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Ultimo aggiornamento martedì 21 novembre 2023
Il regista parte dalla sua Palestina per scoprire il significato vero dalla parola casa. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha vinto un premio ai Lumiere Awards, In Italia al Box Office Il Paradiso probabilmente ha incassato 123 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Elia Suleyman parte dalla Palestina per un viaggio a Parigi e a New York dove trova affinità con le situazioni che vive nella sua terra con una domanda: dov'è il luogo che possiamo veramente chiamare casa? "Come nei miei precedenti film ci sono pochi dialoghi; quello che viene detto assomiglia a monologhi per infondere ritmo e musicalità.". Purtroppo nel momento in cui, in un lungometraggio, il regista di Nazareth esce dalla sua terra il pregio dell'astrazione che contraddistingueva un film come Il tempo che ci rimane si trasforma in un boomerang.
Perché il modello per eccellenza di Suleyman, il grande Buster Keaton, finisce con l'ibridarsi con un Jacques Tati immobile e del tutto straniato in un improbabile Play Time del nuovo millennio.
Suleyman vorrebbe farci riflettere su un mondo ormai divenuto surreale anche nella sua quotidianità e per farlo inanella una serie di sketch che vorrebbe far ridere o almeno sorridere e ci riescono purtroppo molto raramente (in uno di essi il successo è attribuibile in gran parte a uno speciale passerotto). A questo va aggiunto, solo come annotazione, che la divertente sequenza iniziale ambientata in uno dei luoghi sacri cari alla cristianità sarebbe stata ben più coraggiosa se collocata in uno dei centri di culto dell'Islam. Sarebbe stato interessante prendere nota delle reazioni. Ciò che però risulta più controproducente per la messa in scena del regista di Nazareth è che proprio le rarissime sequenze che comportano dei dialoghi finiscano con l'essere decisamente le più efficaci (una per tutte quella nel taxi newyorkese). È un segnale d'allarme che dovrebbe far riflettere: uno stesso tipo di azione passiva (propria della recitazione di Suleyman) non necessariamente funziona ovunque. Il paradiso non si trova dappertutto.
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Con “It Must Be Heaven” il regista Elia Suleiman vuole riprendere la tradizione del mimo francese. Il regista si rifà esplicitamente a Jacques Tati senza però riuscire a tenere allo stesso livello tutte le sue gag. Come faceva Jacques Tati, Elia Suleiman abbandona la narrativa tradizionale a favore di “vignette”, gag visive, manierismi e azioni fisiche [...] Vai alla recensione »
Chi non ha mai visto nulla di questo regista palestinese dovrebbe provare almeno una volta. Il suo è un approccio inconsueto alla narrazione fatto di pochi dialoghi, primi piani e scene apparentemente slegate, ma che insieme contribuiscono alla costruzione di senso della pellicola. Questi elementi, insieme alla mimica facciale quasi impercettibile, ma efficace del protagonista (lo stesso regista) [...] Vai alla recensione »
Un alto prelato cristiano ortodosso guida con canti e preghiere una processione di fedeli fino ad una porta chiusa: bussa più volte per farsi aprire senza successo prima di ricorrere a metodi più spicci. Molte cose sembrano strane a Nazareth. Sfugge ad Elia (Elia Suleiman) la logica dei suoi vicini di casa: i due (padre e figlio? O un israeliano ed un palestinese?) litigano insultandosi [...] Vai alla recensione »
Il Paradiso probabilmente è uno di quei film che ti lasciano perplesso quando ti alzi dalla poltrona, ma che poi cominciano a frullare nel cervello lascandosi dietro una scia di punti di domanda. E allora capisci che il non è robetta. Ti sforzi di capire, leggi commenti e recensioni, ma non ti soddisfano.Aiuta la comprensione del testo un minimo di contestualizzazione: sapere che Elia Suleiman nasce [...] Vai alla recensione »
Per tutto il film ti chiedi chi ha potuto finanziare, produrre e addirittura premiare un film così mediocre girato da un regista così egocentrico la cui faccia stanca molto presto. Anche le sequenze citate nella recensione,q del passerotto e del taxista lasciano molto imbarazzo. Eppure era iniziato bene....
C'è qualcosa di speciale nel cinema di Elia Suleiman che comincia in quella capacità di inventare nelle proprie immagini una forma espressiva sintonizzata a una condizione esistenziale in cui la rabbia soffocante dell'immobilismo (politico, sociale) si manifesta sempre nella lente dell'ironia, nell'umorismo disperato e silente di paradossi e violenze.
Se Elia Suleiman fosse francese, ci si passi il paradosso, sarebbe Jacques Tati. Se fosse americano sarebbe Buster Keaton. Se fosse italiano, avrebbe qualcosa di Nanni Moretti. Invece è nato a Nazareth nel 1960 e dal 1996, anno in cui esordì a Venezia col memorabile "Cronaca di una scomparsa", si chiede la stessa cosa affinando il suo sguardo impassibile e stupefatto: che cosa vuol dire essere palestinesi? [...] Vai alla recensione »
A 58 anni, il regista palestinese Elia Suleiman guarda ancora al suo paese di origine, ma ha rinunciato alla rabbia e allo spirito ribelle dei film precedenti. Si accontenta di notare che la violenza osservata in Palestina si è diffusa altrove e ne fornisce un resoconto attraverso scene di vita quotidiana, filtrate da uno spirito comico che fa pensare a Jacques Tati e a Buster Keaton.
La comicità è fatta di tanti generi diversi. In questi giorni trionfa al box office Cetto c'è senzadubbiamente, esempio di comico farsesco e un po' sboccato. Si colloca all'estremo opposto l'umorismo gentile del Paradiso probabilmente di Elia Suleiman, che a Cannes ha vinto un Premio speciale della Giuria. Sulla Croisette il regista palestinese era stato altre volte però questo è il suo primo film [...] Vai alla recensione »
C'è qualcosa che colpisce in Il paradiso probabilmente, l'ultimo lungometraggio di Elia Suleiman, ed è qualcosa che va al di là della forma e delle strategie narrative del regista palestinese. Il film, menzione speciale al festival di Cannes 2019, giunge dopo dieci anni dal suo ultimo, folgorante lungometraggio, Il tempo che ci rimane del 2009 (in mezzo solo un cortometraggio girato a Cuba e inserito [...] Vai alla recensione »
Con Il paradiso probabilmente Elia Suleiman non tradisce il cinema che gli è più caro. Commedia algida, a tratti surreale, come sempre ciondolante tra Tati e Beckett, in continuità nei toni con i precedenti Intervento divino e Il tempo che ci rimane, Il paradiso probabilmente ripropone Suleiman nella veste di attore come narratore interno dichiarato, nonostante un mutismo selettivo spezzato solo quando [...] Vai alla recensione »
Per Poe, nel racconto che anticipava il cinema di mezzo secolo, il corpo soddisfaceva il desiderio spettatoriale di una narrazione forte concretando la vista nella presenza fisica agente dentro l'immagine, e prima solo osservata. Per Benjamin, che aveva letto lo scritto (L'uomo della folla) nella traduzione di Baudelaire e sviluppava ponti semiotici tra i due, la presenza integrata del corpo contraddistingu [...] Vai alla recensione »
L'Autore, palestinese con passaporto israeliano, di famiglia cristiano-ortodossa, offre una interpretazione d'ironia all'interno di "Paradiso", recandosi da un produttore francese per trovare dei finanziamenti. Gli vengono negati con la motivazione che la storia non sarebbe abbastanza "palestinese". Il racconto parte a Nazareth, poi si trasferisce per buona parte a Parigi, compie un salto a New York, [...] Vai alla recensione »
Il Buster Keaton palestinese - così è stato battezzato, fin dai primi film sbarcati ai festival internazionali, per l'anagrafe è nato a Nazareth nel 1960 - ha perso la grinta. Ovvero: un altro comico che trovandosi a corto di idee decide di scavalcare la barricata passando dalla parte dei guru (con dosi generose di artistica noia). Il morbo non colpisce solo i nostrani Antonio Albanese, o la coppia [...] Vai alla recensione »
Tra gli incidenti comici di Tati e le perplessità mute di Buster Keaton c'è il palestinese cristiano ortodosso Suleiman, autore attore di una autobiografia che da vent'anni ci racconta con ironia, non priva di dolore e coscienza dell'assurdo, la vicenda di una patria inafferrabile ("paese non sovrano", e nel 2002 fu respinto agli Oscar). Al 4° film, menzione speciale a Cannes, unisce al lutto della [...] Vai alla recensione »
"Il Paradiso Probabilmente": già da quell'avverbio di dubbio, il regista - "palestinese di Palestina" - Elia Suleiman chiarisce che il suo nuovo film non offre certezze, ma si interroga con curiosa profondità sui concetti di appartenenza e di identità in quel mondo globale che spesso utilizza i luoghi comuni senza nemmeno essere consapevole della loro estensione ormai universale.
Per quanto tu cerchi di allontanarti, se sei palestinese la tua patria ti accompagna ovunque vai, non puoi liberartene. ES (sta per Elia Suleiman stesso, che casualmente come sigla potrebbe anche voler dire, citando Freud: "la voce della natura nell'animo dell'uomo") è un intellettuale più che laconico ma non solitario che decide di abbandonare la casa in cui vive per andare a vedere se si può star [...] Vai alla recensione »
Il regista e attore Elia Suleiman, protagonista/autore di Il Paradiso probabilmente nei panni di sé stesso, lascia la Palestina e intraprende un lungo viaggio intorno al mondo, tappe principali Parigi e New York, città diverse tra loro e diversissime dal luogo di partenza, che sarà anche quello di arrivo. Il tutto accompagnato da una domanda dalla difficile risposta: dove trovare un luogo che si possa [...] Vai alla recensione »
Elia Suleiman, regista palestinese al quarto film in 23 anni (ah, se tanti prendessero esempio da lui), parte dalla sua terra per far tappa a Parigi e New York. Il risultato? Tutto il mondo, sempre più surreale, è paese. Dialoghi ridotti al minimo con lo stesso autore che, protagonista, assiste alle varie gag (non tutte riuscite), senza proferire parola un Buster Keaton dei giorni nostri.
L'andamento è circolare. Comincia e finisce (con una parodia danzante di Kechiche) nella nativa Nazareth, dopo aver fatto il giro del mondo. Nella casa di Elia Suleiman, 59 anni, al quarto lungo, fa capolino l'inquietudine. E il dolore per la perdita della "madre" (quella carrozzella ormai vuota era ancora "viva" in Il tempo che ci rimane, del 2009), della fede religiosa (il rito pasquale ortodosso [...] Vai alla recensione »
La surreale commedia di Elia Suleiman, regista palestinese premiato a Cannes, è una metafora dell'assurdità quotidiana. Comincia con una processione greco-ortodossa dagli esiti imprevisti, va avanti in una New York militarizzata e arriva alla conclusione che la Palestina è ovunque, con soldati e check point. Il paradiso è solo una promessa della pubblicità. Da Tu Style, 3 dicembre 2019
Cetto La Qualunque torna in un'Italia che non crede più nella democrazia ed è a caccia di un re. Un'occasione che lui, esempio perfetto del politico ignorante, ciarlatano e corrotto, non si lascia sfuggire (al grido di «Ntu culu a Cavour»), e che diventa un modo per confrontarsi con il Paese che cambia, il figlio sindaco integerrimo che cresce, gli anni che passano e la volatilità della politica.
Una riflessione sul senso di appartenenza, sull'identità personale e su quanto il disagio della perdita delle radici si trascini in ogni parte del mondo. Il paradiso probabilmente segna il gradito, ispirato ritorno del regista e attore palestinese Elia Suleiman, prossimo ai 60 anni, già premiato a Venezia nel 1996 per l'opera prima Cronaca di una sparizione, del quale alcuni ricorderanno, negli anni [...] Vai alla recensione »
Dieci anni dopo l'acclamato Il tempo che ci rimane, qualcosa è cambiato. Ispirandosi ai diari del padre Fuad e alle lettere della madre ai parenti in esilio, là inquadrava l'indifferenza giovanile, l'attivismo politico della maturità e la successiva osservazione senza parole, qui passa il confine e allarga il campo d'azione. Allo specchio c'è sempre lui, ma stavolta le apparenze ingannano, perché Elia [...] Vai alla recensione »
Come il viaggiatore persiano di Montesquieu, Suleiman parte dalla sua Nazareth verso Parigi e New York. Non più «la Palestina come microcosmo del mondo, ma il mondo come microcosmo della Palestina». Dice tre solo parole: «Nazareth» e «sono palestinese». Per il resto, novello Tati come nei film precedenti, ma con una vena comica più spiccata e fin gratuita, osserva il mondo - dal giardino di casa al [...] Vai alla recensione »
Ieri è arrivato It Must Be Heaven, ritorno di Elia Suleiman, uno dei registi prediletti dai grandi festival internazionali, premiato a Venezia nel '96 - Cronaca di una scomparsa e a Cannes Intervention Divine (premio della giuria, 2002) dove è stato in gara anche con Il tempo che ci rimane e ha partecipato al film collettivo per i sessant'anni del Festival - Chacun son cinéma - tornando ancora una [...] Vai alla recensione »
Le uniche parole pronunciate da Elia Suleiman sono una dichiarazione "territoriale" di nettezza inequivocabile. Il tassista che lo carica in auto, al suo arrivo a New York, gli chiede da dove viene e lui risponde: Nazareth, Palestina. Ed è qualcosa che sta a metà tra una bomba e una mozione alla Nazioni Unite. Nazareth è città di Israele. Ma i governi, le occupazioni, i confini, i muri raccontano a [...] Vai alla recensione »
La scena immobile, ferma nella sua assurdità, sospesa sull'ironia impassibile di cui si ammanta la condizione umana contemporanea: Elia Suleiman torna a guardarci con la sua faccia da Buster Keaton un po' invecchiata. Ma questa volta si muove fuori confine, in trasferta (fuga?) dalla sua Palestina, ma non dalla condizione umana, ovvero dalla condizione palestinese.
Il quarto lungometraggio di Suleiman vede ancora una volta al centro il regista interprete nei panni di se stesso, lasciare la natia Palestina per Parigi e poi New York, e osservare imperturbabile le piccole bizzarrie che gli scorrono davanti agli occhi. Il risultato è un po' monotono e superficiale, con piccole gag a volte divertenti. Il regista pare ispirarsi alle Lettere persiane di Montesquieu, [...] Vai alla recensione »
Ancora due donne unite, divise, distanti, complementari. Eurídice e Guida, sorelle legatissime nella Rio de Janeiro dei primi anni '50, come Iya e Masha, le due infermiere nella Leningrado del 1945 di Beanpole. Ancora la storia passata fatta vivere sullo schermo attraverso l'effetto che i dettagli, i colori, l'ampiezza dello spazio e la concretezza del tempo hanno sulla vita dei personaggi.
Fuggendo dalla Palestina il regista approda prima a Parigi e poi a New York, trovando a Occidente una rappresentazione grottesca quotidiana. Con lo sguardo attonito di un Tati, Suleiman attraversa strade deserte, tra aerei e carrarmati, poliziotti e gente che va in giro armata, in una specie di teatro dell'assurdo. Una serie di quadretti esilaranti, dove tutto è sotto controllo, non diverso dalla vita [...] Vai alla recensione »
Sempre più Jacques Tati, Elia Suleiman (ES) scappa dalla Palestina, solo per accorgersi che la Palestina è ovunque. Da Parigi a New York, qualcosa, qualcuno gli ricorda sempre la madrepatria. In Concorso a Cannes 72 - dieci anni dopo Il tempo che ci rimane - con It Must Be Heaven, il regista palestinese si chiede quale, dove sia il posto che chiamiamo patria, e, silente e per lo più immobile, sguardo [...] Vai alla recensione »
Elia Suleiman fugge dalla Palestina in cerca di una patria alternativa, solo per scoprire che la Palestina lo insegue ovunque. La promessa di una nuova vita si trasforma dunque in una commedia degli equivoci: per quanto lontano viaggi, da Parigi a New York, qualcosa gli ricorda sempre di casa. Inizia così a esplorare il significato di concetti come identità, nazionalità e appartenenza, e a porsi la [...] Vai alla recensione »