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I dannati, un racconto dolente sulle guerre fratricide, sulla loro solitudine e la loro inutilità

Roberto Minervini attinge per il suo racconto all’attuale divisione interna degli Stati Uniti, non mancando di evidenziare la pericolosità di affidare significati religiosi al conflitto. Presentato a Cannes e ora al cinema.
di Paola Casella

domenica 19 maggio 2024 - Focus

Come si diventa uomini? E come si rimane uomini quando intorno c’è una guerra deumanizzante, come lo sono tutte le guerre? Sono queste le domande al cuore di I dannati scritto e diretto da Roberto Minervini, la cui storia è stata creata insieme a Jeremiah Knupp e Tim Carlson, che nel film interpretano i ruoli di uno degli scout e del sergente alla guida di un piccolo contingente, incaricato di presidiare le terre di confine inesplorate dell’Ovest durante la Guerra di Secessione americana.

C’è chi è in quella guerra per essere dalla parte giusta della Storia, in particolare riguardo al tema della schiavitù, chi ritiene di seguire la volontà di Dio, chi ha bisogno di definire la propria identità adulta e chi semplicemente aveva bisogno di un lavoro. C’è anche chi non sa nemmeno più perché è lì, a guardare verso quel niente che era nel 1962 la frontiera Ovest degli Stati Uniti: ovvero il Far West, qui raccontato come una landa desolata e non come la terra promessa dei coloni e dei cowboy.

Così come Fango, sudore e polvere da sparo? di Dick Richards nel 1971 e Balla coi lupi di Kevin Costner nel 1990 decostruivano il mito del il Far West come affermazione del pioniere maschio, bianco e in qualche modo privilegiato, I dannati racconta la Guerra Civile come un western laconico, desaturato e privato di ogni entusiasmo avveniristico, dettagliandone fango, freddo e paura, attese interminabili e assalti improvvisi e imprevisti. La fotografia di Carlos Alfonso Corral, anche autore delle musiche originali, staglia queste le solitarie degli scout contro un fondale livido dove anche i possibili nemici diventano sagome indistinte.


In foto una scena del film I dannati di Roberto Minervini.


Il gruppetto passa altrettanto tempo intorno al fuoco a riposarsi e cercare un po’ di calore che a scalare montagne e andare in cerca di valichi, ed è intorno al fuoco che ognuno e confronta la propria idea di vita e di virilità, senza troppa retorica e, per alcuni, senza troppa convinzione.

Minervini crea una parabola sull’inutilità delle guerre fratricide attingendo all’attuale divisione interna degli Stati Uniti, e illustra la pericolosità di affidare significati religiosi al conflitto, giustificando a se stessi gli omicidi “necessari”. E la scoperta delle nuove armi da fuoco rimanda Il mestiere delle armi, in cui Ermanno Olmi raccontava da pacifista l’inizio dell’escalation per sentirsi invincibili.

I dannati è un racconto dolente e crepuscolare (invece che una celebrazione della vittoria dei Nordisti) che comunica anche a livello sensoriale la solitudine e l’inutilità di ogni conflitto, regalandoci momenti di commozione verso questo sparuto manipolo di cercatori di senso capaci di scaldare i piedi l’uno all’altro e di godere di quella pace temporanea che la parte aggressiva della natura umana maschile sembra volere regolarmente minacciare.


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