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Il cinema che ha 'fatto' l'Italia

La 30° edizione del Premio Amidei celebra i 150 anni dell'Unità d'Italia.
di Marzia Gandolfi

Luca Zingaretti e Guido Caprino in una foto di scena di Noi credevamo.
Luca Zingaretti (62 anni) 11 novembre 1961, Roma (Italia) - Scorpione. Interpreta Francesco Crispi nel film di Mario Martone Noi credevamo.

mercoledì 20 luglio 2011 - Focus

Passa anche per lo schermo la storia di un Paese che celebra, pur tra discussioni, dissidi e divisioni, i 150 anni della sua Unità. Il Premio Amidei, dentro i suoi trent'anni di corso, non dimentica di (ri)pensare il Risorgimento attraverso la selezione di quattro pellicole che condividono un percorso di lettura 'critico' della vicenda risorgimentale. 1860, La pattuglia sperduta, Viva l'Italia!, Noi credevamo partecipano, contro le correnti calligrafiche, la propaganda politica e la strumentalizzazione delle risonanze emotive ed epiche (questo appare con maggiore evidenza durante il ventennio fascista), a una lettura più matura e coerente del tema risorgimentale, attraverso il recupero di una memoria storica troppe volte manipolata dall'ideologia dominante.
1860 di Alessandro Blasetti, realizzato nel 1934, fu prodotto per dimostrare una continuità ideale tra imprese risorgimentali e 'rivoluzioni' fasciste. Presentato a Gorizia nella versione amputata, in quella originale il film si concludeva con la "baldanzosa visione delle falangi fasciste che sfilano davanti ai reduci garibaldini sullo sfondo del Foro Mussolini", 1860 doveva mettere in schermo un fascismo a cui il regista credeva, attraverso la figura dell'eroe. Ma quell'eroe, Garibaldi, nel film di Blasetti è quasi invisibile e tutta l'attenzione è spostata su un giovane contadino siciliano per cui l'Unità di Italia è tutt'altro che un problema astratto. L'impianto ideologico del film viene improvvisamente meno e, lontano dalla retorica che lo aveva ispirato, 1860 finirà per non piacere al regime fascista né al pubblico raccogliendo al contrario il consenso della critica, che apprezzò lo sguardo corale, la genuinità dei dialetti e la "preso dal vero", fino a considerarlo temerariamente un antesignano del neorealismo italiano del dopoguerra.
Neorealista è indubbiamente La pattuglia sperduta di Piero Nelli, girato nel 1953, ambientato durante la prima guerra per l'indipendenza italiana e agito da otto soldati piemontesi che cercano di raggiungere la divisione comandata dal generale genovese Gerolamo Ramorino. Dichiarato da Mario Martone la fonte più prossima di Noi credevamo il film di Nelli rilegge le vicende del Risorgimento a partire dal popolo, secondo la poetica neorealista e contro l'addestrata retorica della storia ufficiale.
Altrettanto indipendente e svincolato dalle logiche politiche del tempo, correva l'anno 1961, il 'miracolo economico' e il centenario dell'Unità della nazione, fu Viva l'Italia! di Roberto Rossellini, cronaca della spedizione dei Mille contro i Borboni a Calatafimi e della liberazione di Palermo. Nonostante le pressioni ideologiche lambissero la materia in campo dal fuori campo, Rossellini riuscì ugualmente a spogliare Garibaldi e la sua epopea dal mito e dall'oleografia e a conferire alla rievocazione storica la concretezza della cronaca.
Chiude la sezione "Italia 150: Scritture di una nazione", Noi credevamo di Mario Martone, liberamente ispirato dal romanzo omonimo di Anna Banti. Scritto a quattro mani con Giancarlo De Cataldo, Noi credevamo è un film originale e magnificamente inattuale sul diffondersi delle idee risorgimentali e la loro fallimentare messa in pratica, attraverso le storie di Domenico, Angelo e Salvatore, tre giovani uomini del Sud di diversa estrazione sociale ma uguale vocazione: fare l'Italia. Cercando (e trovando) un modello di narrazione che mostra il senso implacabilmente umano delle imprese risorgimentali, senza indugiare nella retorica e privilegiando la misura anti-epica dell'eroe umano, Martone mette in scena la gestazione di una nazione mantenendo coi film considerati dalla rassegna un'ideale relazione dialettica. Relazione che muove due intendimenti: confinare nel fuori campo il pantheon eroico dei pochi audaci e interrogare con rispetto e serietà un periodo storico ancora inverificato e impalato dentro una mitologia oleografica.

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