A Venezia 76 una sintesi del preziosissimo e spesso pionieristico lavoro investigativo del regista napoletano.
di Raffaella Giancristofaro
Nel 2012 la Biennale di Venezia conferisce a Francesco Rosi (Napoli, 1922 - Roma, 2015) il Leone d'Oro alla carriera. Nel ritirarlo il regista ricorda con orgoglio che l'anno precedente l'Istituto italiano di Cultura ha organizzato "Citizen Rosi", una selezione dei suoi film. Il riconoscimento della Mostra arriva quindi alla soglia dei suoi 90 anni, dopo cinque decenni di attività, all'inizio come assistente del Visconti neorealista, e almeno quattro tra il primo film diretto, La sfida (1958) e l'ultimo, La tregua (1996). Pur avendo esplorato anche altri generi, il nome di Rosi è sinonimo soprattutto, in tutto il mondo, di un cinema civile rigoroso, che è insieme elegante e popolare, veicolo di secca denuncia e capace di intercettare il dramma intimo, individuale, nella Storia.
A guidare lo spettatore tra i film di Rosi è la voce della figlia Carolina, che fin da piccola ne ha seguito con ammirazione il lavoro e che riprende in mano, nel suo studio, i cospicui dossier giornalistici con cui si preparava al set.