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Natale in Casa Cupiello, stavolta “’O presepe” è riuscito benissimo, rivisitando questa strenna natalizia senza snaturarla

Ci si commuove fino alle lacrime in una storia di intramontabile bellezza.
di Paola Casella

lunedì 14 dicembre 2020 - Recensioni

Anni Cinquanta, antivigilia di Natale. Luca Cupiello vive in una casa piccoloborghese di Napoli con la moglie Concetta e il figlio Tommasino, che dorme in camera con i genitori mentre il fratello di Luca, Pasquale, si è installato in casa e non accenna ad andarsene: e fra zio e nipote l’attrito è costante. La figlia di Luca e Concetta, Ninuccia, ha deciso di lasciare il marito più anziano che la famiglia le ha fatto sposare con una lettera in cui gli rivela il suo amore per Vittorio, un ragazzo meno ricco. Concetta sa tutto ma Luca è all’oscuro, anche perché la sua ossessione sotto Natale è costruire il presepe più bello del vicinato. “Te piace ‘o presepe?” è il tormentone di Natale in casa Cupiello, classico del teatro di Eduardo De Filippo, che interpretava magistralmente il ruolo del protagonista, ora adattato per lo schermo piccolo, ma grande nelle intenzioni di Edoardo De Angelis. Il regista cofirma la sceneggiatura dal soggetto di Eduardo insieme a Massimo Gaudioso, lavorando sul linguaggio con rispetto ma senza sudditanza, aggiungendo e aggiornando delicatamente parole e svolte narrative, e arricchendo la messinscena di elementi di linguaggio filmico che hanno a che fare con la vicinanza dei corpi e dei respiri.

Quel che è profondamente diverso in questa terza trasposizione per la Rai - le primi due, del ‘62 e del ’77, erano dirette dallo stesso De Filippo – è la resa cinematografica, che pur rimanendo prevalentemente entro i confini delle quattro mura del titolo movimenta continuamente l’immagine: il piano sequenza iniziale, i primi piani ravvicinatissimi pensati per evidenziare alcuni personaggi lasciando gli altri fuori fuoco. Un paio di volte De Angelis ci fa uscire a prendere aria fra i vicoli di Napoli, sulle note del commento di Enzo Avitabile, ulteriore piano di un linguaggio che, pur aggiungendo numerosi elementi linguistici e narrativi, resta comunque in levare, verso una rarefazione della forma che mette a nudo l’essenziale.

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