mauridal
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mercoledì 16 ottobre 2019
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un jolli joker per un vincente poker
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Quando il cinema prende a prestito un personaggio e una storia , creati per il fumetto e vuole realizzare una trasposizione filmica ovvero da disegno a personaggio umano , da racconto disegnato su carta in movie story , con ambientazioni reali, e dunque da fantasie immaginate a fantasie realizzate in verosimili storie con personaggi umanizzati , allora la scommessa di una piena riuscita cinematografica , risulta difficile . Questo film , da un Joker fumetto di Batman con una sua propria coerenza , diventa per mano del regista Phillips , un Joker disperato reietto , scarto sociale ,malato mentale definito Joker da un conduttore di talk show della TV americana anni ottanta.
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Quando il cinema prende a prestito un personaggio e una storia , creati per il fumetto e vuole realizzare una trasposizione filmica ovvero da disegno a personaggio umano , da racconto disegnato su carta in movie story , con ambientazioni reali, e dunque da fantasie immaginate a fantasie realizzate in verosimili storie con personaggi umanizzati , allora la scommessa di una piena riuscita cinematografica , risulta difficile . Questo film , da un Joker fumetto di Batman con una sua propria coerenza , diventa per mano del regista Phillips , un Joker disperato reietto , scarto sociale ,malato mentale definito Joker da un conduttore di talk show della TV americana anni ottanta. La storia che ne segue Ë quasi irrilevante poiché tutto il film si basa sulla interpretazione del personaggio fumetto Joker, realizzata in chiave umana , dallo straordinario attore che Ë Joaquin Phoenix. Certo la sceneggiatura del film accompagna la vicenda di Arthur Fleck /Joker ma in definitiva Ë solo la faccia, il corpo e le azioni dell'attore che salvano il film. Tutta la storia sceneggiata si aggroviglia in una matassa senza un vero bandolo , poiché appare troppo debole il filo della malattia mentale ridanciana di Arthur Fleck /Joker, che lo porta , dopo una prima parte di analisi introspettiva del personaggio, ben riuscita, a diventare infine un leader di bande di delinquenti reietti che si ribellano ad una vita da poveri disgraziati in una città dominata da ricchi si presume capitalisti al potere in una metropoli americana. Il tutto sulla falsariga di un Joker per metà assassino pazzo delinquente , e per l'altra metà un Leader Maximo dei diseredati. Dunque un bel pasticcio di cake all'americana che non apporta un granché alla chiarezza della situazione delle società dominate dalla ricchezza di pochi elementi contro la grande quantità di povertà ed emarginazione di troppa umanità . Merito del film Joker, intanto è di aver almeno intuito il tema e di reinterpretare l’ essere Joker , il personaggio giusto , in maniera tale da colpire l'immaginazione di un vasto pubblico di cinema, oltre i confini del fumetto. (mauridal ) .
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emanuele 1968
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martedì 15 ottobre 2019
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malattie mentali
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Forse un po troppo violento
però a il suo perchè
tante analogie che si vedono in televisione
grande Joaquin
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sarac
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martedì 15 ottobre 2019
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capolavoro
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E' DECISAMENTE IL FILM DELL'ANNO.
Non ce una minima inperfezione in tutto il film, è un capolavoro.
Filnalmente un intero e unico monologo dedicato a uno dei cattivi per eccellenza della storia cinematografica!
Ottima, perfetta, indimenticabile interpretazione di Joaquin Phoenix.
E' la prima volta che esco dal cinema cosi soddisfatta ed emozionata dopo tanto tempo.
Veramente eccezionale!!
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andrea damiani
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lunedì 14 ottobre 2019
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il riso e il pianto
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Arthur ha un disturbo neurologico che gli provoca attacchi incontrollati di riso proprio nei momenti in cui vorrebbe esprimere rabbia e dolore. L'inferno della malattia mentale Comincia proprio in questo modo, nell'incapacità di comunicare al mondo il proprio intimo essere. Un essere che, paradossalmente, va progressivamente perdendo se stesso nella follia, ma proprio raggiungendo questa si libera dalle menzogne che lo avevano finora incatenato. "Non sono mai stato felice un solo giorno in tutta la mia vita" dice il protagonista, il quale ha già scritto nel suo quaderno che la cosa peggiore per chi ha una malattia mentale è che gli altri si aspettano che lui si comporti come se non ce l'avesse.
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Arthur ha un disturbo neurologico che gli provoca attacchi incontrollati di riso proprio nei momenti in cui vorrebbe esprimere rabbia e dolore. L'inferno della malattia mentale Comincia proprio in questo modo, nell'incapacità di comunicare al mondo il proprio intimo essere. Un essere che, paradossalmente, va progressivamente perdendo se stesso nella follia, ma proprio raggiungendo questa si libera dalle menzogne che lo avevano finora incatenato. "Non sono mai stato felice un solo giorno in tutta la mia vita" dice il protagonista, il quale ha già scritto nel suo quaderno che la cosa peggiore per chi ha una malattia mentale è che gli altri si aspettano che lui si comporti come se non ce l'avesse. Poetica la scena dei movimenti del protagonista nel bagno della stazione,momento in cui il futuro Joker inizia a prendere coscienza dell'assurdita dell'esistenza, non solo sua ma di tutta la società che lo circonda. Illuminante la sequenza in cui, dopo aver brutalmente ucciso il suo ex collega, lascia andare il povero nano terrorizzato, non prima di aver finto di voler aggredire anche lui: Arthur sa di essere spaventoso, ma non rinuncia al gioco, esasperando quel senso dell' umorismo che connota la sua psiche malata e il suo ossessivo desiderio di fare il comico. Il riso e il pianto si fondono insieme.
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roberto
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lunedì 14 ottobre 2019
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grazie phillips, grazie phoenix
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Nel momento in cui entrate in sala rimuovete dalla vostra mente il termine "cinecomic", sarebbe un insulto. Questo film è molto di più, è un film d'autore che si rifà molto al "Taxi Driver" di Scorsese. E' un film profondo, ragionato, equilibrato, ben scritto, mai noioso, che cresce col passare dei minuti ed esplode nelle scene finali. E' un film mostruoso e talmente potente che alla fine anche i più sfegatati sostenitori dell'uomo pipistrello sono tentati dallo schierarsi con il clown perchè riescono, ora, a comprenderlo. L'impressione che hai all'uscita della sala è di aver visto qualcosa di strano, di qualità, di perfetto. La colonna sonora è semplice ed efficace, perfetta. Non riesco a trovare difetti.
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Nel momento in cui entrate in sala rimuovete dalla vostra mente il termine "cinecomic", sarebbe un insulto. Questo film è molto di più, è un film d'autore che si rifà molto al "Taxi Driver" di Scorsese. E' un film profondo, ragionato, equilibrato, ben scritto, mai noioso, che cresce col passare dei minuti ed esplode nelle scene finali. E' un film mostruoso e talmente potente che alla fine anche i più sfegatati sostenitori dell'uomo pipistrello sono tentati dallo schierarsi con il clown perchè riescono, ora, a comprenderlo. L'impressione che hai all'uscita della sala è di aver visto qualcosa di strano, di qualità, di perfetto. La colonna sonora è semplice ed efficace, perfetta. Non riesco a trovare difetti. Phoenix merita l'Oscar. Phillips scrive e dirige meglio di Nolan. Se siete un fan dell'uomo pipistrello non potete perdere questo film, se non lo siete non badate al titolo della pellicola e andate a vedere la storia di un semplice uomo, sfortunato e malato. Questa pellicola prova che per fare un bel film non servono montagne di dollari ed effetti speciali. Basta avere un'idea, saper scrivere una sceneggiatura ed avere un regista che sa fare il suo mestiere. Fa capire quanto sia bassa la qualità dei film Disney/Marvel sia dal punto di vista della sceneggiatura che della regia. Questo film rimarrà un cult, un punto di riferimento per tutti i progetti che seguiranno.
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loland10
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lunedì 14 ottobre 2019
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arthur e il...clown re
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“Joker” (id., 2019) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore newyorkese Todd Phillips.
Una risata ci seppellirà; Un volto annulla lo schermo; Un mare di immondizia ci coprirà; Un applauso è un colpo in canna; Uno sguardo ci annienterà; Una vita paga della disperazione;Un clown è circo malefico; Uno show per la celebrità. Il piatto odorante di vizioso contrappasso … è pronto.
Strano modo di uscire dalla sala, strano modo per essere coinvolti, strani mondi in Arthur Fleck, strani mondi quelli della pura follia. O meglio la pazzia come confine labile, fragile e tragico tra un esempio e l’esempio.
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“Joker” (id., 2019) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore newyorkese Todd Phillips.
Una risata ci seppellirà; Un volto annulla lo schermo; Un mare di immondizia ci coprirà; Un applauso è un colpo in canna; Uno sguardo ci annienterà; Una vita paga della disperazione;Un clown è circo malefico; Uno show per la celebrità. Il piatto odorante di vizioso contrappasso … è pronto.
Strano modo di uscire dalla sala, strano modo per essere coinvolti, strani mondi in Arthur Fleck, strani mondi quelli della pura follia. O meglio la pazzia come confine labile, fragile e tragico tra un esempio e l’esempio. Tra una schiuma di labbra esplosive e un fuoco interiore atroce e troppo violento.
Il regista firma il suo film marchiato di presente e di ieri scontento dell’oggi; arriva ad una pellicola che ‘non è una notte da leoni’ irriverente e sadica, ma una ‘vita da sconquasso ’ con un’arma libera di tutto e da tutto, tragica e inespressa. Ecco che il sangue ne rimarca il simbolo di un luogo simbolo dove l’eroe non c’è e tutti (forse) aspettano. E’ il cinema che ancora deve iniziare.
Un film orribilmente forte e tragicamente (in)comico; il pugno allo stomaco arriva per immagini già viste e che hanno segnato lo schermo (da Kubrick a Scorsese passando per tutti i dintorni) alcuni lustri fa. Ciò che inorridisce è che ti aspetti (dopo una trentina di minuti) quello che avviene. E non può essere altrimenti. Metropolitane veloci, vicoli bui, corridoi al neon, appartamenti sconci e stanze miserevoli: non un spiraglio di lena vita, non un piccolo poro di arguzia positiva, non un filo di aria respirabile. Tutto gronda di sudore inviperito, tra trucco ingrossato e pelli sfinite, in un putiferio di ‘bella-notizia’ per il popolo notturno e vorace che aspetta il male sopra una carcassa di un’auto. Lo skyline non ha la forma dei grattacieli metropolitani ma le onde delle braccia del ‘clown’ e la forma ‘ inospitale’ di uno sguardo che scarnifica il volto pieno di ‘purè’ di rosso. Arthur è il clown, Joker è il vile corpo che fa ondeggiare la colonna vertebrale e risaltare macabramente le costole. Non ci sono
Il ‘De Niro scorsesiano’ (da ‘Re per una notte’ a ‘Cape Fear‘) si annienta e si morde, si compiace e si azzera davanti al gaudente applausometro; non passa il testimone a Joker ma vive il suo alter-ego. Una scommessa perdente (e che forse annulla veramente il molto fatto prima) o meglio una parte di fine carriera che senz’altro aggiunge poco e toglie troppo. D’altronde Scorsese è nella produzione: a scanso di doppi e tripli argomenti.
E ‘La notte del giudizio’ (trilogia del regista James DeMonaco) è dentro il film che sconvolge per alcune scene cruente e ridondanti nell’orrore: compiaciute o no sa di meccanismo già visto. Una pistola si prende e un paio di forbici ci sono sempre: il resto va da se. Solo, un alieno a tutti, come l’amico nano che inaspettatamente si ritrova al centro della scena, con un seti che corre e non rincorre il suo sguardo in fuga.
Il dramma della famiglia che esplode e si annienta. Una madre e il figlio. Ma poi è il figlio di chi… Arthur vuole spazio, vuole farsi notare, vuole la camera per se, da una vita scarnificata ad una clown-azione che cerca un riscatto senza il (vero) sorriso. La presa in giro continua e l’isolamento si trasformano in un circolo vizioso orribile e senza nessuno sconto. Il Joker diventa ‘giustiziere’ in ogni dove senza paura.
Nel film il gioco si trasforma in incubo vero e il riso irriverente e non conosciuto è segnato dal sangue.Tutto questo si dice per quello che si vede. Sentirlo è durissimo. Il pugno allo stomaco rimane forte. Certo è che il vivere male va da se, il vivere meglio si vuole, il vivere macabro meglio non pensarci, il vivere a Gotham City per una festa di grugno sanguigno e di scaraventi violenti come un epilogo di inizio battaglia fa scoppiare le vene e desta il ricordo, condensato di neuroni follia, di un certo cinema poco alimentare, tra Kubrick e Scorsese e ciò che il cinema anni settanta ha generato.
Una (quasi) vita di ordinaria follia tra feroci risate (peregrinanti) e sguaiati resoconti di sangue. Un film dove l’empio si ricongiunge e gli astri sono dalla sua parte, dove ogni destino si ritrova festante con bandiere tetre e sanguinolenti. Un film dove il sorriso finale è solo di sangue, di arcuato dolore e di sfintere oltre ogni dove.
La città è in subbuglio e il soqquadro vivere è solo dentro una pallottola che arriva. Prima il gesto con le dita, poi il gesto copiato, poi la pistola scarica e poi la pistola dove le pallottole si scaricano con un piacere di gusto feroce.
‘Siamo venuti perché abbiamo saputo di tua madre’, ‘Come mi sento....mi sento libero da ogni cosa’. Joker non solo ride in in modo anomalo, ma scompone gli e il suo sguardo con due oculari che ricordano la pazzia vera di un ‘cuculo’ di riferimento e la ‘camera-in-mano’ (‘Shining’) cinematografica che fu di ieri tra corridoi poco illuminati e di un tetro dove non si vedono neanche le porte di ingresso. Jack Nicholson ne fu prigioniero.
Sceneggiatura di traino per piacere dove ogni gesto è costruito i. Modo metodico e dove il ballo di joker diventa uno spot ...non facile fa emulare ma possibilmente...si.
Joaquin Phoenix: è magistralmente in parte o il clownesco modo si addice alle sue forme; non vorrei che il ruolo gli si attaccasse per sempre: è un rischio. Ma…si legge di un seguito. Cosa fare? Meglio non dire nulla e ricordare l’attore ne ‘Il gladiatore’ di R. Scott.
Robert De Niro: marchia il suo stile con classe e non certo fa fatica (data la sua grandezza). “Un’ultima cosa…mi puoi presentare come Joker” dice Arthur a Murray, e di risposta “E Joker…sia”. Ecco il passaggio è avvenuto tra l’ironia di uno spettacolo e la vita truce di un folle. Senza freni con un solo colpo. E per compiacere (forse il pubblico in sala cine) mentre non confà (al pubblico dello show che si dilegua in un battibaleno).
Fotografiadi Lawrence Sher (collaboratore del regista): acre e sconcia, scarna e aleatoria; fortemente dileguante.
Musicadi Hildur I. Guðnadóttir con afflato roboante, metrica da metallo(ro).
Regia: vistosa, referenziale, acuta e triste, vispa e languida.
Film opinabile che non rivedrei volentieri a stretto giro (e forse neanche un po’ dopo) e che traina giudizi di omnia capolavoro (o quasi) ma l’originalità inciampa in più tratti: Joker con J. Phoenix ruba il film a tutti (fagocitando recitazione e sceneggiatura). Si rischia il vintage e l’omnia referenza (comprensiva).
Voto: 7/10 (***½) -cinema disfatto-
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aleksandros2002
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lunedì 14 ottobre 2019
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un gran bel film! da non perdere.
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Non concordo con la recensione di Marianna Cappi. Il film per me è bellissimo! Io credo che il Joker di Phillips sia davvero straordinario e molto diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto. Il regista usa il personaggio e la città di Gotham come “appliglio” narrativo per raccontare una storia che pochissimo ha a che vedere con il ben noto fumetto di Batman. Si tratta di una coinvolgente storia di emarginazione e disperazione, raccontata con una sapiente regia che coinvolge lo spettatore e lo conduce, dapprima lentamente poi con un ritmo sempre più incalzante, dentro la follia del protagonista, nei confronti del quale non si prova mai una vera empatia: Joker resta un folle visionario, emarginato, reietto, violento, ma nel procedere della storia e della sua follia, si acquisisce consapevolezza della profonda critica alla società americana, rappresentata da una Gotham lurida e squallida e da Thomas Wayne, simbolo di un potere costituito scollato dalla società reale, del tutto insensibile verso gli ultimi, i disperati, che vengono definiti e considerati inutili clown.
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Non concordo con la recensione di Marianna Cappi. Il film per me è bellissimo! Io credo che il Joker di Phillips sia davvero straordinario e molto diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto. Il regista usa il personaggio e la città di Gotham come “appliglio” narrativo per raccontare una storia che pochissimo ha a che vedere con il ben noto fumetto di Batman. Si tratta di una coinvolgente storia di emarginazione e disperazione, raccontata con una sapiente regia che coinvolge lo spettatore e lo conduce, dapprima lentamente poi con un ritmo sempre più incalzante, dentro la follia del protagonista, nei confronti del quale non si prova mai una vera empatia: Joker resta un folle visionario, emarginato, reietto, violento, ma nel procedere della storia e della sua follia, si acquisisce consapevolezza della profonda critica alla società americana, rappresentata da una Gotham lurida e squallida e da Thomas Wayne, simbolo di un potere costituito scollato dalla società reale, del tutto insensibile verso gli ultimi, i disperati, che vengono definiti e considerati inutili clown. Joaquin Phoenix è semplicemente perfetto! La sua evoluzione nel film da vittima del sistema a carnefice è da grande attore. Peraltro, ogni step evolutivo è cadenzato da una danza folle ed inquietante, che sottolinea l’evolversi del personaggio. Phoenix è l’unico incontrastato protagonista al centro di ogni ripresa, bravissimo, con una presenza scenica degna dei più grandi attori di sempre (ricorda De Niro, Nicholson, Brando, Pacino e chi più ne ha più ne metta). Tanti sono i richiami a precedenti film (Taxi Driver, Re per una notte etc.), ma Joker ha una sua spiccata “personalità” che lo rende comunque unico. Un gran bel film che vincerà altri premi sicuramente. Consigliatissimo!
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alessandra
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lunedì 14 ottobre 2019
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eccessivo
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Film assolutamente sconsigliato per chiunque intenda il cinema come momento di svago e di relax. Il regista infatti, non contento di aver affrontato un tema, quello della malattia mentale, già di per se molto duro, lo appesantisce ulteriormente con una bella dose di violenza e di sangue sempre in primo piano.
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gian.ab
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lunedì 14 ottobre 2019
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jonnylogan
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lunedì 14 ottobre 2019
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killer per una notte... o quasi
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Arthur Fleck, clown di strada e per feste di bambini, vive con la madre, malata e bloccata in casa, in un macilento condominio alla periferia di Gotham City. Arthur, reduce da un ricovero presso l’ospedale psichiatrico e ancora in cura da una psichiatra, sogna di avere successo come comico e per questo cerca di carpire i segreti dei tempi scenici osservando in TV il suo idolo: Murray Franklin, conduttore di una trasmissione che va in onda in seconda serata.
Sgombrando il campo da possibili fraintendimenti la pellicola firmata da Todd Phillips, divenuto famoso grazie ai capitoli due e tre della serie “Una notte da leoni”, e per questo capace di convincere Bradley Cooper a partecipare alla produzione della pellicola, non rappresenta il classico cinecomics e anzi per stessa ammissione del regista si può parlare di ‘un cinecomics mascherato da dramma’ o, per come lo abbiamo vissuto noi, ‘di un dramma mascherato da fumetto tridimensionale’, dove l’agiografia del principe del crimine viene per l’occasione ridisegnata sulle spalle scavate di Joaquin Phoenix, capace di raccogliere a oltre dieci anni di distanza, il testimone passatogli da Heath Ledger, riuscendo a completare la riscrittura apocrifa di un personaggio alla soglia degli ottant’anni dalla sua prima pubblicazione.
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Arthur Fleck, clown di strada e per feste di bambini, vive con la madre, malata e bloccata in casa, in un macilento condominio alla periferia di Gotham City. Arthur, reduce da un ricovero presso l’ospedale psichiatrico e ancora in cura da una psichiatra, sogna di avere successo come comico e per questo cerca di carpire i segreti dei tempi scenici osservando in TV il suo idolo: Murray Franklin, conduttore di una trasmissione che va in onda in seconda serata.
Sgombrando il campo da possibili fraintendimenti la pellicola firmata da Todd Phillips, divenuto famoso grazie ai capitoli due e tre della serie “Una notte da leoni”, e per questo capace di convincere Bradley Cooper a partecipare alla produzione della pellicola, non rappresenta il classico cinecomics e anzi per stessa ammissione del regista si può parlare di ‘un cinecomics mascherato da dramma’ o, per come lo abbiamo vissuto noi, ‘di un dramma mascherato da fumetto tridimensionale’, dove l’agiografia del principe del crimine viene per l’occasione ridisegnata sulle spalle scavate di Joaquin Phoenix, capace di raccogliere a oltre dieci anni di distanza, il testimone passatogli da Heath Ledger, riuscendo a completare la riscrittura apocrifa di un personaggio alla soglia degli ottant’anni dalla sua prima pubblicazione. Questa volta l’alias nel quale c’imbattiamo ha il volto deturpato di un uomo in perenne bilico fra il riso e il pianto, figlio di una donna alla ricerca di aiuto da parte del suo ex datore di lavoro Thomas Wayne, mentre il figlio, da lei soprannominato Happy, vorrebbe solamente fare quello per il quale crede di essere tagliato, ovvero far sorridere e rallegrare la gente, mentre attorno a sé dovrà inevitabilmente fare i conti con una città, e una nazione, alla deriva, dove il degrado non manca e dove, per persone come lui e la madre, pare non esservi posto.
Un film che non lascia di certo indifferenti, nel quale il dibattito fra violenza e giustizia e dove il torto e la ragione sono sempre relegate in una nebulosa zona grigia impreziosita da una fotografia e da una colonna sonora di primissimo livello. Nel quale New York è impiegata come set per descrivere la Gotham dei primi anni ottanta, in cui i distinguo fra ricchezza e povertà sono sempre molto marcati ed è proprio fra le pieghe di quest’ultima che si muove Joaquin Phoenix, occupando con una risata folle, pianti inspiegabili, contorsioni e mimiche facciali ogni angolo del grande schermo fino a ergersi a pericoloso paladino degli ultimi e degli oppressi e relegando Robert De Niro a presenza marginale nel ruolo di un conduttore supponente degno del Jerry Langford di “Re per una notte”.
Siamo quindi certi che Paul Kersey sarebbe stato fiero dell’operato di Arthur Fleck, molto meno chi ha una visione ben differente del mondo.
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