La nuova versione del colosso Disney non apporta niente di nuovo alla magia dell'originale, comunque impossibile da ripetere.
di Giovanni Chessari, vincitore del premio Scrivere di Cinema
Nel 1966, in seguito alla morte del padre fondatore Walt Disney, l'omonimo studio di animazione conosce un periodo di forte disorientamento, con risultati ancora discreti al botteghino ma un entusiasmo degli addetti ai lavori decisamente più modesto rispetto a quello rivolto alle produzioni precedenti. La crisi raggiunge il suo apice nel 1985, quando arriva in sala Taron e la Pentola Magica: il film è una ventata di sana e orgogliosa ambizione in un tempo però scelleratamente sbagliato, finendo per detenere ancora oggi il primato per l'incasso più irrisorio per un lungometraggio animato, nonostante l'indiscutibile portata artistica del prodotto in sé.
È soltanto nel 1989 che inizia la ripresa economica di Casa Disney, quando La Sirenetta inaugura il fortunato decennio del cosiddetto "Rinascimento Disney". Ed è in questo clima di rinnovata fiducia di un pubblico riconquistato che nel 1994 si distingue Il Re Leone, destinato a diventare antilogia finanziaria di Taron, ovvero il maggiore incasso mai registrato nella storia della casa produttrice.
Adesso, questa seconda trasposizione sembra collocarsi in un periodo non solo altrettanto felice in termini economici (a giudicare dai risultati su scala mondiale nelle prime settimane di programmazione), ma anche cruciale nel nuovo corso di recupero classico intrapreso dalla Disney.
E se da una parte è innegabile che questo genere di usato sicuro rappresenti una via ormai più furba che coraggiosa, dall'altra è pur vero che gli spettatori paganti sembrano condonare ai produttori d'oltreoceano, quando non richiedere esplicitamente, quelle mancanze di innovazione spesso imputate a prescindere a realtà cinematografiche come quella italiana.
Ecco allora che la versione de Il Re Leone (guarda la video recensione) di Jon Favreau, già regista dell'adattamento in live-action de Il Libro della giungla, sembra obbedire ad un tacito e pacifico accordo con i fruitori di riferimento: non opta per dare all'antico significante un significato attuale, non maneggia la sostanza narrativa del passato in vista di un riflesso davvero significativo sul presente, non rivisita la materia bensì si limita a rieditarla.
Quel che cambia è la tecnica adoperata, che non rientra nelle modalità degli ultimi live-action (anche perché qui la presenza umana è appunto assente), ma che contempla un'accurata ricostruzione faunistica e naturalistica in CGI, strategia che aspira con successo a dissimulare l'operazione grafica di un mondo ricostruito ad arte nell'utopia di un'impossibile ripresa diretta dello stesso.