A dieci anni dall'esordio alla regia con Anche libero va bene, l'attore firma un film intimo, rischioso, persino estremo.
di Ilaria Ravarino
Un film intimo, rischioso, persino estremo. Un film in cui l'autore - che ne è anche regista, e interprete principale - mette in gioco se stesso nel vero senso del termine. Fisicamente. Emotivamente. Fino a rivelare dettagli di sé che chiunque preferirebbe conservare nel privato.
A dieci anni di distanza dalla sua prima regia, Anche libero va bene, Kim Rossi Stuart torna dietro alla macchina da presa per consegnarsi, con Tommaso, integralmente allo spettatore.
E firmando un'opera così intima, e personale, segna coraggiosamente un punto di non ritorno nella sua carriera - accettatemi così o non sceglietemi affatto, sembra dire - che rende questo film una visione imprescindibile per chiunque abbia apprezzato l'evoluzione della sua professione - da Principe Azzurro nazional popolare in prima serata tv a raffinato fautore di un cinema introspettivo e intellettuale.
Poco importa che Rossi Stuart, presentando il film fuori concorso alla 73. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ne abbia sminuito i riferimenti personali: "Non è un ritratto memorialistico, non interesserebbe a nessuno - ha detto - Tommaso è un film autobiografico perché frutto, come sempre, di un percorso introspettivo". Un film "senza rete" costruito intorno a un personaggio che di mestiere fa l'attore, proprio come lui, e che si chiama Tommaso, come il protagonista del suo primo film da regista: "Per scrivere Tommaso ho dovuto cercare dentro me stesso. Del resto guardarsi dentro e mettersi a nudo è la cosa più saggia e matura che si possa fare per superare la negatività che ci costringe in una dimensione di apparenza e finto benessere".