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La politica degli autori: Yasujiro Ozu

Quest'estate in sala sei film di un'artista gigantesco.
di Mauro Gervasini

In foto una scena di Il gusto del sakè.
Yasujirô Ozu (Yasujiro Ozu) 12 dicembre 1903, Tokyo (Giappone) - 12 Dicembre 1963, Tokyo (Giappone). Regista del film Il gusto del sakè.

mercoledì 1 luglio 2015 - Approfondimenti

Benedetta Tucker Film che distribuisce quest'estate in sala ben sei film di Yasujir Ozu: Tarda primavera (1949), Viaggio a Tokyo (1953), Fiori d'equinozio (1958), Buon giorno (1959), Tardo autunno (1960), Il gusto del saké (1962). Nonostante siano i primi tre i più celebri (Buon giorno, anche per chi scrive, è una splendida sorpresa), si tratta di sei capolavori, esempi di un cinema di cui si è perso lo stampo.

Ozu (1903 - 1963) è un personaggio gigantesco. Originario di Tokyo ma cresciuto in campagna, fin da adolescente amante della cinematografia e in particolare della diva del muto Pearl White, di cui porterà sempre appresso una foto, il giovane Yasujir, quando non fa a botte o non beve saké, pratica l'arte della macchina da presa. Bravissimo operatore, diventa regista negli anni '30 firmando una serie di pellicole rivolte alla realtà sociale del Giappone. Il sodalizio praticamente eterno con lo sceneggiatore Kgo Noda gli permette di riflettere sui cambiamenti del paese attraverso (soprattutto, benché non esclusivamente) storie familiari anche minime, dove possono confrontarsi, a volte aspramente, grandi dicotomie epocali come modernità e tradizione, ma anche autorità ed emancipazione. Non conosco purtroppo i film che precedono la Seconda guerra mondiale (alcuni andati perduti), ma so dagli studi di esperti come Roberta Novielli che opere quali Sono nato, ma... (1932) oppure Una donna di Tokyo (1933) sono di grande bellezza. La rivelazione per me, invece, è con Il chi è di un inquilino (1947), di cui esiste una bella versione in dvd francese (Récit d'un propriétaire), storia di una anziana vedova che accudisce controvoglia un bambino orfano di guerra, salvo poi struggersi nella solitudine quando il piccolo se ne va.

Dei capolavori Tucker è sicuramente il secondo, Viaggio a Tokyo, il più celebre. Una specie di Cupo tramonto (Leo McCarey, 1937) con due coniugi anziani che da Hiroshima raggiungono la capitale per incontrare i figli, algidi e distratti dalle cose quotidiane. Solo la nuora, vedova del figlio morto in guerra, dimostra evidente affetto. Non molto di più da un punto di vista narrativo, anche se le esequie finali del padre costringono madre e figli a un ultimo confronto; eppure si tratta di uno dei film meno minimalisti di Ozu, dove anzi i personaggi affrontano fatiche fisiche e lutti sentendo imponente il peso della Storia. Asciuttissimo, invece, lo stile, come è tipico del regista, estraneo a qualunque virtuosismo e invece attentissimo alla composizione dell'inquadratura e alla recitazione.

A concludere la rassegna Tardo autunno e Il gusto del saké (ultimo lavoro di Ozu), che hanno in comune il tema della memoria e del rimpianto, seppure diversamente declinati. Nel primo un gruppo di amici non più giovani, al capezzale di un compagno morto, ricordano la passione di tutti per la vedova del defunto. Nel secondo, a una riunione di ex compagni di classe, un uomo ripensa al proprio rapporto con la figlia, ancora nubile, e a come il matrimonio possa dare valore al proprio tempo e alla vita. Pochi mesi dopo l'uscita in sala di Il gusto del sakè (dove Ozu torna tra l'altro a sperimentare con il colore, come già fece con il suo primo film non in bianco e nero, il magnifico Fiori d'equinozio) il regista muore. Sulla sua lapide tombale è inciso solo l'ideogramma (mu), non traducibile se non con il concetto di impermanenza: quella del corpo destinato ad armonizzarsi con il tutto.

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