Anno | 2021 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Italia |
Durata | 88 minuti |
Regia di | Beatrice Baldacci |
Attori | Irene Vetere, Lorenzo Aloi, Hélène Nardini, Elisa Di Eusanio, Paolo Ricci (II) Federico Rosati. |
Uscita | giovedì 28 aprile 2022 |
Tag | Da vedere 2021 |
Distribuzione | PFA Films |
MYmonetro | 3,13 su 12 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 21 aprile 2022
Nell'estate dei suoi diciotto anni, Giulio si innamora della figlia dei vicini, Lia, una ragazza tanto disinibita quanto introversa che sembra nascondere dei segreti. Il film ha ottenuto 1 candidatura ai Nastri d'Argento, In Italia al Box Office La Tana ha incassato 22,3 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Estate. Giulio aiuta i suoi genitori nella tenuta di campagna. Nel casale vicino, da molto tempo disabitato, sembrano essere tornati i proprietari. Si tratta della loro figlia, Lia, una ragazza tanto disinibita quanto introversa. Impone il proprio punto di vista su tutto senza possibilità di contraddittorio. Giulio se ne innamora. Ma Lia e quel casale nascondono un segreto.
L'opera prima di Beatrice Baldacci fa scoprire una regista che ha davanti a sé la possibilità di un percorso interessante nel panorama del cinema italiano.
Servita purtroppo non completamente (forse a causa del non elevato budget) da una fotografia che, in particolare negli esterni diurni, non offre il giusto spessore alla tensione che attraversa tutto il film, Baldacci sa però come sfruttare al meglio la sceneggiatura. Si dimostra infatti capace di dirigere i suoi due protagonisti consentendo loro di approfondire anche le più sottili stimolazioni che provengono dal copione. Sia Irene Vetere che Lorenzo Aloi costruiscono un progressivo avvicinamento e conducono a una scoperta (che è bene che lo spettatore venga a conoscere insieme a Giulio) che al contempo chiarisce e complica il loro rapporto. La Lia di Vetere è tanto apparentemente sicura di sé e incapace di sorriso da far comprendere che questi atteggiamenti sono solo la maschera di una fragilità interiore. Il Giulio di Aloi prova i tormenti dell'amore per qualcuno che sembra accendersi e spegnersi sadicamente a intermittenza e ne soffre come un adolescente (e non solo) può soffrirne. Baldacci ne esplora i volti e i corpi trovando sempre la giusta misura finalizzata a costruire quell'attenzione nei loro confronti che nel cinema si traduce in una forma di rispetto per lo spettatore.
Nei giochi infantili, la tana è quel luogo sicuro in cui ci si rifugia per salvarsi o nascondersi da un avversario (ludico). A rincorrere Lia, giovane donna introversa, è la vita, a stanarla è Giulio, vicino di casa con una manciata di anni in meno. Le stagioni e l’esperienza che li separano si riducono con l’entusiasmo di chi scopre per la prima volta l’alba. Ma nella tana del titolo, Lia custodisce un dolore e un segreto.
Al riparo dalla bellezza del mondo, che Beatrice Baldacci, al suo esordio, sublima con la luce d’estate, la protagonista accudisce sua madre, l’ombra di sua madre, affetta da una malattia degenerativa. Ed è più difficile gestire il martirio d’estate, quando le porte e le finestre sono spalancate, quando il sole ti invita a uscire e a fare l’amore sul prato. L’autrice posiziona camera e sguardo proprio lì, in quello spazio che non è più dentro né fuori. Uno spazio bucolico e brulicante di vita come un giardino che entra in camera col sole.
In quell’intervallo fisico e ideale è difficile chiudersi anche per Lia, che attraversa i campi, arriva al fiume o all’orlo di un precipizio fino a incontrare Giulio e a giocare con lui la morte in pieno sole. Perché Lia flirta con la morte che declina creativamente: scavare fosse in cui seppellirsi per un bacio, procedere a marcia indietro verso l’abisso, guidare a fari spenti nella notte “per vedere se poi è tanto difficile morire”, come per sua madre, spenta da dentro e appassita nel giardino che amava tanto.
Beatrice Baldacci frammenta il suo racconto in due istanze, il romanzo di formazione convive col tema della fine dei giorni, piantati generosamente nella natura e in un décor che non si limita a creare un’atmosfera. Alberi, fiori, acqua, sole, cielo, nuvole hanno un ruolo da giocare: schiudersi e diffondere sensazioni. Un’atmosfera fatta di malinconia, di sospensione temporale, di dolente dolcezza. Nel film ogni elemento contribuisce a comporre un corpo impossibile da smembrare.
C’è un gusto per l’erranza e il sensibile nel cinema germinale della Baldacci, che attinge le sue risorse da una perdita e da un’educazione sentimentale. La seconda bilancia la prima, prendendo su di sé il mal di vivere e il male da vivere. La morte in agguato che rode la protagonista è in risonanza con la fine dell’adolescenza di Giulio. tana disegna allora una concomitante separazione da un ambiente protetto, quella bolla che prima o poi qualcosa o qualcuno fa scoppiare. Tutto si gioca sotto la superficie delle cose, della campagna, della vita, dell’estate, stagione ambivalente con la sua bellezza a portata di mano come il vuoto, e quello che traspare non è niente comparato ai tormenti che affliggono Lia.
Non è mai facile al cinema filmare la malattia o la morte. Come possiamo rappresentare il declino, la scomparsa, il nulla? Come può il cinema, arte del visibile e della presenza, osservare quell’invisibile e silenziosa lavoratrice? La regista accompagna il non figurabile con due testimoni che non sono mai stati più vivi. Irene Vetere e Lorenzo Aloi, luminosi e in controtempo, dimostrano una determinazione e un gusto del rischio (e dell’abisso) impareggiabili. Con loro la vita si impone, dappertutto, come quell’idea essenzialmente spettacolare e catartica che è il cinema.
La tana è un film che si aggrappa al fiore della giovinezza e a due protagonisti che lo magnificano. Nel buio di una casa senza più intenzioni, resta la morte e la sua ombra, che r-inizializza la vita, sconvolge i luoghi familiari e rimescola le carte dell’identità. Sottoposti alla rude prova del reale, Lia e Giulio fioriscono come “belle di notte”, il fiore del crepuscolo che si nasconde ai raggi del sole e si accende nelle notti d’estate.
Una giovane regista italiana che attraverso la Mostra del Cinema di Venezia si affaccia sulla scena del presente e del futuro. Beatrice Baldacci viene dall’Umbria, da Città di Castello, e dopo tanti anni a Roma e vari corti esordisce con il suo primo lungometraggio, La Tana. A Venezia ci è arrivata grazie a Biennale College, la sezione del festival che si occupa di selezionare e sviluppare “in casa” i progetti degli esordienti internazionali più meritevoli. L’abbiamo incontrata per parlare del suo film, dal 28 aprile in sala, e delle sue idee di cinema.
Beatrice, un percorso lungo con Biennale College che ti ha portato dalla concezione del film fino alla sua presentazione. Com’è stato?
Ci è voluto un anno e mezzo, con tanta preparazione e solo tre settimane di riprese. Ma gli ultimi ritocchi li abbiamo fatti pochi giorni prima del passaggio a Venezia.
Il film lo hai anche scritto in prima persona. Che tipo di opera è La tana?
È un film nato con l’idea di raccontare Lia, un personaggio femminile molto particolare, visto attraverso una prospettiva esterna che diventa quella di Giulio, il protagonista maschile. Due ragazzi che vengono messi di fronte ai limiti del corpo, alla sua finitezza, mentre il loro è ancora così innocente e in fiore.
Nella tranquillità della provincia e della campagna, Giulio e Lia stanno molto da soli e hanno il tempo e lo spazio di esplorare uno strano rapporto tra eros e thanatos.
Sì, la mia protagonista è attirata dalla morte e dalla sofferenza. E la natura è nel film una forza capace di rigenerare anche ciò che muore. Ho lavorato alla sceneggiatura assieme a Edoardo Puma, lavorando su Lia mentre lui scriveva di Giulio. È stata una tensione creativa che ci ha portato a identificarci molto con i personaggi, tanto che sul set ci chiamavano con i loro nomi.
Gioca col concetto contenuto nel suo titolo, La tana, esordio nel lungometraggio della regista Beatrice Baldacci (classe 1993), già autrice di un corto, Supereroi senza superpoteri (presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, sezione Orizzonti) che in parte anticipava i temi qui contenuti. Ci gioca nel doppio senso di rifugio, luogo in cui nascondersi dal mondo e celare un segreto - una malattia, [...] Vai alla recensione »
Giulio ha appena compiuto diciott'anni. "Auguri ranocchio", gli dice la mamma mentre con il papà lo abbraccia quasi soffocandolo. Durante l'estate questo atletico giovanotto riccioluto aiuta in campagna i genitori, occupandosi amorevolmente delle piante. E tutto idilliaco, come se Adamo ed Eva fossero rimasti nell'Eden, avessero avuto un figlio e noi spettatori stessimo vedendo un film su quell'amorevole [...] Vai alla recensione »
Se in parte il senso di deja vù determina le primissime impressioni che colgono lo spettatore di La tana, è vero anche che il diradarsi dei dubbi si fa concreto nel momento in cui il film della giovane regista di Città di Castello, svela una sua sicurezza espositiva, il suo intendimento. Un obiettivo che è tutto contenuto nel racconto del disagio di Lia, la protagonista, che deriva dalla sua scelta [...] Vai alla recensione »
Chi ha detto che i limiti di qualcosa-qualcuno, possano invece generare una forza nuova e risolutrice? Vale nella vita, come nel lavoro, e in progetti come "La tana", opera prima e miracolosa di Beatrice Baldacci, realizzata con pochissimo budget, nata all'interno di Biennale College, prodotta da Andrea Gori e Aurora Alma Bartiromo. Un lavoro sussurrato, delicato, pieno di sfaccettature e linfa, capace [...] Vai alla recensione »
Un ragazzo e una ragazza, due case vicinissime eppure estranee, lontane, inaccessibili l'una all'altra. E tutt'intorno alberi fitti e acque limpide, una natura che sprigiona magica bellezza e oscura inquietudine. Sono questi gli ingredienti principali di La tana, promettente opera prima di Beatrice Baldacci, passata e premiata alla Mostra di Venezia e alla Festa di Roma.
Un posto in campagna, d'estate. Due casolari. Uno è abitato da una famiglia: moglie, marito e il figlio Giulio di 18 anni che vive un rapporto profondo con la natura, la terra, i fiori. L'altro, confinante, è abbandonato, finché un giorno vi torna la ventenne Lia, che in quel luogo era cresciuta. È una ragazza silenziosa, scontrosa, si comporta in modo misterioso.
È un talento su cui scommettere, quello di Beatrice Baldacci, autrice di un film piccolo e personale, realizzato a "micro budget" nell'ambito di Biennale College, e proiettato a Venezia e a Roma. Baldacci riprende le immagini amatoriali di famiglia, al centro del suo cortometraggio Supereroi senza superpoteri, e allestisce una narrazione rarefatta in una campagna priva di riferimenti temporali.
Che cos'è una tana? Un luogo dove trovare rifugio oppure un posto sinistro da cui guardarsi? Forse entrambe le cose e il film d'esordio di Beatrice Baldacci, finanziato da Biennale College per Venezia 2021 e premiato a Roma ad Alice nella Città, si muove come un metronomo tra l'una e l'altra accezione. Giulio vive in campagna con i genitori, l'estate dei 18 anni oziosa e calma come le precedenti, quando, [...] Vai alla recensione »
Cosa succederebbe se Éric Rohmer tingesse d'ombra le sue estati senza tempo? È ciò che, almeno in apparenza, pare chiedersi la giovanissima Beatrice Baldacci, qui alle prese con il suo primo lungometraggio. Le sequenze iniziali ci riportano in una terra di nessuno cronologicamente disancorata dal nostro spaziotempo, sospesa in un limbo tra racconto morale e spauracchio per bambini.
Tra i film italiani presentati alla Festa del cinema di Roma figurava La tana, esordio di Beatrice Baldacci, in concorso per Panorama Italia di "Alice nella Città" e insignita del Premio Raffaella Fioretta per il cinema italiano. Un lungometraggio a basso budget realizzato all'interno del programma Biennale College e già proiettato alla Mostra di Venezia.
Era il 2019 quando alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti veniva premiato il cortometraggio Supereroi senza superpoteri, della regista esordiente Beatrice Baldacci. In quel caso, le immagini d'archivio di famiglia rappresentavano la principale dimensione di conforto per l'elaborazione della malattia di cui soffriva la madre della regista.