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Ancora auguri per la tua morte: omaggio parodistico allo slasher movie che fu

La Blumhouse Productions punta tutto sull'effetto nostalgia nei confronti dei capisaldi del genere. Al cinema.
di Giovanni Chessari, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

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lunedì 4 marzo 2019 - Scrivere di Cinema

"La vigilia d'Ognissanti han paura tutti quanti: è la notte delle streghe, chi non paga presto piange". Così recitava l'inquietante filastrocca all'inizio di Halloween, cult del 1978 ad opera di John Carpenter. Sulla scia di Tobe Hooper (Non aprite quella porta, 1974) e di Wes Craven (Le colline hanno gli occhi, 1977), all'epoca Halloween attuò una vera e propria rivoluzione: da una parte dimostrava che era possibile una produzione indipendente di qualità, in grado di ovviare al ridottissimo budget con un'ottima dose di creatività; dall'altra sdoganava definitivamente il sottogenere slasher, vale a dire quel filone di film del terrore in cui un pazzo omicida miete giovani vittime con un coltello affilato.

Nel 2000, quando Jason Blum si accorgerà che il genere horror era stato saccheggiato a un punto tale da non spaventare più nessuno, ecco che nascerà la Blumhouse Productions, atta perlopiù a sostenere la realizzazione di film horror indipendenti ma genuini, ingegnosi nel recuperare la logica primigenia dei predecessori: esploderanno così (tra gli altri) fenomeni di successo come Paranormal Activity o Insidious.
Giovanni Chessari, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Ma è solo nel 2017 che arriva Auguri per la tua morte, seguìto adesso da Ancora auguri per la tua morte (guarda la video recensione), doppia operazione con cui la Blumhouse sembra chiedersi se e in che modo sia possibile concepire oggi lo slasher movie. In tal senso il regista Christopher Landon, ben consapevole dei rischi in cui incorre una simile iniziativa, ha scelto di imboccare la via dell'omaggio parodistico piuttosto che quella dell'imitazione schietta.

D'altra parte aggiornare alla contemporaneità le ragioni profonde di un lavoro come Halloween sarebbe stato impossibile. Di fatto quello era un prodotto che nasceva da urgenze politiche figlie esclusive del suo tempo: a tre anni dalla conclusione della guerra in Vietnam, il massacro operato da Michael Myers diventava metafora di un paese che aveva mandato a morire al fronte i propri ragazzi; inoltre, Laurie Strode inaugurava la mitologia femminista della Final Girl, la ragazza timida e spaurita che, rivelando un inedito coraggio, alla fine era l'unica sopravvissuta al macello umano circostante.


LA RECENSIONE CONTINUA A LEGGERE

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