Gran Premio della Giuria alla 72. Mostra del Cinema di Venezia, il regista e il suo film sono in corsa agli Oscar per miglior film d'animazione.
di Mauro Gervasini
La politica degli autori tende a identificare soprattutto i registi come tali. Dimenticando troppo spesso come il cinema sia un'arte corale, e come dietro le immagini ci sia, quasi sempre, prima di tutto un testo. Nella galassia di sceneggiatori che tra gli anni 90 e il nuovo millennio hanno "fecondato" il cinema e la narrazione televisiva Usa, Charlie Kaufman, classe 1958, è tra le rare eccezioni.
Rifiuta il ruolo di "fornitore di storie" o di semplice cesellatore di dialoghi, impone sin dalla prima esperienza importante (Essere John Malkovich, 1999) una sua presenza centrale, necessaria alla produzione fino alla fase del montaggio.
L'interesse per le storie non lineari, surreali, con al centro dilemmi esistenziali universali, ha fatto spesso parlare di un tocco personale, meglio di una "poetica", riconoscibile indipendentemente dalla mano dei registi con i quali ha lavorato, fossero pure di grosso calibro come Spike Jonze o Michel Gondry. Kaufman stesso teorizza una partecipazione estrema dello sceneggiatore al processo creativo del film.
Con Jonze e Gondry ha un sodalizio solido, scrive per entrambi due film, destinati a segnare a fondo le rispettive carriere. Essere John Malkovich (prodotto da Michael Stipe dei R.E.M.) e Il ladro di orchidee (2002) del primo; Human Nature (2001) e Se mi lasci ti cancello (2004) del secondo.
Tutti diversamente apprezzati, prima dalla critica e in parte anche dal pubblico, nonostante si tratti di film sofisticati, capaci di giocare a rimpiattino con scambi temporali e metafore di personalità friabili, intercambiabili, quando non proprio connesse alla narrazione (in Il ladro di orchidee Nicolas Cage interpreta anche Charlie Kaufman in crisi creativa dopo avere scritto Essere John Malkovich). Diventa egli stesso "personaggio" al servizio di una pratica postmoderna di scrittura che mescola testo e contesto, quest'ultimo, a volte (Essere John Malkovich, Se mi lasci ti cancello), proiezione della mente dei protagonisti.
Un metodo affascinante e complesso, che presuppone una narrazione fredda, cerebrale (anche in senso letterale...) a tratti ermetica e respingente.
Al centro ancora una volta un io-autore (Seymour Hoffman, strepitoso) chiamato a ricreare una definitiva opera-mondo in un capannone.
Nel 2008 Kaufman decide di dirigere per conto proprio un suo copione, Synecdoche, New York, dimostrando di avere imparato, da Gondry e Jonze, l'arte della fluidità narrativa applicata alle sceneggiature impossibili, perché frammentate, dove un personaggio può essere interpretato da più attori oppure, viceversa, un attore può impersonare più personaggi, tra i quali se stesso. Il risultato è una volta di più ambizioso, affascinante ma sfuggente, totalmente privo di equilibrio.
Non stupisce che ci metta oltre sei anni per scrivere e dirigere, insieme a Duke Johnson, Anomalisa, nelle sale italiane dal 25 febbraio, premiato a Venezia 2015 con il Gran Premio della Giuria e nominato agli Oscar come miglior film d'animazione.
Il riscontro del pubblico deciderà a questo punto quale posto nel mondo (del cinema) spetti oggi a Charlie Kaufman.
Un cartone animato in stop motion, storia di un celebre conferenziere "motivazionale" improvvisamente attratto da una ragazza, Lisa, in un luogo simbolico (il Fregoli Hotel) che rimanda a un tema, quello della maschera, reso più significativo proprio dal ricorso all'animazione. Anomalisa è l'ennesima prova sapientissima di un autore dallo spessore inusuale, nel cinema mainstream, benché forse più votato alla sperimentazione.