Sguardo intenso e popolarità incandescente, il Jon Snow de Il trono di spade interpreta il divo, la celebrità, nel film intimo e autobiografico di Xavier Dolan. Al cinema.
di Tommaso Tocci
Il nuovo film di Xavier Dolan è tra le sue opere più barocche, ricco di livelli che si sovrappongono. Parla di madri e figli, ovviamente, parla di omosessualità dolorosamente nascosta, di tossicodipendenza e della natura e responsabilità dell'artista. Parla anche, in chiave autobiografica per il regista (famosa la sua lettera d'infanzia indirizzata a Leonardo DiCaprio), di bambini ossessionati dalle celebrità.
Nel disegnare la sua celebrità idealizzata, contrappunto epistolare del piccolo Rupert di Jacob Tremblay, Dolan ha scelto Kit Harington, attore inglese con i capelli da divo, lo sguardo intenso e una popolarità incandescente.
Appena un mese prima dell'uscita italiana di La mia vita con John F. Donovan si sono concluse le otto stagioni di Game of Thrones, successo televisivo globale come pochi altri, nonché un'epopea che ha consegnato ad Harington un percorso attoriale bizzarro. Il blockbuster fantasy di HBO è stato per anni il punto di riferimento per quanto riguarda la coralità seriale, con un gruppo di attori e caratteristi che potevano tutti dirsi protagonisti, aiutati dal costante ricambio e ri-assestamento che veniva dalle morti di alto profilo che caratterizzano la storia.
Parte di un gruppo di giovani attori che avevano all'incirca vent'anni all'inizio delle riprese, Harington è cresciuto sullo schermo, avendo il lusso di forgiare Jon Snow nell'ombra, passo dopo passo, nella sicurezza di un gruppo che lo proteggeva. Al tempo stesso sapeva che, nel corso degli anni, il suo ruolo avrebbe assunto i crismi del più tradizionale degli eroi, favoriti dal destino e spinti verso il centro del palco. Organica ma inesorabile, già nota sulla carta eppure violenta nel manifestarsi, la sua ascesa ha avuto dei riflessi interessanti tanto per il personaggio quanto per l'attore, il quale a più riprese ha dichiarato di sentirsi inadeguato al compito, chiedendosi se non fosse l'anello debole della catena.
È noto che interpretare l'eroe richieda un'arte tutta particolare, specialmente per gli archetipi del genere "kalòs kagathòs", quelli buoni, belli, e nobili. Farlo in Game of Thrones, una serie la cui intera poetica è basata sulla sovversione dei ruoli dell'epica tradizionale, espone ancora di più al rischio del ridicolo. Rischio a cui Harington è andato incontro a testa alta, come il suo Jon di fronte alla cavalleria nemica, accettando di farsi bollare come noioso e monotono per dare ancor più risalto a quei colleghi che sguazzavano in istrionica malizia.
E così, più Game of Thrones lo spingeva sotto i riflettori, più il suo personaggio ne risentiva. E dato che la carriera di Harington non ha avuto spazio finora per molto altro che il colosso HBO (fu scritturato, poco più che studente, sulla base del successo teatrale di War Horse), prendere le distanze da Jon è stata impresa ardua. Si tratta di un ruolo che gli ha fatto incontrare una moglie (la co-star Rose Leslie), un ruolo al termine del quale è andato in rehab, e da cui staccarsi è stato come essere "scuoiato vivo", per sua stessa ammissione.