Addio al regista greco. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Nel 2003 ero a Roma, con la delega dei Beni Culturali per il cinema. Era tarda sera quando mi chiamò Giuliano Urbani, ministro dei Beni culturali. "Sono ad Atene, la chiamo per una verifica estemporanea. Devo decidere adesso. Di là mi aspetta il ministro mio omologo. Ci chiedono una collaborazione, una partecipazione per un film di... Theo Angelopoulos. Un milione di euro..."
Non esitai un istante. "Glieli dia". Il ministro aggiunse: "Non vuole vedere il progetto, la sceneggiatura?" Risposi che non era necessario, che si poteva fare a scatola chiusa, che si trattava di uno dei più grandi autori europei. Urbani mi chiese ancora. "E gli incassi?... coprirà l'investimento?". "Probabilmente no" risposi ma non ha nessuna importanza. Sostenere Angelopoulos è doveroso, è un onore".
Il regista greco "era" semplicemente il cinema al massimo livello. La sua educazione culturale presentava tutte le giuste premesse: laureato in legge ad Atene, diplomato all'Institute des hautes études cinématographiques di Parigi, dal '64 al '67 diresse un giornale di idee progressiste, "Democratic Change", che venne chiuso con l'avvento della dittatura dei colonnelli. Conosceva in profondità la letteratura ed era innamorato della cultura del suo Paese, da Omero ai Tragici. Tutto questo viene riprodotto nei suoi film. Alla grande qualità artistica si legava la sua qualità umana, anche il coraggio. Anche l'incapacità di accettare compromessi. Coi "colonnelli" venne dichiarato persona non grata e di fatto esiliato. A Parigi Angelopoulos girò il suo primo cortometraggio, La trasmissione. Da allora Thoduros ha firmato film che fanno parte di diritto della spina dorsale del cinema. Non era un narratore aggressivo, gli interessavano storia e caratteri, ma soprattutto il linguaggio, la regia. Non amava "staccare", a favore del ritmo, indugiava sui piani sequenza per dare quel tipo di unità all'episodio, richiamava meccanismi teatrali, anche antichi, che tanto gli stavano a cuore. Rappresentava sentimenti semplici, piccoli, rendendoli vasti, raccontava la storia di un poeta esule o quella di generazioni di greci accomunate dalla sofferenza.
Era un vero autore, la sua casa non era l'Oscar, era il festival di Cannes, casa d'autore e di qualità, non del mercato. La memoria immediata richiama all'istante un film che fece storia, per il montaggio, la sconnessione temprale, chiamiamola così, La recita, del 1975. Fu quel titolo che lo segnalò al movimento internazionale. Meritava la Palma d'oro, che non gli venne attribuita. La Palma riparatrice arrivò ventitre anni dopo con L'eternità e un giorno. Amava gli attori italiani, soprattutto Gian Maria Volonté, che morì proprio sul set de Lo sguardo di Ulisse. Altri titoli da memoria immediata sono Il passo sospeso della cicogna, con Mastroianni e la Moreau, La sorgente del fiume, L'eternità e un giorno, l'ultimo, del 2008, La polvere del tempo. In questi giorni stava girando The other sea, con la partecipazione italiana, e con l'italiano del momento, Toni Servillo. Anche lui, Theo, era in fondo un "greco italiano". Ci tocca ancora di più.