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La politica degli autori: John Landis

Un regista dalla sensibilità ironica che diventa chiave di lettura del mondo.
di Mauro Gervasini

In foto il regista John Landis.
John Landis (73 anni) 3 agosto 1950, Chicago (Illinois - USA) - Leone.

mercoledì 20 giugno 2012 - Approfondimenti

Fatevi un regalo. Spegnete il televisore, abbandonate le postazioni consuete e andate al cinema. Anche se fa caldo. Il 20 e 21 giugno The Blues Brothers di John Landis torna in (qualche) sala nella sua versione digitale restaurata distribuita da Nexo. Chi ha già avuto modo di vederla parla di una resa davvero straordinaria per un film di 32 anni fa. Le avventure dei fratelli Blues, Jake (John Belushi) e Elwood (Dan Aykroyd), con Banda al seguito, le conoscono tutti. Hanno appassionato tre o quattro generazioni di cinefili, ma anche di fan dell'errenbi e del soul, generi musicali trasformati in fenomeno di massa per un pubblico diverso da quello afroamericano (la colonna sonora è tra le più vendute di tutti i tempi). Quanti possono però dire di avere visto il film su grande schermo? Ottima occasione, dunque, seppure per soli due giorni. La cogliamo al balzo anche noi per ricordare un paio di cose su John Landis (Chicago, 3 agosto 1950). Altro nome che non ha bisogno di presentazioni, sia chiaro, giacché la storia del cinema americano di almeno un ventennio passa attraverso i suoi successi, dal primo Animal House (1978), fenomeno di culto nei college e nelle università Usa di fine anni '70, a Una poltrona per due (1983) con Dan Aykroyd e Eddie Murphy, replicato in tv ogni Natale, fino al gioiellino horror Un lupo mannaro americano a Londra (1982) e a "Thriller" di Michael Jackson (1983).

Landis ha uno stile tutto suo e un genere, la commedia, attraverso cui filtrare tutti gli altri (pensate alla perfetta storia noir di Tutto in una notte, titolo suo alquanto sottostimato). Una sensibilità ironica che diventa chiave di lettura del mondo, mentre il cosiddetto demenziale è un grimaldello perfetto per scardinare ipocrisie comuni. Da molti anni Landis è ai margini di Hollywood. Per un cineasta del suo talento è quasi uno scandalo. Ma sappiamo quanto gli studios siano impietosi con chi da (troppo) tempo veleggia lontano dalle classifiche degli incassi. Suo figlio Max ha sceneggiato Chronicle di Josh Trank (2012) e forse anche per lui si prospetta un futuro da figlio d'arte che onora il ricordo del padre, come nel caso di Jason Reitman (Tra le nuvole, Young Adult), figlio di Ivan, antico sodale di John e produttore di Animal House.

Detto questo, negli ultimi anni Landis senior ha comunque realizzato piccole perle come Slasher (2004), documentario di rara intelligenza su un abilissimo venditore di automobili. Un film estremamente politico in un'epoca nella quale un presidente, George W. Bush, riusciva a "vendere" alla maggioranza degli americani qualunque panzana, a partire dalle armi di distruzione di massa di Saddam. Landis ha poi preso parte all'ambizioso (e diseguale) progetto televisivo di Mick Garris, Masters of Horror, con due episodi. Uno, Deer Woman (2005), piuttosto trascurabile a parte la magnetica bellezza della protagonista Cinthia Moura; l'altro, Family (2006), è più interessante. Racconta di un "vicino di casa" apparentemente innocuo che invece si rivela un sanguinario assassino. L'horror truce non è mai stato nelle corde del Nostro e anche in questo caso si privilegiano situazioni e figure ai limiti del grottesco. La vera punta di diamante è però recente. Con Ladri di cadaveri – Burke & Hare (2010) il regista torna al cinema di finzione ispirandosi a due loschi figuri vissuti in Scozia nel XIX secolo, William Hare e William Burke, che a Edimburgo trafugavano cadaveri da vendere a medici e cliniche per gli esperimenti. L'altra faccia del positivismo cinico e arrembante ma soprattutto la limpida metafora di un prototipo di società nella quale il mercato è talmente "libero" da non fermarsi di fronte a nulla, sacralità della vita e della persona in primis. Landis, per uno dei suoi film più politici, mantiene salda la barra dell'ironia, e proprio attraverso l'elaborazione della black comedy di stampo britannico (non casualmente il film è stato girato negli Ealing Studios, quelli delle commedie nere con Alec Guinness tipo La signora omicidi e Sangue blu) riesce a essere una volta di più implacabile e leggero.

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