Il Paradiso probabilmente

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Un film di Elia Suleiman. Con Elia Suleiman, Gael García Bernal, Holden Wong, Robert Higden.
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Titolo originale It Must Be Heaven. Commedia, Ratings: Kids+13, durata 97 min. - Francia 2019. - Academy Two uscita giovedì 5 dicembre 2019. MYMONETRO Il Paradiso probabilmente * * * - - valutazione media: 3,12 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Sconfinato, assurdo Suleyman

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Se Elia Suleiman fosse francese, ci si passi il paradosso, sarebbe Jacques Tati. Se fosse americano sarebbe Buster Keaton. Se fosse italiano, avrebbe qualcosa di Nanni Moretti. Invece è nato a Nazareth nel 1960 e dal 1996, anno in cui esordì a Venezia col memorabile "Cronaca di una scomparsa", si chiede la stessa cosa affinando il suo sguardo impassibile e stupefatto: che cosa vuol dire essere palestinesi? O meglio: che cosa significa chiudere la molteplicità custodita dentro ognuno di noi, ovunque sia nato, entro i confini di una presunta identità? Ne "Il Paradiso Probabilmente", il suo film più divertente e più disperato, come dice lui stesso, l'attore-regista spinge la domanda fino alle estreme conseguenze andandosene in giro per il mondo. Nazareth, Parigi, New York. I paesaggi cambiano, i capelli iniziano a ingrigire, ma Suleiman resta quello di sempre: un testimone muto e attonito della follia del mondo. Una follia ora buffa ora inquietante, o le due cose insieme. Forse perché mentre la Palestina continua a non (poter) esistere, il mondo intero sembra contagiato dallo stesso male: militarizzazione, posti di blocco, sradicamento, derealizzazione. Anche se questo palestinese errante, che cita Benjamin e Primo Levi («Lo humour non è riservato agli ebrei, ma di fatto l'esperienza del nomadismo e dell'esilio, che racconto in prima persona, nel secolo scorso è stata soprattutto appannaggio degli ebrei»), non maneggia la denuncia ma un'ironia sempre più lieve e visivamente ammaliante. Poliziotti che inseguono ladri volteggiando su sibilanti monoruota (puro Tati, infatti siamo a Parigi) madri di famiglia al supermercato col mitra a tracolla (questa è New York) illuminati produttori francesi che spiegano al regista di non poter finanziare il suo nuovo lavoro perché, ohibò, «non è abbastanza palestinese». L'assurdo non ha confini ma soprattutto non è più percepito come tale. E finisce per generare meravigliose metafore naturali, purché si abbiano occhi per vederle. Scoprendo, in una delle scene più belle del film, che ogni notte, dietro le ampie finestre di un atelier di moda, minuscole donne delle pulizie si affaccendano intorno a enormi schermi luminosi dentro cui avanzano senza fine imperiose fotomodelle. È il privilegio dell'esule: vedere ciò che non siamo più capaci di vedere. Il privilegio e la condanna.
Da L'Espresso, 8 dicembre 2019


di Fabio Ferzetti, 8 dicembre 2019

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