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Verso una nuova Guerra fredda? Il messaggio del film Tatami

La tensione crescente, le pressioni politiche, i rischi di un'escalation. Al cinema c’è un'opera che richiama tutto questo e assume, già dalla nazionalità dei registi, un innegabile valore politico.
di Roberto Manassero

Zahra Amir Ebrahimi 1981, Teheran (Iran). Interpreta Maryam nel film di Zahra Amir Ebrahimi, Guy Nattiv Tatami. Al cinema da giovedì 4 aprile 2024.
mercoledì 17 aprile 2024 - Focus

Non è esagerato pensare che il mondo di oggi sia molto simile a quello di 40 anni e più anni fa: senza che quasi ce ne accorgessimo, un’altra guerra fredda si è profilata all’orizzonte, fondata su vecchie e nuove polarizzazioni politiche. Con il timore che la tensione s’innalzi ulteriormente, assistiamo a un conflitto continuo fra superpotenze anch’esse vecchie e nuove (Usa ed Europa da una parte, Russia e Cina dall’altra), con il Medio Oriente a fare ancora e sempre da terreno di scontro.

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile, l’attacco dell’Iran a Israele – risposta al bombardamento dell’ambasciata iraniana a Damasco da parte di Tel Aviv – ha tenuto il mondo col fiato sospeso ricordando a tutti l’esplosività del conflitto fra i due paesi. Pochi giorni dopo, poi, il finale di una mezza maratona a Pechino, in cui tre atleti africani hanno lasciato vincere l’idolo cinese di casa, ha invece ribadito come qualsiasi ambito pubblico, dallo sport allo spettacolo (le ingerenze del governo iraniano nell’ultimo Festival di Berlino o le polemiche suscitate dalle cerimonie della stessa Berlinale e degli Oscar sono cronaca di poche settimane fa…) possa diventare terreno di giochi e scontri politici.

Tutto questo emerge benissimo in un film uscito da poche settimane, Tatami - Una donna in lotta per la libertà, presentato a Venezia e diretto da un regista israeliano, Guy Nattiv (autore del biopic su Golda Meir), e da un’attrice franco-iraniana all’esordio nella regia, Zar Amir Ebrahimi, già Palma d’oro a Cannes per Holy Spider. Il film è dunque di per sé una dichiarazione d’intenti: una collaborazione fra popoli e nazioni in guerra, «una cena al centro della terra» per citare il titolo di un romanzo dello scrittore ebreo-americano Nathan Englander, in cui s’immagina un incontro tra un’israeliana e un palestinese nei cunicoli di Gaza…


In foto registi e cast del film Tatami.

Siamo ai Campionati mondiali di judo a Tiblisi, in Georgia, e la protagonista è un’atleta iraniana, Leila Hosseini, fortissima e tra le favorite al titolo. La possibilità che possa incontrare in finale la rivale israeliana scatena il pugno di ferro del regime: prima invitata e poi costretta a ritirarsi, Leila resiste alle ingerenze e mentre al telefono invita il marito e il figlio a fuggire dall’Iran (e assiste alla tortura del padre) continua a presentarsi sul tatami e a gareggiare lealmente.

Nel bianco e nero contrastato della fotografia, con la tensione che incrocia l’andamento del torneo e il conflitto fra Leila e i rappresentati del suo governo, Tatami diventa un inatteso e potentissimo thriller, nonché uno dei più riusciti film sportivi degli ultimi anni.

Dentro c’è tutto: l’autoritarismo dello Stato islamico, la ritorsione sui cittadini che lottano per la libertà, la coercizione delle donne (all’apice dello sforza atletico Leila si sfila la fascia elastica che le copre il capo), l’indipendenza dello sport, l’amicizia fra atlete di nazioni nemiche…


In foto una scena del film Tatami.

Nattiv e Zar Amir (che dal 2008 vive in esilio in Francia dopo aver rischiato la lapidazione in seguito alla pubblicazione di un suo video intimo pubblicato senza consenso e che nel film interpreta l’allenatrice di Leila, prima delatrice e poi sua compagna d’esilio) sanno di giocare pesante, sia politicamente sia narrativamente, ma proprio per questo il loro film acquisisce un innegabile valore politico.

Come, del resto, altri film iraniani visti di recente ai festival, da Kafka a Teheran di Ali Asgari e Alireza Khatami, presentato a Cannes lo scorso anno, a per l’appunto My Favourite Cake, presentato in concorso a Berlino senza la partecipazione dei due registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, invisi al regime: se dunque il cinema è il sintomo dello spirito di un paese, allora, forse, qualcosa in Iran sta per succedere. E non è per forza l’inizio di un’altra guerra da combattere coi missili.


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