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Slipstream, la vita è un sogno

Anthony Hopkins confeziona un film sperimentale, onirico e introspettivo.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Sogno e cinema

mercoledì 7 maggio 2008 - Incontri

Sogno e cinema
Sono affascinato dal tempo e dalla percezione degli eventi al di là del tempo. La vita ha una dimensione così illusoria e onirica, che credo che tutto sia un sogno... un sogno dentro un sogno". È Anthony Hopkins a parlare spiegando il motivo che lo ha indotto a scrivere Slipstream, l'opera seconda - se non consideriamo il reading audiovisivo Dylan Thomas: Return Journey - dopo il echoviano August. Contraddistinto da una trama narrativa non lineare, il nuovo film dell'attore-regista racconta di uno sceneggiatore di Hollywood alle prese con uno script che improvvisamente prende uno strano corso quando i personaggi iniziano a invadere la mente dell'autore. "Quando ho iniziato a lavorare al progetto mi sono chiesto: cosa accadrebbe se scrivessi una brutta sceneggiatura? Mi metterebbero in prigione? È stato un percorso di scrittura molto curioso e alla fine credo che il risultato sia interessante".

La genesi del film
Quattro anni fa, quando mia madre è venuta a mancare, ho iniziato a pensare un po' alla vita, al fatto che quando le cose finiscono, finiscono per sempre. All'epoca non stavo lavorando molto e mia moglie mi ha consigliato di scrivere qualcosa su quello che stavo passando. Non c'è stato un disegno predefinito, ho iniziato per gioco, non avevo niente da perdere. Ho scritto la prima scena e poi la seconda e la terza e sono andato avanti così. Per anni ho avuto la sensazione che tutto fosse illusione. Mi sono sempre sentito un outsider, per tutta la vita. E non è stato un fatto negativo, perché la rabbia che provavo nel sentirmi così mi ha portato a fare l'attore. La vita è strana e illusoria, e questa è la storia della mia vita.

Il piacere della provocazione
A 70 anni compiuti volevo realizzare qualcosa che fosse provocatorio e inusuale. Ho sempre voluto fare un film sperimentale, contro qualsiasi regola cinematografica e quando quattro anni fa ho iniziato a scrivere Slipstream mi sono lasciato andare, sperimentando un nuovo metodo di scrittura senza alcun tipo di preconcetto. Avevo in mente di fare qualcosa di unico e inedito e ci sono riuscito. Il film racconta di un uomo che, trascinato sulla scia di un tempo che si ripiega su se stesso, ricorda il proprio futuro. Sono intrigato dal fatto che man mano che divento vecchio, ogni momento scivola nel passato. Cos'è reale? Cos'è immaginazione o fantasia? Afferri questo momento e poi, improvvisamente, è andato. È tutto un sogno. E il mio film è una metafora della vita.

Un autore impavido
Sono convinto che se fai le cose senza timori né ansie puoi riuscire in qualunque impresa. Nel cinema, ma anche nella pittura, ho sempre seguito questa regola. Così, quando ho terminato di girare Slipstream, sono passato al montaggio del film e il mio produttore, Robert Katz, mi ha detto che mi sarei dovuto anche occupare delle musiche, non mi sono tirato indietro. Le ho scritte e composte e l'ho fatto senza paura. Voglio dire, se la colonna sonora non funzionasse non finirei comunque in prigione, no? Quando agisci senza paura di sbagliare ti appropri di una libertà che ti aiuta ad esprimerti nel miglior modo possibile. In ogni caso, se anche avessi fallito, la cosa avrebbe riguardato solo me e nessun altro.

Interpretare Hitler e Nixon
È affascinante calarsi in ruoli del genere perché tutti noi abbiamo un lato oscuro. Ricordo che quando interpretai Hitler, uno dei produttori del film mi disse: "Anthony, prova a essere meno umano". Ma non potevo! Hitler era umano, questo era il suo problema. Prendiamo Nixon per esempio. Era un uomo brillante, straordinario, coraggioso, ma era ossessionato dal potere. L'ego ti può distruggere e la verità è che tutti noi siamo egocentrici. Anche io, ma cerco sempre di placare il mio ego, metterlo per così dire al suo posto. Trovo che gli attori si prendano troppo sul serio e io non sopporto quando la gente inizia a darsi troppa importanza, trattando male il prossimo e distruggendo la loro vita. Così in Slipstream il personaggio di Christian Slater muore perché si prende troppo sul serio.

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