Anno | 2023 |
Genere | Azione |
Produzione | Giappone |
Durata | 131 minuti |
Regia di | Takeshi Kitano |
Attori | Yoshiyoshi Arakawa, Tadanobu Asano, Kenichi Endo, Haru, Ryo Kase Masanobu Katsumura, Yûichi Kimura, Kenta Kiritani, Ittoku Kishibe, Takeshi Kitano, Kaoru Kobayashi, Shido Nakamura, Kazunari Ninomiya, Hidetoshi Nishijima, Susumu Terajima, Kanji Tsuda, Nao Ohmori, Makoto Ôtake. |
MYmonetro | 2,85 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 25 maggio 2023
Nel Giappone del XVI secolo iniza una sfida tra clan. I combattenti dovranno decidere presto da che parte stare.
CONSIGLIATO SÌ
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1579. Nobunaga Oda, signore della guerra intenzionato a conquistare tutto il Giappone, chiede ai propri vassalli di stanare Murashige Araki, datosi alla macchia e sospettato di cospirare contro Oda. Ma è tutta la corte a essere un coacervo di intrighi e doppiogiochismi, di cui Oda è consapevole. In particolare si distinguono l'astuto Mitsuhide Akechi e lo scanzonato Hideyoshi Hashiba, soprannominato "la Scimmia". Umiliati dagli abusi di Oda, i vassalli cominciano a coalizzarsi per cospirare contro di lui, anche se nessuno sembra essere completamente affidabile.
La leggenda racconta che nel 1993 Akira Kurosawa, dopo aver ascoltato l'idea di Takeshi Kitano su un film epico di samurai da realizzare, sentenziò che, una volta concluso, sarebbe stato superiore al suo capolavoro I sette samurai.
Trent'anni dopo Kitano riesce finalmente a portare a termine quel progetto, dopo aver condotto nel frattempo una lunga carriera, costellata di grandi film e con qualche sporadico inciampo. Difficile dire come sarebbe stato allora, visto che il Kubi che conosciamo è figlio del suo tempo, il 2023, e di un regista che sembra sempre più prossimo a un abbandono più volte preannunciato (benché sempre smentito), per ragioni anagrafiche e di crisi di ispirazione (come a suo tempo evidenziò il geniale dittico di Takeshis' e Glory to the Filmmaker!, seduta di auto-analisi condotta attraverso il cinema). Lo sguardo di Kitano quindi unisce il disincanto della maturità all'entusiasmo del progetto di un tempo, in un contrasto che risulta a volte stimolante e in altri casi semplicemente bizzarro e dissonante. A mettere in chiaro cosa riserveranno i 130 minuti di film è la sequenza di apertura, in cui da un corpo decapitato, inquadrato in primo piano, fuoriescono dei granchi. Grand guignol e humour nero caratterizzeranno da lì in avanti la mattanza tra i samurai al servizio di Oda, con l'introduzione di una moltitudine di personaggi piuttosto complessa da memorizzare. Nella coralità di Kubi lo spazio su grande schermo viene ripartito tra le varie star coinvolte, quali Ryo Kase (Hill of Freedom), Hidetoshi Nishijima (Drive My Car) e Tadanobu Asano (Tabù - Gohatto), che affiancano l'anziano Beat Takeshi, di nuovo presente davanti e dietro alla macchina da presa. Per sé Kitano ritaglia un ruolo ormai classico, che ricorda molto da vicino l'Otomo della trilogia di Outrage. Trasponendo nel war movie in costume quanto visto in Outrage Beyond per il mondo yakuza, abbiamo la storia dell'improbabile ascesa di un uomo che si è fatto da solo, provenendo dalla campagna, e che non ha mai mostrato ambizioni in un mondo di squali disposti a tutto per raggiungere il potere. Mentre i capi si tradiscono e si scannano, a prevalere alla fine è il sempliciotto che irride le regole non scritte della comunità di appartenenza, la "scimmia" a cui nessuno dava importanza, e a cui Kitano infonde il suo inconfondibile humour bislacco.
Le gag slapstick, con tanto di sosia, ceffoni e vari gradi di ottusità, si alternano alle esplosioni di violenza, come esplicita il titolo, che deriva dall'oggetto - kubi bukoro - utilizzato per raccogliere le teste mozzate dei nemici, testimonianza indiscutibile della loro morte. Un connubio, quello tra sangue e risate, del tutto abituale per Kitano, ma a distinguere Kubi dai predecessori è il consistente budget profuso, riscontrabile nelle molte riprese in esterno e nel dettaglio di costumi e ricostruzione delle molte battaglie tra samurai, che corroborano l'idea di un Kitano intenzionato a girare il suo personale Ran o Kagemusha. Quel che non ci sarebbe stato ai tempi di Kurosawa, ma che invece accompagna spesso i drammi in costume dopo Tabù - Gohatto di Oshima, è il tema dell'omosessualità tra samurai. Kitano lo affronta senza girarci intorno e condendo il tutto di humour un po' datato, che sottolinea il lato evidentemente ridicolo delle relazioni tra guerrieri tutti di un pezzo. In sostanza un progetto troppo a lungo rimasto in gestazione e che paga il prezzo di questo con un andamento diseguale e impressionista, che alterna scene pregevoli a lungaggini che ripetono il medesimo concetto infinite volte. Nonostante il gigantismo della messa in scena, comunque, il regista mantiene un tono quasi intimo e famigliare, riunendo attorno a sé tutti gli attori a cui si è più affezionato: un cast che sa di famiglia allargata, alla maniera di Ford e Scorsese, con Tadanobu Asano e l'eterna spalla Susumu Terajima. I fan di Beat apprezzeranno incondizionatamente, ma è solo a loro che Kubi si rivolge. Il neofita deve rivolgersi altrove, a Sonatine o L'estate di Kikujiro, per conoscere il vero Kitano.
Si sa: il mondo aziendale giapponese ha sempre conservato forti tratti feudali. Ce lo mostrano, fra gli altri, decenni di quella trasparente allegoria di quel mondo che è il cinema yakuza. In quel genere, la trilogia Outrage di Takeshi Kitano (2010-2012-2017) è stata un utopico prontuario su come si possa sopravvivere da scheggia impazzita in un ambiente così infido.
Takeshi Kitano racconta un momento cruciale della storia giapponese, quel periodo tumultuoso che sta per concludere l'era Sengoku degli Stati belligeranti. In particolare, al centro di Kubi c'è l'evento chiave del 1582, l'incidente di Honno-ji, che segna la fine di Oda Nobunaga, il grande generale che aveva dato il via alla riunificazione del Giappone feudale, lacerato da una moltitudine di clan rivali. [...] Vai alla recensione »
Sui titoli di testa del nuovo film di Takeshi Kitano, il diciannovesimo in trentaquattro anni di carriera, l'ideogramma ?, leggibile come forma fonetica Kubi, viene tranciato di netto, con la parte superiore del segno che cade. La traduzione letterale di Kubi è "collo", e il film è letteralmente disseminato di teste tagliate, divelte dal corpo con un rapido e preciso colpo di katana.
Il periodo Sengoku della storia giapponese, che va dal 1467 al 1603, ha rappresentato un'epoca di guerre feudali sanguinarie, che si sono concluse con la riunificazione del paese sotto lo shogunato Tokugawa, e a la successiva era di pace, l'epoca Edo. Il cinema vi ha ambientato parecchi film, da Kagemusha e Ran di Akira Kurosawa, a un altro classico come The River Fuefuki di Keisuke Kinoshita.
Sei anni dopo il dimenticabile Outrage Coda (Fuori concorso a Venezia) Takeshi Kitano torna a Cannes - in Première - con Kubi, film che rilegge reali avvenimenti accaduti nel Giappone del XVI secolo, tormentato da conflitti sanguinari tra governatori rivali. Adattamento del suo omonimo romanzo, Kubi riporta il cineasta nipponico nei territori cinematografici del fortunato Zatoichi (2003), film che [...] Vai alla recensione »