steven!
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venerdì 18 ottobre 2019
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put on a happy face
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Stupisce vedere che Bradley Cooper abbia voluto co-produrre questo film. Lascia stupefatti invece il risultato di Todd Philips. Ci aveva divertiti con "School for scoundrels" e con la trilogia di "Una notte da leoni", ma con Joker, Philips ha dato prova di capacità veramente magistrali.
Il film si apre presentando Arthur di fronte allo specchio. In questa scena il conflitto interiore del personaggio viene descritto attraverso lo sguardo della sua personalità sdoppiata: le due personalità di Arthur si osservano attraverso uno specchio mentre una delle due cerca di prendere il sopravvento, ed egli piange mentre cerca di indossare un sorriso come scopriremo che gli ha detto sempre sua madre, nello stesso identico modo in cui viene indicato al Conrad Veidt di "L'uomo che ride", del 1928, in una delle famose scene del film.
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Stupisce vedere che Bradley Cooper abbia voluto co-produrre questo film. Lascia stupefatti invece il risultato di Todd Philips. Ci aveva divertiti con "School for scoundrels" e con la trilogia di "Una notte da leoni", ma con Joker, Philips ha dato prova di capacità veramente magistrali.
Il film si apre presentando Arthur di fronte allo specchio. In questa scena il conflitto interiore del personaggio viene descritto attraverso lo sguardo della sua personalità sdoppiata: le due personalità di Arthur si osservano attraverso uno specchio mentre una delle due cerca di prendere il sopravvento, ed egli piange mentre cerca di indossare un sorriso come scopriremo che gli ha detto sempre sua madre, nello stesso identico modo in cui viene indicato al Conrad Veidt di "L'uomo che ride", del 1928, in una delle famose scene del film. Aldilà dell'eccezionale utilizzo del subtesto in questa scena, il regista ci pone di fronte ad un film che vuole essere una celebrazione di alcune pietre miliari del cinema, che vengono citate e persino messe in scena nel corso della pellicola. Il Joker di Todd Philips è il Gwynplaine di Conrad Veidt, sorride come lui, soffre come lui perché non riesce ad essere sé stesso, e come lui ride e sorride perché è stato sfregiato da piccolo, solo che in questo caso la cicatrice è incisa nel subconscio del personaggio piuttosto che sul suo volto. I parallelismi con l'opera di Paul Leni sono evidenti: Arthur si porta dentro un mondo interiore nero come quello di Gwynplaine, e come quest'ultimo anche Arthur ad un certo punto legge su carta di essere figlio dell'uomo più potente di Gotham e decide di andare a parlarci. La sorte di Arthur però è differente. Lo storytelling ci fornisce presto altre informazioni sulla sua vita. Scopriamo presto che fa uso di psicofarmaci e che pare sia stato internato ad Arkham (non capiamo però se egli sia attualmente ricoverato ad Arkham e se tutto il film avvenga nella folle immaginazione del personaggio), che è povero, che vive con la madre di cui si prende cura e che subisce ogni tipo di angheria nella vita, senza fare nulla per meritarle. Non ha alcuna colpa quando una gang di ragazzini lo deruba del cartello di un negozio per il quale sta facendo advertising, e non sta facendo altro che la cosa più giusta quando li insegue per recuperarlo, ma per tutto ciò riceve in cambio solo un pestaggio ed una brutta strigliata dal suo capo. Tra l'altro, la naturalezza con cui il regista ci presenta la scena ci fa intendere che probabilmente questa è routine per Arthur. Arthur ha una natura buona, ma non lo ascolta nessuno quando viene chiamato in causa per dimostrare la bontà dei suoi intenti: cerca l’umanità di cui ha bisogno ma riceve in cambio solo ludibrio e discredito. È più lucido di chiunque altro quando comprende che il lato peggiore di avere una malattia mentale, come dice egli stesso, è che tutti si aspettano che ti comporti come se non l’avessi. Mentre egli torna a casa scopriamo che vive nei bassifondi di Gotham City, che Thomas Wayne ha deciso di candidarsi come sindaco e che Arthur sembra essere l'unico a non rendersi conto dell'instabilità mentale della madre. Difatti entrambi sembrano non osservarsi al punto che nessuno dei due sembra comprendere che l'altro ha una malattia mentale. Nel frattempo Arthur sogna di diventare un comico famoso, e l'oggetto dei suoi sogni trova corpo nella persona di Murray Franklin, il suo idolo. Qui abbiamo un altro parallelismo con il film "Re per una notte" di Martin Scorsese, in cui il protagonista, proprio come Arthur, sogna di diventare un comico famoso e di sfondare con il programma "The King of Comedy". È ironico che sia proprio De Niro a condurre il programma televisivo, dato che nel film del 1983 egli interpretava l'aspirante comico poi divenuto omicida del conduttore, come accade anche in Joker. Ed è interessante anche come Todd Philips si rifaccia a Martin Scorsese per fare della sua pellicola lo studio di un personaggio che vive la sua vita camminando sul filo del rasoio che separa i suoi tentativi di condurre una vita considerata "normale", secondo i canoni convenzionali della società, e la sua caduta libera nel baratro della sua pazzia. Osservare Arthur è come osservare il disorientato, isolato ed alienato Travis Bickle di "Taxi Driver" mentre scivola nella sua turbinosa caduta verso la sua inarrestabile instabilità. Ogni nuova scena abbiamo un nuovo riferimento a come Arthur sia una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e di come così come guidare il taxi trattiene Travis dallo scoppiare, così gli psicofarmaci sono l'unica cosa che tiene buono Arthur, tanto che non si rende neppure conto di impiastricciare il suo quaderno delle barzellette di frasi deliranti e di disegni iracondi e macabri. Ma Arthur Feckle non è stato nei Marines. Non diventa neppure un eroe. Arthur potrebbe essere chiunque di noi. È un fallito, un uomo intelligente ma frustrato, insoddisfatto della sua vita, soggetto a soprusi, povero, delirante, bisognoso di aiuti dalle istituzioni che però non arrivano. Come gli dice la sua terapista quando gli comunica che i fondi sono stati tagliati, "A nessuno importa di uno come te", e come egli stesso dopo aver ben compreso queste parole afferma in diretta TV: "se avessero ucciso me mi avreste camminato sopra". Ed è proprio a Scorsese che il regista si ispira per descrivere l’esistenza morbosa di Arthur. Così come Scorsese utilizza ingegnosamente inquadrature e colori per descrivere una New York stretta nella morsa della perversione e del degrado, così anche Philips riesce nell’intento di disegnare con la sua composizione visiva una Gotham City divisa in due, tra ricchi e poveri, Lords e plebei, in un clima talmente teso che l’attrito si può quasi palpare con mano. Siamo nel 1981, e anche a Gotham come a New York City ,il 1981 è foriero di una crisi d’infestazione di ratti per tutta la città, di spazzatura che si accumula agli angoli della strada, di un’impennaggio nella criminalità urbana e di vigilantes mascherati che decidono di farsi giustizia da soli. Sono tempi moderni in cui il regista vuole descrivere il viaggio di una persona verso il più totale delirio, perché per il regista sono i tempi moderni a creare macchine psicotiche come Joker. D’altronde egli non è che un ingranaggio in un sistema molto vasto. Come il Charlot di “Tempi moderni”, anche Arthur lotta per sopravvivere, ma le violenze psicologiche a cui è continuamente sottoposto lo rendono ossessionato al punto di non vedere più altro che buio, così come Charlot non distingue più i bulloni dai bottoni di una gonna. È enigmatica la scena in cui Arthur irrompe nel cinema in cui viene proiettato “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, ed entra in sala quando sullo schermo si vede Charlot che pattina bendato a ridosso di uno strapiombo, a simbolizzare Fleck che vaga disperatamente e senza soluzione di continuità verso il baratro di pazzia che farà di lui il Joker. Simbolico è anche lo sguardo che egli ha quando si sente in imbarazzo quando tutti intorno a lui ridono, e sembrano ridere di lui. Ma i suoi occhi dicono tutto: la trasformazione ormai è completa, il viaggio di Fleck è terminato. Le due personalità che nella prima scena erano sdoppiate e si guardavano negli occhi hanno risolto i loro dilemmi: Fleck non si guarda più allo specchio, non ha più un doppelgänger; Arthur Fleck non esiste più, da adesso c’è solo quello che Murray definirà come il Joker. E non è un caso che il nome di questo nuovo individuo gli venga dato esattamente da un uomo dello spettacolo. Questo mostro è stato prodotto dalla società stessa, da illusioni e delusioni, da soprusi e violenze e dalla mescola nei media di spettacolo pubblico e di degrado morale. Todd Philips usa come palco una società che non ascolta le persone, che intrappola miliardi di individui in carceri emotive e psicologiche dalle quali non hanno il coraggio di fuggire. Ed è la stessa società in cui viviamo anche oggi, ed Arthur incarna lo scettro divino che catalizza le frustrazioni di ogni operaio, di ogni insegnante, di ogni lavoratore e di ogni debole, e che verrà usato da una mano celeste come il bastone di Mosé per dividere le acque tra potenti e sfruttati. Una volta sorto dalle ceneri della distruzione del vecchio Arthur, il Joker finalmente sta bene, si sente libero: non ha più bisogno né della madre, né delle medicine, né della sua fidanzata immaginaria. L’uomo che ride dei tempi moderni è maturo per guidare un tumulto nella città di Gotham e per dare con la massima violenza una voce ai malumori che vivono sul volto di tutto il dolore e di tutto lo sfruttamento che i meno abbienti hanno sofferto per secoli. Quello di Todd Philips è quindi un antieroe, un altro ingranaggio del sistema, incarnato in quel male necessario che deve esistere per livellarlo. L’interpretazione di Joaquin Phoenix è fenomenale, riesce a sembrare completamente pazzo persino quando cammina e quando respira. I suoi passi di danza sono perfettamente sincronizzati alla melodia della follia del personaggio. Ma la magistrale prestazione dell’attore protagonista non possederebbe la verve incredibile che riesce ad esprimere sullo schermo senza l’accompagnamento di una colonna sonora che sembra scritta nella mente di Arthur Fleck. Le musiche sono egregiamente studiate per massimizzare l’impatto delle immagini, così come l’ottima sceneggiatura nelle mani di Philips fanno di questo film probabilmente la pellicola dell’anno del 2019, e i pregi di Joker superano di gran lunga le mancanze del regista di farci comprendere la linea temporale degli eventi, e di risolvere i dilemmi matematici che sorgono nella mente quando ci si chiede come faccia Arthur a permettersi tutte le sue azioni a fronte di quelle che sembrano essere presentate come ristrettezze economiche più che critiche. Ma probabilmente è tutto nella mente di Arthur.
Consigliatissimo. Andate a vederlo, ma prima mi raccomando, indossate una faccia felice.
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alesimoni
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venerdì 18 ottobre 2019
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joaquin senza limiti
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Capolavoro assouto. Basterebbero due parole per definire il film di Todd Phillips, che dovrebbere erigire un monumento al fenomenale Joaquin Phoenix: se il film entrerà, come è probabile, nella storia del Cinema, lo si deve al suo istrionico protagonista. Phoenix riesce a condurci nelle viscere della malattia mentale di Arthur, ce le fa vedere da dentro, ce le fa capire, ce le fa sentire. Per questo motivo è impossibile non provare empatia per lui,è impossibile non provare dolore con lui. Il martirio della mente si fa deformazione fisica , mostrata ed esibita dal regista per enfatizzare la condizione di Arthur, ma non ce n'era forse neanche bisogno, tale è l'espressività del volto e soprattutto degli occhi di Phoenix , il che non è certo una novità.
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Capolavoro assouto. Basterebbero due parole per definire il film di Todd Phillips, che dovrebbere erigire un monumento al fenomenale Joaquin Phoenix: se il film entrerà, come è probabile, nella storia del Cinema, lo si deve al suo istrionico protagonista. Phoenix riesce a condurci nelle viscere della malattia mentale di Arthur, ce le fa vedere da dentro, ce le fa capire, ce le fa sentire. Per questo motivo è impossibile non provare empatia per lui,è impossibile non provare dolore con lui. Il martirio della mente si fa deformazione fisica , mostrata ed esibita dal regista per enfatizzare la condizione di Arthur, ma non ce n'era forse neanche bisogno, tale è l'espressività del volto e soprattutto degli occhi di Phoenix , il che non è certo una novità. L'attore usa quindi tutto il corpo, come fosse un manoscritto (ma senza tatuaggi..) per descrivere l'abisso mentale, le difficoltà , ma anche la grazia , la dolcezza e il suo essere preso a schiaffi dalla vita: nelle sequenze in cui balla, c'è tutto questo. Quando si sforza di trattenere le risate, deglutisce e rischia di vomitare rende al massimo il suo dolore e la sua difficoltà di stare al mondo, ti fa stare male. Il tutto è ben confezionato tecnicamente dal regista, anche con una bella fotografia , lo script è anch'esso valido con l'approfondimento della storia con la mamma. Inspiegabile la bassissima valutazione di Mymovies, ma il film non ne risente visto il grande successo che speriamo porterà finalmente a Joaquin la strameritata statuetta.
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corazzata potiomkin
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venerdì 18 ottobre 2019
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realtà batte fantasy 3 a 0
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Presentato come spin off del celebre fumetto, "Joker" è un sincero, vero, autentico e spietato atto di accusa all'ipocrisia su cui si fonda la nostra società, ai suoi riti fasulli, ai suoi canoni, alla sua crudeltà. Tutto, in questo film, trasuda sofferenza e disagio di una condizione umana che cerca l'affermazione all'interno di questi canoni, ma che alla fine di un lungo e tormentato percorso, la riesce a trovare solo nella loro negazione, nella loro distruzione, fisica ed ideologica. Il sorriso isterico di Joker nasce come malattia, ma poi diventa strumento di lotta e di ribellione: " Credevo che la mia vita fosse una tragedia, invece mi sono reso conto che è una c@@@o di commedia"
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silver90
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giovedì 17 ottobre 2019
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chi è joker???
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Arthur Fleck è un disgraziato che cerca di occuparsi della madre standole vicino e facendo tutto ciò per cui lei lo ha sempre incoraggiato: far ridere gli altri. Chi meglio di un pagliaccio può assolvere al ruolo di demolitore dell’ordine costituito? Come nella scena emblematica dell’ospedale, tra i bambini malati spicca la “patologia” di Arthur, che destruttura persino più della sua risata isterica, incontrollata e quasi “istrionica”. Per tre quarti di film, Arthur Fleck alias Joker continua nella sua danza ipnotica e psicotica, che trasformerà quel sorriso sghembo e sofferente nel gnigno slabbrato che tutti conosciamo grazie a Heath Ledger. Ma, rispetto a quello, il Joker di Todd Philips e del fantastico Joaquin Phoenix entra ed esce dagli schemi della società, e nel farlo, manifesta la stranezza di fondo dei comportamenti sociali e umani; d’altro canto, “la cosa che fa più ridere di essere malati è che gli altri pretendono che tu ti comporti come se non lo fossi”, annota in un suo taccuino.
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Arthur Fleck è un disgraziato che cerca di occuparsi della madre standole vicino e facendo tutto ciò per cui lei lo ha sempre incoraggiato: far ridere gli altri. Chi meglio di un pagliaccio può assolvere al ruolo di demolitore dell’ordine costituito? Come nella scena emblematica dell’ospedale, tra i bambini malati spicca la “patologia” di Arthur, che destruttura persino più della sua risata isterica, incontrollata e quasi “istrionica”. Per tre quarti di film, Arthur Fleck alias Joker continua nella sua danza ipnotica e psicotica, che trasformerà quel sorriso sghembo e sofferente nel gnigno slabbrato che tutti conosciamo grazie a Heath Ledger. Ma, rispetto a quello, il Joker di Todd Philips e del fantastico Joaquin Phoenix entra ed esce dagli schemi della società, e nel farlo, manifesta la stranezza di fondo dei comportamenti sociali e umani; d’altro canto, “la cosa che fa più ridere di essere malati è che gli altri pretendono che tu ti comporti come se non lo fossi”, annota in un suo taccuino. In altre parole, Arthur Fleck non accetta proprio il disvelamento pubblico del suo nucleo problematico, che lo espone alla vergogna e all’umiliazione. Con il cinecomic sul cattivo più famoso dei fumetti, Todd Philips e lo sceneggiatore Scott Smith superano di slancio la mescolanza dei generi cinematografici, trasformando la sofferenza implicita in interiorità esplicita ed esibita e riuscendo a polarizzare critica e spettatori intorno a due aspetti: alcuni lo ritengono un viaggio inutilmente straziante nei luoghi mentali del disagio e del crimine, dove tutto è troppo enfatizzato per essere credibile. Altri temono che la spettacolarizzazione della malattia, che ha molto a che fare con la società odierna, porti a una sorta di isteria collettiva, come nella scena finale in cui una serie di clown inferociti mette a soqquadro la città e inneggia al salvatore che si fa giustizia da solo. Siamo di fronte a un caso di narrazione plurilineare, con la quale gli autori intendono fondere varie linee narrative: da un lato, l’evoluzione realistica del personaggio, dall’altro la descrizione soggettiva del cinema d’autore. Tuttavia, l’originale operazione meta-cinematografica, che risiede in un continuo rovesciamento tra forme e contenuti, funziona così a meraviglia, che l’umanizzazione del personaggio rende chiaro e lampante il suo progetto di vita, senza per questo condurci sul lettino dello psicanalista. Il Joker sadico che uccide e sevizia ha in realtà una storia molto triste alle spalle, che la sceneggiatura evidenzia in modo particolare con una serie di passaggi illuminanti: si parte dal colloquio con la psicologa che gli comunica la mancanza dei fondi per continuare la terapia, passando per il dialogo memorabile con il datore di lavoro (che gli fa notare quanto i suoi colleghi lo sopportino nonostante sia un “freak”, ossia uno “strambo”), per finire con l’intervista del conduttore del suo programma preferito, quando, finalmente “esistente” al di là del contesto, Joker sorride senza indugi al mondo e alle telecamere. Non c’è redenzione, né ascesa dai bassifondi della società, c’è solo un potentissimo rovesciamento metaforico della storia: dalla tragedia alla commedia, dalla stand-up comedy alla comicità soggettiva, Arthur Fleck ci insegna che la vita è fatta di punti di vista perché ragionare in termini di produttività o di rigore morale non porta a nessun convincimento ulteriore, semmai a un ristagno della società e dell’individualità.
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silver90
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giovedì 17 ottobre 2019
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la danza ipnotica del male
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Chi è Joker? Arthur Fleck è un disgraziato che cerca di occuparsi della madre standole vicino e facendo tutto ciò per cui lei lo ha sempre incoraggiato: far ridere gli altri. Chi meglio di un pagliaccio può assolvere al ruolo di demolitore dell’ordine costituito? Come nella scena emblematica dell’ospedale, tra i bambini malati spicca la “patologia” di Arthur, che destruttura persino più della sua risata isterica, incontrollata e quasi “istrionica”. Per tre quarti di film, Arthur Fleck alias Joker continua nella sua danza ipnotica e psicotica, che trasformerà quel sorriso sghembo e sofferente nel gnigno slabbrato che tutti conosciamo grazie a Heath Ledger. Ma il Joker di Todd Philips e del fantastico Joaquin Phoenix entra ed esce dagli schemi, e nel farlo, manifesta la stranezza di fondo dei suoi comportamenti; d’altro canto, “la cosa che fa più ridere di essere malati è che gli altri pretendono che tu ti comporti come se non lo fossi”, annota in un suo taccuino.
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Chi è Joker? Arthur Fleck è un disgraziato che cerca di occuparsi della madre standole vicino e facendo tutto ciò per cui lei lo ha sempre incoraggiato: far ridere gli altri. Chi meglio di un pagliaccio può assolvere al ruolo di demolitore dell’ordine costituito? Come nella scena emblematica dell’ospedale, tra i bambini malati spicca la “patologia” di Arthur, che destruttura persino più della sua risata isterica, incontrollata e quasi “istrionica”. Per tre quarti di film, Arthur Fleck alias Joker continua nella sua danza ipnotica e psicotica, che trasformerà quel sorriso sghembo e sofferente nel gnigno slabbrato che tutti conosciamo grazie a Heath Ledger. Ma il Joker di Todd Philips e del fantastico Joaquin Phoenix entra ed esce dagli schemi, e nel farlo, manifesta la stranezza di fondo dei suoi comportamenti; d’altro canto, “la cosa che fa più ridere di essere malati è che gli altri pretendono che tu ti comporti come se non lo fossi”, annota in un suo taccuino. In altre parole, Arthur Fleck non accetta proprio il disvelamento pubblico del suo nucleo problematico. Perché se ne parla? Con il cinecomic sul cattivo più famoso dei fumetti, Todd Philips e lo sceneggiatore Scott Smith superano di slancio la mescolanza dei generi cinematografici, trasformando la sofferenza implicita in interiorità esplicita ed esibita e riuscendo a polarizzare critica e spettatori intorno a due aspetti: alcuni lo ritengono un viaggio inutilmente straziante nei luoghi mentali del disagio e del crimine, dove tutto è troppo enfatizzato per essere credibile. Altri temono che la spettacolarizzazione della malattia, che ha molto a che fare con la società odierna, porti a una sorta di isteria collettiva, come nella scena finale in cui una serie di clown inferociti mette a soqquadro la città e inneggia al salvatore che si fa giustizia da solo. Siamo di fronte a un caso di narrazione plurilineare, con la quale gli autori intendono fondere varie linee narrative: da un lato, l’evoluzione realistica del personaggio, dall’altro la descrizione soggettiva del cinema d’autore. Tuttavia, l’originale operazione meta-cinematografica, che risiede in un continuo rovesciamento tra forme e contenuti, funziona così a meraviglia, che l’umanizzazione del personaggio rende chiaro e lampante il suo progetto di vita, senza per questo condurci sul lettino dello psicanalista. Che significato ha? Il Joker sadico che uccide e sevizia ha in realtà una storia molto triste alle spalle, che la sceneggiatura evidenzia in modo particolare con una serie di passaggi illuminanti: a partire dal colloquio con la psicologa che gli comunica la mancanza dei fondi per continuare la terapia, passando per il dialogo memorabile con il datore di lavoro (che gli fa notare quanto i suoi colleghi lo sopportino nonostante sia un “freak”, ossia uno “strambo”), per finire con l’intervista del conduttore del suo programma preferito, quando, finalmente “esistente” al di là del contesto, Joker sorride senza indugi al mondo e alle telecamere. Non c’è redenzione, né ascesa dai bassifondi della società, c’è solo un potentissimo rovesciamento metaforico della storia: dalla tragedia alla commedia, dalla stand-up comedy alla comicità soggettiva, Arthur Fleck ci insegna che la vita è fatta di punti di vista perché ragionare in termini di produttività o di rigore morale non porta a nessun convincimento ulteriore, semmai a un ristagno della società e dell’individualità.
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alex2044
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giovedì 17 ottobre 2019
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joker poenix : silenzio si recita !
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Si spengono le luci in sala e incomincia un silenzio che dura per tutte le due ore del film . Non si sente alcun brusio , nessuno accende stupidamente lo smartphone come capita troppo spesso . Eppure il pubblico è prevalentemente giovane . L'attenzione è tutta per quello che succede sullo schermo . Insomma , silenzio si recita ! Joaquin Phoenix ha trasformato questo film in un fantastico one man show . Le spalle ci sono ed una è un fuoriclasse , Robert De Niro ma il film è lui , un attore totale che non fa mai se stesso ma che si cala nel personaggio anche nei più minimi dettagli estetici .La regia lascia libero sfogo a questo extraterrestre della recitazione e gli crea intorno un ambiente , perfettamente ricostruito , dove perfino i colori sorprendono con la loro incisività e le musiche rendono benissimo l'atmosfera che devono accompagnare .
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Si spengono le luci in sala e incomincia un silenzio che dura per tutte le due ore del film . Non si sente alcun brusio , nessuno accende stupidamente lo smartphone come capita troppo spesso . Eppure il pubblico è prevalentemente giovane . L'attenzione è tutta per quello che succede sullo schermo . Insomma , silenzio si recita ! Joaquin Phoenix ha trasformato questo film in un fantastico one man show . Le spalle ci sono ed una è un fuoriclasse , Robert De Niro ma il film è lui , un attore totale che non fa mai se stesso ma che si cala nel personaggio anche nei più minimi dettagli estetici .La regia lascia libero sfogo a questo extraterrestre della recitazione e gli crea intorno un ambiente , perfettamente ricostruito , dove perfino i colori sorprendono con la loro incisività e le musiche rendono benissimo l'atmosfera che devono accompagnare . ( Tha's life di Frank Sinatra un capolavoro ). La storia è importante e quando tratta di disturbi mentali lo è ancora di più ma non determinante . C'è perfino un che di poetico nel tratteggiare le nevrosi di questo povero e sfortunato essere che dalla vita non ha ricevuto gioia ma solo tradimenti . Voleva fare il comico ma anche questo gli è stato negato . La violenza accompagna tutto il film ma non sembra mai fine a se stessa ma il banale risultato di una violenza subdola e vigliacca verso un uomo disarmato. Quindi nessuna giustificazione per la violenza ma un avvertimento si . Qualche volta il cinema che sembra di intrattenimento è più politico di quello che invece lo dichiara espilcitamente . La differenza è che nel primo caso il messaggio arriva ad una platea molto più ampia senza disturbare con inutili ideologismi e questa è la dote migliore di questo film , poteva essere una baracconata ma la bravura di joaquin Phoenix e la capacità registica di Todd Phillips lo hanno trasformato in una occasione imperdibile per ogni amante del cinema .
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jlkbest72
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giovedì 17 ottobre 2019
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la nascita della malvagità discretamente...
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... interpretata ma attenzione non esageriamo ad urlare al capolavoro.
Il Joker inteso come interpretazione del personaggio è leggermente apatico nulla a che vedere con l'interpretazione straordinaria di heath ledger (why are you so serious?).
Sono film differenti ma i confronti sono inevitabili.
Parliamo del personaggio inteso come joker:
Sinceramente mi aspettavo un personaggio più allineato ad i fumetti ovvero più folle e consapevole, in questo ritratto il Joker ci si trova quasi spinto a divenire questo tipo di cattivo..
Oltre al joker del cavaliere oscuro ho preferito il profilo di quello visto in "Suicide squad"
Il joker dev'essere pazzo e maledetto, senza regole ne moralità ma soprattutto incontrollabile.
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... interpretata ma attenzione non esageriamo ad urlare al capolavoro.
Il Joker inteso come interpretazione del personaggio è leggermente apatico nulla a che vedere con l'interpretazione straordinaria di heath ledger (why are you so serious?).
Sono film differenti ma i confronti sono inevitabili.
Parliamo del personaggio inteso come joker:
Sinceramente mi aspettavo un personaggio più allineato ad i fumetti ovvero più folle e consapevole, in questo ritratto il Joker ci si trova quasi spinto a divenire questo tipo di cattivo..
Oltre al joker del cavaliere oscuro ho preferito il profilo di quello visto in "Suicide squad"
Il joker dev'essere pazzo e maledetto, senza regole ne moralità ma soprattutto incontrollabile.
Questa interpretazione recitata comunque bene mi ha lasciato deluso
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leonard moonlight
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giovedì 17 ottobre 2019
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joker, rivoluzione mancata (analisi approfondita)
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Ne parlano tutti, c’è chi lo ha amato e chi invece ne è rimasto molto deluso. Poche volte nella mia vita mi sono trovato al cinema in una sala così gremita di spettatori.
Vi dico la mia? Joker non mi è piaciuto.
Perché secondo me non è un capolavoro.
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Ne parlano tutti, c’è chi lo ha amato e chi invece ne è rimasto molto deluso. Poche volte nella mia vita mi sono trovato al cinema in una sala così gremita di spettatori.
Vi dico la mia? Joker non mi è piaciuto.
Perché secondo me non è un capolavoro. Premetto che non parlerò di Joaquin Phoenix la cui bravura nel film è indiscutibile. La mia non sarà una recensione vera e propria ma un'analisi del film che contiene riferimenti alla trama, per cui ne sconsiglio la lettura prima di aver visto il film.
Il personaggio:
Joker per come ci era stato presentato nel film di Tim Burton era un burlone intelligente, amante delle boutade e del gioco.
La grandezza del personaggio di Burton è nella contrapposizione fra lo scopo della sua azione malvagia e i suoi modi infantili e giocosi di esprimersi. L’esempio è la scena in cui mentre viene picchiato da batman si infila un paio di occhiali e fa:
non picchierai uno con gli occhiali vero?
Nel film di Nolan il Joker è l’ambasciatore del caos e della Verità contrapposta ad una politica corrotta e basata sulla menzogna che per mantenere l’ordine sociale decide di lasciare all’oscuro i propri cittadini. L’idea è che la società odierna si basi sulla menzogna e che la popolazione non è in grado di sopportare il peso della verità. Harvey Dent viene quindi fatto passare da eroe per mantenere la credibilità di un sistema politico corrotto.
Joker è un sovvertitore dell’ordine sociale, un distruttore amante del caos, un anarchico la cui azione ribelle manca di alternativa e per questo è fine a sé stessa. Esempio: rapina una banca e poi brucia il denaro.
Joker di Philips è un inetto, un uomo senza consapevolezza si sé e di ciò che lo circonda, vuole fare il comico ma non fa ridere se non di umorismo involontario (ridi di lui e della sua stranezza e non delle sue battute) e principalmente è un malato mentale.
All’inizio del film il personaggio di Arthur Fleck non prende mai decisioni per la sua vita, ma lascia che gli altri decidano per lui fino al punto in cui rendendosi conto che tutti si approfittano della sua debolezza esplode.
In tutti e tre i casi Joker è un personaggio che manca di forza creatrice.
Il problema di fondo che ho avuto osservando Joker di Philips è che il personaggio al centro della storia non è né un eroe (in cui puoi immedesimarti e provare empatia), né un antieroe (perché in alcuni casi viene presentato come vittima della crudeltà e del cinismo diffuso e in altri come un malato mentale omicida e le due cose narrativamente disturbano) e per tutto il film è un personaggio piatto cioè non ha evoluzione nel corso della storia. È un malato mentale dall’inizio alla fine, l’unico cambiamento che ha è il fatto che inizi a reagire uccidendo. Non avendo consapevolezza di ciò che lo circonda Joker nella sua esplosione omicida farà fuori chi in qualche modo gli ha fatto del male. In fin dei conti Joker è un pazzo disperato la cui disperazione ultima è farsi giustizia da sé.
Se c’è una novità nella costruzione del personaggio sta nel fatto che il protagonista sia un pazzo in cui difficilmente ti puoi immedesimare a meno che tu non sia un malato mentale o non abbia i suoi stessi problemi.
Screenplay:
Ho trovato alcune scelte degli sceneggiatori superficiali, in particolare l’utilizzo di tematiche importanti come mere trovate narrative per creare colpi di scena. Il primo esempio che mi viene in mente è quando Arthur Fleck si dirige all’ospedale psichiatrico e ruba la cartella clinica della madre scoprendo attraverso la lettura di ritagli di giornale dell’abuso subito da parte del compagno della madre e di come la madre abbia assistito complice alla scena di lui piccolo e indifeso legato al termosifone, episodio che lo ha segnato provocandogli il trauma a cui è legata la risata isterica che ripete spesso nell’arco del film.
Al di là di tutto ci sarebbe comunque un’incongruenza di fondo: come hanno potuto permettere ad una malata psichiatrica senza marito di adottare un bambino? Ma anche se ciò fosse stato possibile come hanno potuto lasciarglielo tenere dopo gli abusi subiti?
Ma la cosa che mi ha ancora di più infastidito è la mancata contestualizzazione nel film del movimento di protesta che nasce dopo che si è diffusa la notizia che un uomo travestito da pagliaccio (Arthur Fleck ormai tramutatosi in Joker) uccide tre persone benestanti dopo che queste lo hanno maltrattato in treno.
È ragionevole pensare che la popolazione possa simpatizzare per un omicida? Ma soprattutto è ragionevole pensare che una massa di cittadini poveri ispirati dall’azione compiuta da un pagliaccio inizi a manifestare in piazza indossando delle maschere da clown? E se questo possa essere in qualche modo verosimile, quali sono le motivazioni per cui manifestano? La risposta all’interno nel film non è presente, lasciando il dubbio allo spettatore e il tutto ad un banale e generalizzato odio sociale. La mia interpretazione è che sia stata da un lato una scelta ruffiana degli sceneggiatori per inserire all’interno del film una citazione della casa di carta (serie tv in cui dei criminali rapinano la zecca di stato e la popolazione venuta a conoscenza della notizia parteggia per i criminali invece che per lo stato manifestando in piazza con delle maschere di Dalì) e dall’altro lato sia una scelta funzionale allo sviluppo della trama. Come avrebbe fatto un uomo vestito da pagliaccio a mischiarsi tra la folla e scappare a degli agenti che volevano fargli delle domande sull’omicidio commesso? La superficialità con cui viene presentato l’argomento considerando la serietà del tema trattato è pericolosa.
In generale le citazioni cinematografiche inserite all’interno del film mi hanno infastidito perché buttate là senza un vero e proprio significato. La storia di amore con la vicina di casa che poi si scopre essere solo frutto dell’immaginazione di Arthur Fleck (evidente riferimento a Fight club) che funzione ha all‘inferno della storia? Qual’è il senso all’interno del film di scomodare film come Taxi driver, Fight club, Re per una notte e Quinto potere?
Il messaggio
Qual è il messaggio? Dovremmo essere tutti più buoni e gentili col prossimo?
Per come ho interpretato il film il messaggio è che gli Arthur Fleck in questa società esistono e sono inevitabili ma che con un po’ di ascolto e dando loro un aiuto invece di denigrarli e approfittarci di loro potremmo fare in modo che questi non si trasformino un giorno in Joker. Potremmo quindi dire proseguendo il ragionamento che se ci sono persone come Joker è perché noi tutti abbiamo la nostra parte di colpa e contribuiamo alla creazione di questi mostri attraverso i nostri comportamenti cinici o non prendendo sul serio ed ascoltando gli emarginati quando ancora si può intervenire ed aiutarli.
Il rischio per come la storia viene presentata è che invece passi un altro tipo di messaggio: se lo stato o qualcuno non aiuta quelle categorie che sono ai margini e non li tiene attaccate alla società in qualche modo, questi finiranno per agire in maniera folle ed estrema perché è l’unico modo che hanno per farsi notare.
Ma per come la vedo io una persona va ascoltata e aiutata perché è giusto farlo e non perché se non lo faccio poi c’è il rischio che questa diventi un folle omicida.
Si aiuta l’altro per per empatia o per solidarietà e non per sentirsi apposto con la coscienza.
Cosa salverei?
Prima cosa l’utilizzo dell’umorismo. Il film è costruito in maniera tale da portare lo spettatore a ridere con lo stesso cinismo che ha la società verso Arthur Fleck dei più deboli, di cui non si dovrebbe o non sarebbe giusto ridere (per esempio dei nani). La scena che ho più apprezzato infatti è quella in cui il nano terrorizzato per aver assistito inerme alla morte del suo collega di lavoro, tenta di uscire dalla stanza ma non riesce perché non arriva al chiavistello a causa della sua altezza e Joker si prende gioco di lui diventando questa volta lui cinico come la società che lo circonda.
La scena che a mio avviso invece è una delle scene più “toccanti” in chiave psicologica è quando Joker dopo essersi sentito tradito e aver tolto la vita alla madre torna a casa e si prepara come se apparentemente nulla fosse per il debutto tanto desiderato.
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[+] joker e la sua delicatezza feroce
(di matteo venturini )
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arcadio83
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giovedì 17 ottobre 2019
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la mamma dei joker è sempre incinta!
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Joker non è cattivo, Joker è un malato di mente che diventa l'emblema del disagio sociale di una Gotham crudele e insensibile.
Il film perde continuamente l'opportunità di indagare le reali cause della nascita di un serial killer (inventato) ed invece affonda le sue radici nelle macabre e disturbanti verità di un personaggio bidimensionale che ha trovato nella risata l'unico modo di esprimersi.
Nonostante la bellissima fotografia ed il taglio ultrarealistico, la storia si sviluppa in modo piatto anestetizzando lo spettatore, come se fosse l'intento del film, giustificare il messaggio malato che la violenza esiste e vincerà sempre su ogni razionalità, solidarietà di massa, lotta di classe o speranza.
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Joker non è cattivo, Joker è un malato di mente che diventa l'emblema del disagio sociale di una Gotham crudele e insensibile.
Il film perde continuamente l'opportunità di indagare le reali cause della nascita di un serial killer (inventato) ed invece affonda le sue radici nelle macabre e disturbanti verità di un personaggio bidimensionale che ha trovato nella risata l'unico modo di esprimersi.
Nonostante la bellissima fotografia ed il taglio ultrarealistico, la storia si sviluppa in modo piatto anestetizzando lo spettatore, come se fosse l'intento del film, giustificare il messaggio malato che la violenza esiste e vincerà sempre su ogni razionalità, solidarietà di massa, lotta di classe o speranza.
E' facile pensare a questo film come propedeutico a quello che verrà dopo, un pippone di film sul trauma di Batman?! la tendenza è quella di infiocchettare tutto con una veste iperealistica e con una fotografia languida, ma la sostanza è che si tratta dell'ennesimo filmetto sui supereroi studiato a tavolino per ingozzare gli americani di falsi valori.
Se gli americani avessero più dignità per loro stessi, aprirebbero gli occhi in modo da ricominciare a scivere nuove narrazioni che insegnino realmente alle persone quali valori sociali perseguire.
L'intento di umanizare l'antagonista riesuma il mito dell'eroe, che impersonificando la superiorità o inferiorità di ogni cittadino americano, lo rende ancora una volta stupido ed individualista, incapace di esprimere il dissenso verso la sua reale condizione di cittadino calpestato nei suoi diritti.
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mauridal
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mercoledì 16 ottobre 2019
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un jolli joker per un vincente poker
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Quando il cinema prende a prestito un personaggio e una storia , creati per il fumetto e vuole realizzare una trasposizione filmica ovvero da disegno a personaggio umano , da racconto disegnato su carta in movie story , con ambientazioni reali, e dunque da fantasie immaginate a fantasie realizzate in verosimili storie con personaggi umanizzati , allora la scommessa di una piena riuscita cinematografica , risulta difficile . Questo film , da un Joker fumetto di Batman con una sua propria coerenza , diventa per mano del regista Phillips , un Joker disperato reietto , scarto sociale ,malato mentale definito Joker da un conduttore di talk show della TV americana anni ottanta.
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Quando il cinema prende a prestito un personaggio e una storia , creati per il fumetto e vuole realizzare una trasposizione filmica ovvero da disegno a personaggio umano , da racconto disegnato su carta in movie story , con ambientazioni reali, e dunque da fantasie immaginate a fantasie realizzate in verosimili storie con personaggi umanizzati , allora la scommessa di una piena riuscita cinematografica , risulta difficile . Questo film , da un Joker fumetto di Batman con una sua propria coerenza , diventa per mano del regista Phillips , un Joker disperato reietto , scarto sociale ,malato mentale definito Joker da un conduttore di talk show della TV americana anni ottanta. La storia che ne segue Ë quasi irrilevante poiché tutto il film si basa sulla interpretazione del personaggio fumetto Joker, realizzata in chiave umana , dallo straordinario attore che Ë Joaquin Phoenix. Certo la sceneggiatura del film accompagna la vicenda di Arthur Fleck /Joker ma in definitiva Ë solo la faccia, il corpo e le azioni dell'attore che salvano il film. Tutta la storia sceneggiata si aggroviglia in una matassa senza un vero bandolo , poiché appare troppo debole il filo della malattia mentale ridanciana di Arthur Fleck /Joker, che lo porta , dopo una prima parte di analisi introspettiva del personaggio, ben riuscita, a diventare infine un leader di bande di delinquenti reietti che si ribellano ad una vita da poveri disgraziati in una città dominata da ricchi si presume capitalisti al potere in una metropoli americana. Il tutto sulla falsariga di un Joker per metà assassino pazzo delinquente , e per l'altra metà un Leader Maximo dei diseredati. Dunque un bel pasticcio di cake all'americana che non apporta un granché alla chiarezza della situazione delle società dominate dalla ricchezza di pochi elementi contro la grande quantità di povertà ed emarginazione di troppa umanità . Merito del film Joker, intanto è di aver almeno intuito il tema e di reinterpretare l’ essere Joker , il personaggio giusto , in maniera tale da colpire l'immaginazione di un vasto pubblico di cinema, oltre i confini del fumetto. (mauridal ) .
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