Con Tre volti, l'autore iraniano trasforma l'interdizione imposta dal governo in un potente urlo contro l'oppressione. Premiato a Cannes e dal 29 novembre al cinema.
di Erfan Rashid
Che cosa rimane ad un regista quando un decreto governativo lo priva del suo diritto di fare film per vent'anni e lo costringe a rimanere a casa confiscandogli il passaporto? La prima risposta che viene in mente: "Niente! non gli rimane niente! E ciò potrebbe essere l'inizio della fine per quel regista!". Tuttavia, qualcosa gli rimane: la determinazione e la testardaggine di trasformare quella restrizione di libertà e l'emarginazione, in una resistenza per la libertà continuando a realizzare film. E non importa se quel film verrà visto da altri o no, rimane comunque un film.
Jafar Panahi, ha trasformato la sua reclusione e l'esclusione decisa dal governo iraniano, in un potente urlo contro l'oppressione. Un atto di coraggio, che venne subito sostenuto dalla comunità cinematografica internazionale.
Jafar Panahi è oggi il regista assente con la più marcata presenza nei più grandi festival come Cannes, Venezia, Berlino e tanti altri, e aumentano sempre di più le rivendicazioni nei confronti del regime dei Mullah per liberare il regista. La campagna di solidarietà con lui non è stata vana. Ha ottenuto un alleggerimento della pena, e Panahi ha dichiarato: "Vorrei che vi mettiate nei panni di un regista che non sa fare altro che realizzare film, e non desidera fare altro. Quanti anni devo sprecare in attesa che passino gli anni di interdizione? Non posso restare fermo e perdere i miei migliori anni. la mia non è stata una liberazione, ma l'uscita da una prigione piccola e l'introduzione in una più grande".
Jafar Panahi non è l'unico cineasta o intellettuale iraniano caduto nelle disgrazie sotto il regime dei Mullah, ma è sicuramente il cineasta più acuto tra i suoi contemporanei. Con il film Il Cerchio (Leone d'Oro alla 57. Mostra di Venezia), ha puntato il dito verso le contraddizioni che affliggono la società iraniana, e ha continuato tirandosi addosso le angherie del regime. Panahi, del resto è il meno persiano di tutti i suoi colleghi: è Azero, e quasi la metà dei dialoghi del film Tre volti (guarda la video recensione) è recitato in Turkumanno azero.
Ma come mai il regime consente a Jafar Panahi di realizzare i film dopo averlo imprigionato ed averlo interdetto a praticare la professione?
Si tratta di una disattenzione, o, piuttosto, di una tattica per allentare la pressione internazionale sul regime? Si tratta, senz'altro, di tutto questo e di un'altra cosa ancora, perché violando l'interdizione e realizzando film che vengono proiettati nei più grandi festival, Jafar Panahi infrange una sentenza governativa e non fa altro che incrementare motivazioni di un'eventuale re-incriminazione in qualsiasi momento, per "avere infranto le leggi e sentenze giudiziarie!" emesse nei suoi confronti.