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Rassegna stampa di Fritz Lang

Fritz Lang è un attore austriaco, regista, scrittore, sceneggiatore, è nato il 5 dicembre 1890 a Vienna (Austria) ed è morto il 2 agosto 1976 all'età di 85 anni a Los Angeles, California (USA).

DANIELE DI UBALDO
MYmovies.it

Dopo aver realizzato una convincente opera espressionista (Destino o Le tre luci, 1921), raggiunge il successo con un thriller (Il dottor Mabuse, 1922) e con una leggenda del Reno (I Nibelunghi, 1923-24) dove l'espressionismo rimane presente soprattutto nelle scenografie. Nel 1926 realizza uno dei film più apprezzati della storia del cinema, Metropolis.
La storia del film si svolge proprio in una ipotetica città del futuro, su cui domina un solo uomo, padrone delle fabbriche. L'aspetto mostruoso della città è nella sua conformazione: la parte inferiore, quella sotterranea, è abitata dagli uomini che lavorano, dai proletari ai quali è vietato salire sopra a vedere la luce del sole; la parte superiore è quella dei ricchi, in cui si gode di tutte le comodità assicurate dal lavoro dell'altra parte. L'unica eccezione è rappresentata da Maria, la predicatrice dell'amore tra gli oppressi, che un giorno ottiene il permesso di salire in alto. Il figlio del padrone non appena la vede si innamora di lei e la segue nei sotterranei, e qui scopre i grandi macchinari il cui funzionamento permette la vita alla città superiore. Il padrone mostra di non gradire la cosa, anche perché le idee umanitarie che Maria va predicando agli operai gli sembrano molto pericolose. Chiede così aiuto allo scienziato inventore delle macchine. Non sa però che questi è molto invidioso del figlio e così architetta un piano diabolico: progetta un robot con le sembianze di Maria e le mette in bocca discorsi che incitano alla violenza. Gli operai, ascoltando le «nuove» idee della Maria-robot, iniziano una sommossa che porta alla distruzione delle macchine. Andando in fumo la fabbrica, però, va in fumo anche il loro lavoro. Gli operai, a quel punto, vanno su tutte le furie: saliti nella parte superiore della città prendono il robot che credono Maria e le danno fuoco. Nel frattempo, la vera Maria riesce a fuggire dalla prigione dove l'aveva rinchiusa lo scienziato, che cerca di fermarla per timore che la sua riapparizione faccia comprendere a tutti il suo piano. Intanto, sotto gli occhi stupiti degli operai, il corpo della finta Maria si decompone nel fuoco e mostra così il suo scheletro d'acciaio. Il film termina con la morte dello scienziato, precipitato dall'alto di una cattedrale durante una colluttazione con Maria e col figlio dell'industriale, e con una riconciliazione tra operai e capitalisti.

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Suddito di Francesco Giuseppe, figlio dell'architetto comunale Anton Lang e di sua moglie Paula Schiesinger, frequenta la Volksschule e dal 1905 la Realschule, e legge avidamente i romanzi d'avventura di Karl May e di Jules Verne.
Tra i film visti con gli amici c'è il primo western dello schermo, The Great Train Robbery (La grande rapina al treno, 1903) di Edwin S. Porrer. Nel 1907, seguendo la volontà paterna, studia architettura alla Technische Hochschule, ma appena un anno dopo si trasferisce all'Accademia di Arti Grafiche per dedicarsi alla pittura. All'insaputa dei genitori lavora in due spettacoli di cabaret, Fernina e Hölle (Inferno).
Nel 1911 si lascia alle spalle la casa e l'infanzia iscrivendosi alla Staatliche Kunstgewerbeschule di Julius Dietz a Monaco, dove segue i corsi del pittore simbolista Stuck. In un clima bohèmien viaggia attraverso la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi, la Russia, la Turchia, l'Asia Minore, il Nordafrica, la Cina, l'isola di Bali, il Giappone. Si mantiene vendendo quadri, acquerelli, cartoline e vignette per i giornali tedeschi, si improvvisa consulente artistico in un circo e presentatore di cabaret.

DAVE KEHR
The New York Times

AN English sportsman (Walter Pidgeon), dressed in the full gentleman-hunter uniform of corduroy jacket and puttees, moves silently through a dark Bavarian forest, a high-powered rifle in hand. He lies on the ground to line up his shot, and through his telescopic sight we see his target moving into the crosshairs: no less than Hitler, strutting on a balcony at his mountain retreat. Pidgeon squeezes the trigger, but no shot rings out; he is merely on a “sporting shoot,” to see if he can get within range of his difficult quarry, and his gun is empty.
The opening sequence of Fritz Lang’s “Man Hunt” is still powerful today; imagine how it must have struck the audience on June 13, 1941, when “Man Hunt” opened at the Roxy in Times Square. The United States was still officially a neutral country, reluctant to be drawn into the conflicts raging in Europe and Asia, and Pidgeon’s empty gun was, in a sense, ours as well. America had the power to intervene but not, for the moment, the will.

MAURO GERVASINI
Film TV

Una vita che fu un romanzo quella di Friedrich Lang, suddito dell'impero austroungarico nato a Vienna il 5 dicembre 1890. Giovane pittore di un certo talento, con l'Austria nel cuore e Parigi negli occhi e nella mente. Le prime avanguardie e i timidi avvicinamenti al cinema. Si ricorderà, poi, di Rocambole e soprattutto dei Fantômas di Feuillade, che scuote la Ville Lumière dalle fondamenta. È un'epoca tutto sommato eroica, dove si è artisti anche e soprattutto se si passa all'azione. Lang si arruola e finisce in prima linea, in mezzo alle guerre di trincea del '15-'18. Combatte ed è ferito, promosso tenente comincia a portare il monocolo sulla sinistra. Poi il cinema e la Germania. Nel 1920 diventa cittadino tedesco, pienamente inserito nel tessuto culturale di una nazione in stato di profondissima crisi, ma anche agitata da impensabili fermenti. Conosce Thea von Harbou, ex moglie dell'attore Rudolf Klein-Rogge, che poi sarà Mabuse. Tra loro la passione è travolgente, feroce. La fidanzata di Fritz, Lisa Rosenthal, li scopre nell'alcova, va nell'altra stanza e si spara un colpo. Dopo la tragedia, i due amanti finiscono anche in tribunale. Ma la coppia furoreggia. Hanno talento e spregiudicatezza: lei scrive e lui inventa. Le danze si aprono con Destino (1921), coltissima incursione romantica nelle peripezie di una fanciulla che stringe un patto con la Morte per salvare l'amato. Lang sfodera un gusto immaginifico eccezionale, e riesce a non rendere ridondanti i massicci rimandi a Grünewald. Il film è un successo. Douglas Fairbanks lo distribuisce negli Stati Uniti e invita Lang a New York. Al cospetto di Manhattan, si apre un universo.

PIETRO BIANCHI

Il discorso che si dovrebbe fare sul regista Fritz Lang è un discorso lungo, che partirebbe dall’angoscioso dopoguerra tedesco del feroce disegnatore Grosz e degli «Elmetti d’acciaio» e giungerebbe sino ai lidi di California dove, fuggendo Hitler, il razzismo e i conflitti stolti del pantano europeo, Fritz Lang è arrivato negli anni in cui l’ex-imbianchino di Vienna stava consolidando, con astuzia e con metodo, il suo potere.
Qualcuno ha definito la Germania la patria dell’angoscia. Dal ‘700 almeno in avanti, suicidi, passioni, romanticismo esaltato, ritorno alla natura, nudismo e altre esasperate conclusioni sono nate dall’anima tedesca, che ad un certo punto è giunta a scambiare la terra, che è un valore immobile, con il dinamico sangue, che è un valore che cammina. Sia lecito a uno che guardò Fritz Lang con qualche sospetto al tempo de I Nibelunghi e di Metropolis, ma che sussultò poi sulla sua sedia di spettatore, pieno di entusiasmo al tempo de Il dottor Mabuse e di M, di accettare il Lang hollywoodiano con un’attenzione più aperta e convinta di quanto avesse mai accettato il Lang europeo.
In Furia Lang affrontò con occhi occidentali un fenomeno tipicamente americano, che un altro europeo, il Siegfried. aveva studiato nel suo classico libro sulla America del Nord, circoscrivendolo e spiegandolo nelle sue cause e ragioni: soltanto uno che fosse distaccato, uno che, per così dire, guardasse le cose con l’occhio scientifico dell’entomologo, o con quello, curioso e disincantato, del postero, poteva cogliere un male segreto, un bubbone vergognoso, con così esatto rigore.

FRANçOIS TRUFFAUT

A quelli che si irritano per l’ammirazione che i giovani cinéphiles portano al cinema americano, bisogna far notare che i migliori film hollywoodiani sono a volte firmati dall’inglese Hitchcock, dal greco Kazan, dal danese Sirk, dall’ungherese Benedek, dall’italiano Capra, dal russo Milestone, dai viennesi Preminger, Ulmer, Zinneman, Wilder, Sternberg e Fritz Lang.
Come Quai des brumes (Il porto delle nebbie, 1938) e molti dei film d’anteguerra, You only live once (Sono innocente) girato nel 1936, si basa sul tema del destino e della fatalità. L’azione comincia e vediamo Henry Fonda che esce di prigione, deciso a rigar dritto dopo due o tre peccatucci del tipo furto d’auto. Sposa la segretaria del suo avvocato il quale gli ha anche procurato un lavoro come camionista.
You only live once è il racconto di un ingranaggio: tutto sembra andare bene ma in realtà tutto va male e se Fonda, contro la sua volontà, “rifà il giochetto”, se “ci ricasca”, non è perché “chi ruba un limone ruba un milione”, ma piuttosto perché la società ha deciso che chi ruba un limone deve rubare un milione. In altre parole, ostinandosi a voler vedere in Fonda un ex-ergastolano, finisce per rispedirlo in galera cacciandolo prima da un albergo, poi dal suo lavoro. Accusato di una rapina che non ha commesso, condannato alla sedia elettrica, evade proprio quando la sua innocenza è finalmente riconosciuta; uccide il prete del carcere che gli sbarra la via e con la sua donna fugge nella foresta dove tutti e due moriranno uccisi dai poliziotti.
Si vede che questo film è nello stesso tempo ribelle e generoso, costruito su questo principio: gli onesti sono dei farabutti. In effetti, è il primo dovere di un artista dimostrare la bellezza di ciò che si riteneva laido e viceversa. Fritz Lang lungo tutto You only live once sottolinea la bassezza dei personaggi “sociali” e la nobiltà della coppia “asociale”. Non avendo più denaro, Eddie e Joan faranno il pieno di benzina senza pagare, sotto la minaccia di un revolver. Subito dopo la loro fuga, il benzinaio telefona alla polizia facendo credere di essere stato derubato di tutto l’incasso. Quando con la loro vettura forzano il primo blocco di polizia, un proiettore indirizzato a Joan colpisce invece una scatola di latte condensato: il latte è la purezza e la loro purezza protegge per il momento i nostri eroi.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Sulla sponda della letteratura e della cultura popolare si collocò subito, convinto, questo elegante pittore, figlio di un architetto, che accostò il cinema nel 1919 e diresse, due anni dopo, una storia di criminali internazionali (I ragni). Nel 1922, dopo un esperimento simbolico e inquietante (Destino), «prende in consegna» quel criminale assoluto -Il dottor Mabuse - che gli rimarrà appiccicato addosso e che, in fondo, bene caratterizza il suo stile: intrigo, lucidità, durezza, miseria umana, melodramma. I Nibelunghi in due parti lo gettano, felice, in braccio alla tradizione germanica (1924). Metropolis (1927), su soggetto della moglie Thea von Harbou, lo cattura invece con il fascino - più popolare e fastoso ancora della fantascienza: una impresa gigantesca, sgraziata e anche polverosa.

PAOLO MALTESE

Nato a Vienna, Lang è stato nel primo dopoguerra tedesco uno dei registi che ha saputo creare una serie di film, densi di atmosfere cupe e terrorifiche. Giovanissimo, abbandonò l’Austria, deciso a girare il mondo come pittore ambulante. Scoppiata la prima guerra mondiale, fu ferito in combattimento. Durante la convalescenza scrisse racconti e soggetti. I suoi primi lavori di carattere cinematografico furono infatti alcune sceneggiature realizzate per conto del produttore Erik Pommer. Nel 118 Lang ebbe occasione di lavorare con la scrittrice Thea von Harbou che, divenutane la moglie, collaborò attivamente alle sceneggiature dei suoi film. L’incontro con la scrittrice rappresenterà per il giovane regista una svolta radicale. Assidua collaboratrice in quegli stessi anni di Murnau, la Harbou contribuì a definire infatti il mondo del regista. Come osserva giustamente Sadoul (Storia del cinema) il vero esordio di Lang avvenne neL1922 con Der müde Tod, un’opera che, attraverso le drammatiche avventure di una giovane donna desiderosa di strappare alla morte il proprio fidanzato, tendeva a sottolineare la natura inesorabile del Destino. Col Dottor Mabuse, 1921-1922, Lang doveva creare una storia allucinante su di un superdelinquente pazzoide. Nel film Lang introdusse elementi raffinati - la pazzia, l’ipnosi, la scienza medica, le trasformazioni del dottore-criminale. «La sequenza della pazzia del conte Todd, uno dei protagonisti, che, ossessionato dalle visioni della camera buia, si suicida, era nello stile dei film fantastici e raccapriccianti di quel tempo» (Rudolf Arnheim, in «Cinema»‚ n. 28, 1949). Mabuse fu «un’opera glaciale, ed insieme crudele, uno dei prodotti più singolari e velenosi della costante vocazione tedesca per il disumano, realizzato attraverso il diabolico» (R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli, 1956).

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