•  
  •  
  •  
Apri le opzioni

Rassegna stampa di Manoel de Oliveira

Manoel de Oliveira è un attore portoghese, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, fotografo, montatore, è nato il 11 dicembre 1908 ad Oporto (Portogallo) ed è morto il 2 aprile 2015 all'età di 106 anni ad Oporto (Portogallo).

DENNIS LIM
The New York Times

WHEN referring to the Portuguese director Manoel de Oliveira, it is now — and has been for some time — customary to affix the phrase “world’s oldest active filmmaker.” The operative word is “active.” Mr. Oliveira, who turns 100 in December, has made at least one movie a year since 1990 (when he was 82). His late-career surge, a gratifyingly long goodbye, defies preconceptions of what an artist’s twilight period should be. Mr. Oliveira’s undaunted productivity is remarkable, as is the undimmed creative vigor of his films.
The cultural critic Edward Said, in his writings on “late style,” identified two versions of “artistic lateness.” One produces crowning glories, models of “harmony and resolution” in which a lifetime of knowledge and mastery are serenely evident. The other is an altogether more restless sensibility, the province of artists who go anything but gently into that good night, turning out works of “intransigence, difficulty and unresolved contradiction.”
Mr. Oliveira, force of nature that he is, represents both kinds of lateness, often in a single film. In this, as in so many other respects, he is his own special case. What are we to make of an artist who hit his stride in his 70s, and for whom “late style” is in effect the primary style?
Many of Mr. Oliveira’s films have the pensive, melancholic quality of memento mori. But whether grappling with mortality (in “Voyage to the Beginning of the World” and “I’m Going Home,” both of which feature elderly protagonists) or with the birth pangs and death throes of empires and civilizations (“ ‘Non,’ or The Vain Glory of Command,” “A Talking Picture”), he poses many more questions than he answers.
His movies, full of backward glances, are too eccentric or perverse to be considered nostalgic. While it’s tempting to liken his inquiring spirit to that of a man a quarter of his age, his longevity is hardly incidental to the work. In his richest films Mr. Oliveira creates the impression of a one-man century of cinema, a living link between old and new: the ideals of the Enlightenment, modernism and European high culture on the one hand, the uncertainty and multiplicity of the present age on the other.

BRUNO FORNARA
Film TV

Prendiamo i suoi ultimi film. Quale altro regista può mai pensare di girare Un film parlato, film fedele al suo titolo, parlato dall'inizio fino a cinque minuti dalla fine (esplosiva!), diviso nettamente in due tra una lezione di storia della civiltà mediterranea, tenuta da una mamma professoressa alla sua bambina, e un'elegante discussione intorno a un tavolo da pranzo nel salone di una nave da crociera, con il comandante e quattro belle signore che, in inglese, italiano, francese, greco e portoghese (e ognuno capisce tutti gli altri!), parlano di amore, vita, affari, sentimenti e dell'inevitabile e prossimo tramonto e naufragio dell'Occidente. Non c'è nessun regista che possa dare a una sceneggiatura così stravagante la credibilità, leggerezza e profondità che Oliveira le regala, apparentemente senza il minimo sforzo.

EDOARDO BRUNO

Regista portoghese. Figlio di un agiato industriale, abbandona la direzione dell'azienda paterna per dedicarsi contemporaneamente allo sport e al cinema, realizzando a proprie spese un raro documentario muto, Duoro, faina fluvial (Duoro, ansa fluviale, 1929), dedicato alla vita dei portuali di Oporto. Il film, di notevole originalità e unanimemente apprezzato dalla critica, viene successivamente dotato di una colonna musicale e presentato al pubblico. Divenuto nel frattempo corridore automobilistico, realizza altri documentari e solo nel 1942 il suo primo lungometraggio, Aniki-Bobó, film denso di lirismo e simbolismo, ambientato interamente in esterni a Lisbona e interpretato da ragazzi di strada. Scompare poi dai set cinematografici per molti anni (studia in Germania e si sposa) riapparendo nel 1956 con O Pintor e a Cidade (Il pittore e la città), un appassionato documentario sulla sua città d'origine, che viene invitato alla Mostra di Venezia. Il film rimanda una sensibilità del tutto personale e piuttosto distante dai modi del cinema portoghese, nei quali O. non si riconosce, tanto che non dirige altri film fino al 1963, anno di Acto da primavera, che intreccia realismo e immaginismo in forme del tutto originali, seguito l'anno successivo da A caça (La caccia, 1964). Da allora la sua attività va in crescendo sia sul piano quantitativo che, soprattutto, qualitativo, all'insegna di una ricerca estetico-formale del tutto estranea a ogni forma di classicismo o di calligrafismo, segnata da uno stile per certi versi «impudente» e quasi «scandaloso» nella sua anticonvenzionale «inattualità» etica. Il passato e il presente (1971), Benilde ou a Virgem-Mäe (Benilde la vergine madre, 1975), Amor del Perdiçao (Amore di perdizione, 1978) sono altrettante conferme del suo sperimentalismo stilistico, che si manifesta pienamente in Francisca (1981), a chiusura di una ideale tetralogia cosiddetta «dell'amore frustrato». Quest'ultimo film, tratto da una vicenda vera, si presenta con la struttura del mélo, tuttavia «congelato» nella dilatazione del tempo filmico e nei modi della recitazione degli attori, i quali parlano guardando in macchina, con effetto straniante e insieme coinvolgente. In seguito la creatività del regista sembra crescere in modo esponenziale a dispetto del passare degli anni. Gira altri diciassette film, tenendosi sempre su un piano di rigorosa coerenza stilistica, con qualche virata sul grottesco, come in I cannibali (1988), e con qualche picco di più alto livello formale: La valle del peccato (1993), versione portoghese moderna di Madame Bovary, e I misteri del convento (1995), raffinato gioco filosofico che delinea un'originale rilettura del mito di Faust. Con Parola e utopia (2001) ricostruisce la vita di un grande predicatore gesuita del XVII secolo in un film che celebra la spettacolarità della parola entro un impianto figurativo debitore dei maestri della pittura fiamminga; in Ritorno a casa (2001) racconta il ritiro dalla scena di un grande attore teatrale interpretato da M. Piccoli, mentre in Il principio dell'incertezza (2002) si conferma raffinato conoscitore e indagatore dell'anima ispirandosi a un romanzo della scrittrice A. Bessa-Luís. Realizza quindi uno dei suoi capolavori con Un film parlato (2003), dove attraverso la parabola di una nave da crociera che fa sosta nei porti «storici» del Mediterraneo ricostruisce con limpida sintesi la storia dell'Occidente, per rendere alla fine visibile e tangibile lo shock prodotto dal terrorismo su un sistema di valori che il suo cinema continua a difendere con sguardo laico, partecipe e sincero.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Patriarca, mentore, sperimentatore principe di un piccolo cinema come il portoghese, Oliveira appartiene a una famiglia di facoltosi agrari e di industriali. Da giovane si dedica agli sport (atletica, corse automobilistiche), cura gli interessi, familiari, si avvicina al cinema con intenzioni vagamente populiste. Nel 1942 dirige un film interpretato da bambini (Akiki Bobò) che mostra qualche affinità con la contemporanea ricerca sull'infanzia infelice di Zavattini e De Sica. Ma i tempi per lui non sono maturi: il cinema può attendere, l'amministrazione dei beni no. Solo nel 1956 riprende in mano la macchina da presa ma nemmeno ora è la volta buona, perché si tratta unicamente di cortometraggi.

UGO CASIRAGHI

Il 18 giugno 1994, a Roma, Manoel de Oliveira ha ricevuto in Campidoglio il "David di Donatello" intitolato a Luchino Visconti. Era l'ultimo premio della lista - il ventiduesimo - ma assegnato al cineasta più prestigioso: un signore portoghese di ottantacinque anni, ancora in piena attività di servizio, che al festival di Cannes aveva presentato il suo film A caixa ("La cassetta") sorprendendo come al solito i suoi spettatori. La vecchiaia di questo artista, al ritmo di un film all'anno (e quali film!), è senza dubbio la più stupefacente che il cinema abbia mai veduto. Decisamente l'uomo ha ben riguadagnato, da ottuagenario e oltre, tutto il tempo che la lunghissima dittatura di Salazar nel suo paese gli aveva sottratto quand'era giovane.
Nato a Oporto il 12 dicembre 1908, figlio di un pioniere dell'industria, educato come Buñuel dai gesuiti in Spagna, campione di atletica (salto con l'asta) e di automobilismo, perfino trapezista col fratello Casimiro, il minimo che si può dire di Manoel de Oliveira è che anche in gioventù era un tipo fuor del comune.
In cinema avrebbe voluto essere attor comico, invece esordì a ventidue anni con il documentario Douro, faina fluvial, dedicato al lavoro nel porto e del tutto all'altezza della migliore scuola europea.
Quando nel 1931 venne presentato in anteprima a Lisbona durante il congresso internazionale degli scrittori (c'era anche Pirandello, che ne fu entusiasta), il pubblico della capitale - intellettuali in prima fila-reagì indignato. Non poteva tollerare che si mostrasse la realtà del lavoro invece del solito folclore, soprattutto agli stranieri. Quale vergogna per Oporto, famosa nel mondo per il suo vino. Tra il Porto con la maiuscola e il porto con la minuscola, il primo vero cineasta del Portogallo sceglieva il secondo. Era la prima provocazione di Oliveira e non sarebbe stata l'ultima.
Per un decennio dovette occuparsi d'altro, tenendosi però in esercizio con qualche documentario su ordinazione e magari inserendovi - così, per non annoiarsi - qualche gag comica. Solo nel 1942 firmò il primo lungometraggio con attori, Aniki-Bobó il cui titolo è un ritornello infantile per un gioco tipo guardie e ladri. Ma infantile, nonostante i limiti imposti dai produttori e dalla censura, non era il film che, anticipando di un anno I bambini ci guardano di De Sica sul rapporto bambini-adulti, ne rovesciava i termini. Come in Zéro de conduite di Jean Vigo (il genio francese cui dedicherà un omaggio televisivo nel 1983) Oliveira si schierava per il "disordine" dei piccoli contro l`ordine" dei grandi; e sebbene lo facesse con mano leggera rispetto al modello, si attirò la riprovazione dei genitori e delle autorità.
Altri quattordici anni di silenzio - venticinque dal cortometraggio d'esordio - prima del secondo documentario riconosciuto come proprio, Il pittore e la città del '56 (la città è sempre Oporto, bagnata dal Douro). Nel frattempo si è dato all'agricoltura, sperimentando naturalmente metodi nuovi. Ma, col chiodo sempre fisso del cinema, si è anche recato in Germania a studiare il colore. E dal 1959 in avanti i suoi film, brevi o lunghi, saranno tutti a colori.
Il pane nasce come documentario voluto dagli industriali dei mulini e si converte in un poemetto sulla natura, sul lavoro dell'uomo («guadagnerai il pane col sudore della fronte»), sulle aberrazioni sociali (per essere più esplicito, il regista introduce all'improvviso Guernica dì Picasso). La caccia è mediometraggio narrativo ispirato a un fatto di cronaca, che diventa un apologo atroce sul sottosviluppo e sulla mancanza di solidarietà. Un ragazzotto caduto in uno stagno è in procinto d'essere ripescato, quando un anello della catena di mani si rompe; e mentre il gruppo dei soccorritori si mette a litigare, rischia di affogare anche l'anziano che aveva afferrato la testa del disgraziato, e che a sua volta prega «datemi una mano» tendendo un braccio che termina in un moncherino. Qui il film, nella sua folgorante profondità, sì chiudeva. Ma la censura salazariana volle un minuto aggiuntivo di lieto ime.
Tra l'uno e l'altro, il lungometraggio Acto da primavera (che si potrebbe tradurre Mistero di primavera) è, nel 1963, un primo vertice dell'arte di questo autore completo, che produce, scrive, dirige, e cura personalmente fotografia, sonoro e montaggio. La Passione di Cristo viene interpretata secondo l'arcaico testo in versetti di un "mistero" del Cinquecento, recitata da contadini del nord che la rappresentano tradizionalmente a Pasqua, e raccontata dal cineasta in modo da creare insieme partecipazione e distanziazione; quest'ultima attraverso gli strumenti del cinema che entrano in campo. Da entrambe poi discende, in questa religiosità non archeologica ma militante, la forte metamorfosi forale, quando dal lenzuolo che avvolge il corpo del Salvatore (che non risorge) si passa al Cristo quotidianamente ricrocifisso dei tempi nostri: ricrocifisso dalla violenza, dalle guerre, dall'atomica, povero bimbo asiatico che urla in un deserto di ceneri.

Vai alla home di MYmovies.it »
Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | Serie TV | Dvd | Stasera in Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | TROVASTREAMING
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati