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La politica degli autori: Steve McQueen

Uno dei registi più interessanti della sua generazione.
di Mauro Gervasini

In foto Steve McQueen.
Steve McQueen (II) (Steven Rodney McQueen) (54 anni) 9 ottobre 1969, Londra (Gran Bretagna) - Bilancia. Regista del film 12 anni schiavo.

mercoledì 19 febbraio 2014 - Approfondimenti

Lo diciamo a maggior ragione dopo avere visto 12 anni schiavo, il film con Chiwetel Ejiofor e Michael Fassbender nelle sale dal 20 febbraio: Steve McQueen, britannico, classe 1969, è uno dei registi più interessanti della sua generazione. Questo non significa che non sia problematico, a volte controverso, anzi. Solo altri due lungometraggi all'attivo: Hunger (2008) a tutt'oggi il suo migliore, e Shame (2011). Anche, però, un passato e un presente da videoartista di fama mondiale. Sue installazioni sono (state) ospitate nei principali spazi espositivi del mondo (compresa una delle ultime alla Biennale di Venezia 2011, in contemporanea con il passaggio di Shame in concorso alla Mostra del Cinema al Lido). Per avere una completa percezione del suo percorso dovremmo metterci a studiare affinità e contaminazioni tra i suoi diversi linguaggi, cosa ardua per chi non bazzica abitualmente l'arte contemporanea. Tuttavia, un nucleo tematico è ben ricorrente in tutta la sua produzione: il lavoro sui corpi.

Baconiano, forse, nelle istallazioni e nei video concettuali. Ma atteniamoci al "trittico" di film. Hunger racconta la detenzione di Bobby Sands nel carcere di massima sicurezza irlandese tristemente noto come The Maze (il labirinto). A "perdersi" un uomo che per una ragione superiore (indipendenza, libertà, ma in fondo soprattutto dignita) regredisce nella consistenza materica rifiutandosi di mangiare e bere fino alla morte. Shame sposta l'attenzione su Brandon, un rampante trentenne di New York che ha a sua volta una deriva psicofisica causata da una cronaca dipendenza dal sesso, "consumato" senza alcun sentimento, da solo o con altri. Dall'anoressia di Hunger alla bulimia di Shame. Dalla fame/privazione alla vergogna/abbondanza. La sintesi con 12 anni schiavo, storia vera di Solomon Northup, nero americano nato libero, catturato con l'inganno e venduto come schiavo nelle piantagioni della Louisiana. Un calvario durato 12 anni, una storia vera come già per Bobby Sands.

Partendo dall'estensione di un concetto caro alla body art (il corpo è il primo territorio politico) McQueen racconta di una mortificazione quasi cristologia. La costrizione indotta e il rapporto con l'istituzione che esercita sull'individuo una violenza antistorica erano già in Hunger; questa volta però si percepisce l'esigenza di un maggior respiro narrativo, persino di un didascalismo eccessivo, quasi a voler rendere la vicenda più accessibile al grande pubblico, quindi meno radicale. Resta estremamente interessante il discorso sull'integrità della persona, che anche nel caso di Solomon passa attraverso la perdita coatta di identità (ne assume letteralmente un'altra) la tortura fisica e infine l'adattamento alla condizione di schiavo. La bella intuizione di McQueen è proprio quella di non confondere questo adattamento (tipicamente "animale") con la rassegnazione (tipicamente "umana"). Nel caso di Solomon la regressione basata sull'istinto di sopravvivenza sarà la sua salvezza, in direzione uguale e contraria rispetto alla parabola di Bobby Sands e Brandon. Michael Fassbender è l'attore feticcio di Steve McQueen, un po' il De Niro di Scorsese. Ma va sottolineata l'impressionante prova "umanistica" di Ejiofor, che da solo illumina 12 anni schiavo di una luce meno scontata.

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