the Glory, Sturges ha valutato il rischio: finire fuori dal cinema come Stroheim e tanti altri o, nel migliore dei casi, straniero in patria come questo e quello. Ecco allora, al soccorso, la seconda linea di Sturges, il suo senso del comico. È un espediente già noto agli scrittori intristiti dalla ferula della Controriforma; l’«egro fanciul» del Tasso è una comune conoscenza scolastica. La ragione per cui la deformazione comica assume in Sturges un significato etico, di liberazione, consiste nel fatto che, nei suoi film, l’elemento del ridere è quello che serve a introdurre nel «parco buoi»hollywoodiano ì vietati veleni della libertà di pensiero e della critica indagatrice: è attraverso le situazioni comiche, in altri termini, che lo Sturges fornisce un giudizio non conformistico ed eretico su certi aspetti della civiltà americana. Nei primi tentativi il ridere è fine a se stesso (Jimmy Durante che in Easy Living spegne e accende le luci del suo grande albergo per dar l’illusione di una clientela che non c’è); oppure c’è una satira, ma bonaria (in Imitation of Lite un tale, il caratterista Ned Sparks, dà via per una frittella un’idea che vale milioni); o anche si atteggia in umorismo patetico (sempre in Rasy Living, Jean Arthur che, ridotta a far buon conto degli ultimi «cents» racchiusi in un salvadanaio a forma di elefantino, gli benda gli occhi al momento dell’esecuzione»: un buon colpo sopra la proboscide col tacchetto della scarpa); o è in aspetto di enorme smargiassata (la sparatoria dei cacciatori in The Palm Beach Story, 1942). Poi le ambizioni si fanno luce ed è naturalmente nelle pellicole di cui il nostro è interamente responsabile. In The Lady Eve è di scena la donna americana. Tutti sanno che in conseguenza della legislazione pioniera la donna americana gode di incredibili privilegi giuridici e tradizionali; l’argomento è, naturalmente, tabù; nella versione convenzionale la donna Statunitense è angelica, pudica, tutta per i figli, ecc. Naturalmente, non è vero niente. Che fa Sturges, volendo mettere a fuoco l’argomento vietato? Ricorre alla farsa. Fonda, milionario timido e collezionista di retti-li, è la preda di Barbara Stanwyck. È un ritratto di donna al vetriolo, ma è passato senza danno per l’A. perché era tradotto in termini comici: si poteva far finta che non fosse vero, che si trattasse di una bizzarra invenzione di un bello spirito, tipo intelligente ma un po’ squinternato. In Sullivan’s Travels è un altro tabù a rimetterci le penne, cioè il mito del progresso e della civiltà USA come impareggiabili non solo, ma privi di imbarazzanti eccezioni. Ora, vicino ad ammirevoli riuscite, anche gli Stati Uniti hanno le loro zone d’ombra, le loro «aree depresse»; son nascoste tra le pieghe dei monti, lontane dalle grandi linee di comunicazione, ma ci sono. Sturges immagina che un regista di Hollywood, stanco degli orizzonti a rime obbligate, pensi di scoprire la vita dei poveri, e che, per raggiungere lo scopo, si finga povero egli stesso. D’avventura in avventura Sullivan, cioè Joel McCrea, finisce nel bagno penale di una «area depressa». I disgraziati galeotti si consolano delle frustate coi film comici della domenica. Sempre una trovata, la consolazione del dolore attraverso il riso, ma intanto il tumore è denunziato. Anche nei felici Stati Uniti d’America tutto non va nel migliore dei modi possibili. Nei suoi ultimi film, Sturges sembra tuttavia tendere a una comicità più libera, e quasi deserta di preoccupazioni satiriche. Uno, Meglio un mercoledì da leone, è interpretato da un vecchio comico del cinema muto, Harold Lloyd, ed è una sorta di Sunset Boulevard (Wilder) in chiave allegra. È un ritorno alla tecnica e allo spirito del cinema muto, a quegli anni tra il ‘20 e il ‘30 che molto intelligentemente quel bel tipo di Maurice Sachs ha chiamato «la decade dell’illusione». A soli cinquant’anni, e così voglioso di fare, Preston Sturges si trova dunque in una situazione privilegiata. Di tutti gli stratagemmi escogitati da uomini di cuore e di ingegno per forzare le porte dell’idiozia in technicolor, quello che Sturges ha sperimentato, se non il migliore, è risultato certo il più efficace. Se si vedono le cose con le necessarie cautele, Sturges si trova ora in una posizione analoga a quella del suo collega Molière (Sturges iniziò come commediografo) di fronte a Luigi XIV: tutto gli è permesso perché sa far ridere. Forse ha già fatto Le preziose ridicole e Tartufo; ora l’attendono, prove più difficili, Don Giovanni e Il misantropo. Gli restano cioè da affrontare, dopo l’ipocrisia sociale e la impudicizia muliebre, i temi della realtà oltremondana e della fondamentale solitudine dell’uomo.

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