Scomparso a 88 anni uno dei fondatori della Nouvelle Vague.
di Pino Farinotti
Era uno dei legislatori della cosiddetta Nouvelle Vague. Fra la fine dei Cinquanta e i primi Sessanta un gruppo di scrittori di cinema decise di fare una rivoluzione, di scardinare gli ordinamenti del cinema. Si chiamavano Godard, Truffaut, Rohmer, Chabrol, Resnais. E poi c'era lui, Jacques Rivette. Tutti francesi, dunque gente pratica di "rivoluzione". Magari un po' generico e largo, ma il termine, onnicomprensivo, che può definirli è "cinefili&intellettuali". E come tali vollero che chi firma un film non fosse "solo" un regista che racconta una storia creata da altri, ma un autore che usa uno strumento, la macchina da presa, che ha una sua personalità e identità e una sua potenza, un mezzo che si emancipa e si evolve dal primo motore, dalla piattaforma grande che presiede a tutte le storie, che è la narrazione, e dunque la scrittura. Il "gruppo" possedeva tutte le informazioni, della scrittura e del cinema. Il loro posto, la loro cellula, erano i "Cahiers du Cinéma", una sorta di bottega del Verrocchio, fucina rinascimentale di talenti. Fatte tutte le debite, e indebite proporzioni naturalmente. Detto in termini semplici: gente da critica non da pubblico. Certo, a Parigi in quegli anni le ambizioni furono alte. Insomma i signori inventarono il "linguaggio" del cinema, ribadisco, come nuovo codice autonomo e, naturalmente, come nuova arte. Poi ciascuno dei profeti scelse la propria strada. E quelle scelte da Rivette erano molte, articolate e complesse, erano praticamente tutte le strade, dal poliziesco al rapporto fra realtà e finzione, fra vita quotidiana e palcoscenico. E tutte andavano esplorate, magari velocemente, e percorse secondo uno stile trovato e affinato, che era quello di insinuare il senso di una vicenda, girarle intorno senza poi risolverla, magari con la complicità dell'utente, anche se davvero non era facile essere "complici" dei signori della "Nouvelle". Jean Luc Godard, il leader riconosciuto del movimento, di Rivette diceva "Se io sono Robespierre, Jacques è Saint-Just." Significava una serie di assoluti: rigore, estremi, "cattiveria", nessuna attenzione al pubblico e nessun prigioniero.
Jean Luc Godard, il leader riconosciuto della Nouvelle Vague, di Rivette diceva "Se io sono Robespierre, Jacques è Saint-Just
Come sempre ricorro ad alcune sintesi "necessarie&sufficienti: un paio. Qualche anno fa un mio studente della Scuola Nazionale del cinema mi chiese di assegnargli un esercizio, "anche complicato, possibilmente difficile". Lo mandai a vedere Out 1- Noli me tangere, di Rivette del 1971. Qualche indicazione preventiva gliela diedi "... e rimani fino alla fine." Non gli dissi che il film durava dodici ore. Il ragazzo non fu più visto a Scuola. È diventato un dirigente, di buon livello, dell'Unicredit. Nel tempo libero... gioca a golf. L'altra citazione la ritengo decisamente importante, è Susanna Simonin la religiosa. Il film è tratto da un'opera di Denis Diderot, del 1758 uscito postumo nel 1796. È uno dei testi apicali della letteratura europea: sulla ragione, l'illuminismo e la laicità: sono gli anni della Rivoluzione. È la storia di una giovane vessata, oltraggiata, fra un convento e l'altro, che alla fine riesce a trovare una ragione di vita. Nel quadro del rapporto fra letteratura e cinema, che è difficile, improntato all'amore e odio, il film del 1966 rappresenta qualcosa di eccezionale, quasi un unicum. È notorio che il grande nodo che divide il libro dal film è il finale. Il cinema esige l'happy end, il master letterario quasi mai lo concede. Ebbene Rivette, più cattivo, più "letterario" della letteratura stessa, più rivoluzionario della rivoluzione stessa, decretò che la povera Susanna, alla fine morisse. Una prova di coraggio. Come dico nel titolo.