Nel film di Villeneuve un confine sempre più sottile divide uomini e replicanti, un limite che potrebbe anche sfumare lasciando il posto al caos. Al cinema. di Marco Castelli, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
La pioggia scrosciante della Los Angeles del 2019 continua a battere furiosa sulla California anche trent'anni dopo, lasciando solo di tanto in tanto il posto ad una neve che sembra cenere. Le vie affollate da una folla disordinata sembrano essere state in larga misura ripulite e riportate all'ordine mentre gli ultimi replicanti da ritirare si nascondono ormai nelle campagne disabitate, all'ombra di alberi corrosi dalle piogge acide e messi a dura prova dal vento che corre sulle terre brulle. In questo mondo che unisce le tecnologie più evolute ai rimasugli di guerra fredda il regista Denis Villeneuve si muove con decisione, riuscendo nella quasi impensabile impresa di riformulare l'estetica cyber-punk del primo Blade Runner con un tono autoriale, che unisce in un'unica estetica minimalista monumentali statue à la Ozymandias dimenticate nella polvere e schermi touch.
La questione proposta da Ridley Scott, a ribattere alle "magnifiche sorti e progressive" suggerite dall'avanzamento tecnologico, era "Qual è la differenza tra umani e macchine. Ove si pone il confine dell'umano?", mentre solo in subordine a questa si definiva la diatriba sulla natura da replicante o meno del protagonista Deckard.
Villeneuve ripropone le stesse domande, ma mettendo chiaramente l'accento sulla formulazione individualistica dell'identità ("Chi sono io?") e facendo che sia nella ricerca di una risposta a questo dubbio che si indaghi sulla "summa divisio" della Terra del 2049: replicante o umano.
Un confine sempre più sottile divide infatti le due specie, un limite che nei timori dei dominanti potrebbe anche sfumare lasciando il posto al caos, rendendo insufficiente l'identificazione della differenza tra i due nel possesso dell'anima, che sarebbe propria degli esseri nati e non creati artificialmente.
Tuttavia accanto a questa separazione messa in dubbio si aggiunge anche un'altra linea di frattura, più attuale, a dare ulteriori spunti di riflessione sui limiti dell'umano: la relazione con i computer personali e gli assistenti virtuali. Anche se la differenza con l'uomo è a livello tecnico più chiara che per i replicanti (dalle quattro basi azotate che formano il DNA ai due segnali che si sostanziano nel codice binario, ci viene detto), a livello d'umanità i confini si presentano come sempre più fluidi, come i risultati del test di Turing ci ricordano, già nel nostro 2017, di anno in anno. Quale spazio per una divisione? Quando si può parlare di nuova schiavitù e, di converso, di libertà delle macchine, tema proprio della tradizione sci-fi?
Ai tempi della schiavitù storica la questione era risolta abbastanza efficacemente - ed infatti le rivolte, considerata l'entità del fenomeno, sono state relativamente poche - separando il concetto di uomo dal concetto di persona. L'uomo come sostrato fisico e la persona come insieme di "maschere" e ruoli che inseriscono un dato soggetto nell'ordine (religioso e quindi gerarchico) del mondo. Non tutti gli uomini erano persone (non lo erano gli schiavi come le donne) e non tutte le persone erano uomini (ancora oggi infatti si parla di "persone giuridiche"). È stata la tensione universalizzante delle grandi Rivoluzioni ma ancora più - le rivoluzioni tennero infatti un rapporto ambiguo con la schiavitù - l'elaborazione giuridico-dottrinale ciò che ha portato ad eliminare la differenza tra i due concetti, terminando con l'identificazione, dimostrata da ogni dizionario in ogni lingua occidentale tra i due termini.
Ma probabilmente in questi nuovi contesti anche un passaggio lessicale che permetta di utilizzare "uomo" e "persona" come termini concentrici in funzione inclusiva sarebbe insufficiente a fermare le rivolte dei replicanti ed a dare dignità agli assistenti virtuali.
La differenza tra i due registi nell'affrontare queste questioni emerge tuttavia chiaramente nello sguardo che pongono su questo mondo e sui loro personaggi. Ciò che sfuma in Blade Runner 2049 è infatti il pessimismo esistenziale e sociale che aveva caratterizzato il film di Scott e ne aveva rappresentato il sapore caratteristico. Tra i venti di ribellione spartachisti ed i tentativi di sottomissione, Villeneuve si muove alla ricerca di una speranza che non passi per gli estremismi ma risolva le domande nel rapporto interpersonale, nel "miracolo" della vita che si rinnova nonostante tutto, nella figura cristologica, sia essa umana o replicante forse non conta.