riccardo t.
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giovedì 10 gennaio 2013
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the master
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The Master non è il film su Scientology. Philip Seymour Hoffman non è L.Ron Hubbard. Paul Thomas Anderson è un genio.
Freddie Quare è un reduce di guerra che tenta un difficile reinserimento nella società. Lancaster Dodd è il carismatico capo dell’organizzazione religiosa detta “La Causa”. The Master è questo, L’ immenso racconto di un incontro tra due persone che diventa analisi introspettiva di tutto l’animo umano.
Paul Thomas Anderson firma al suo sesto film un altro capolavoro della sua carriera; e lo fa con la sua incredibile capacità di rendere una storia semplice(perché si parla di amicizia in fondo) qualcosa di più grande, di più imponente capace di scuotere lo spettatore.
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The Master non è il film su Scientology. Philip Seymour Hoffman non è L.Ron Hubbard. Paul Thomas Anderson è un genio.
Freddie Quare è un reduce di guerra che tenta un difficile reinserimento nella società. Lancaster Dodd è il carismatico capo dell’organizzazione religiosa detta “La Causa”. The Master è questo, L’ immenso racconto di un incontro tra due persone che diventa analisi introspettiva di tutto l’animo umano.
Paul Thomas Anderson firma al suo sesto film un altro capolavoro della sua carriera; e lo fa con la sua incredibile capacità di rendere una storia semplice(perché si parla di amicizia in fondo) qualcosa di più grande, di più imponente capace di scuotere lo spettatore. Un rapporto a due empaticamente fortissimo ed emozionante che diventa metafora profonda del bisogno di ognuno di noi di avere un punto di riferimento, di dipendere da qualcuno, quel bisogno che tormenta Freddie e lo spinge verso “La Causa e verso Lancaster, che rappresenta l’altra faccia del nostro essere, quel desiderio di controllo, di avere seguito, di essere ascoltati, quella capacità di plasmare con le nostre parole e idee le menti altrui.
Anderson come sempre mantiene un livello tecnico ineccepibile, gira stupendamente con una meravigliosa pellicola 70mm regalando sequenze visivamente magnifiche grazie a una fotografia dettagliatissima e maneggiando con estrema maestria lo spazio filmico, essendo perfetto sia nelle scene d’interni che nell’immensità dell’esterno, Questa bravura nel gestire materiale registico così complesso ricorda un certo Stanley, forse il paragone è forte ma siamo sulla buona strada. Anderson anche sceneggiatore preciso e pregnante, da un tono epico e potente a questo rapporto a due, non limitandosi alla storia raccontata e gestita alla perfezione ma andando oltre, sviscerando tematiche profondissime sull’esigenza di essere dominati e il voler dominare qualcuno. Il regista non dimentica il tempo che filma, durante la pellicola si avvertono i postumi della guerra, una società sbandata e persa,inquieta come le musiche di John Greenwood per il film; che vuole deve (ri)trovare sé stessa anche e soprattutto a livello spirituale. Ma Scientology non c’entra.
Per raggiungere tali livelli Anderson si è affidato a un duo di interpreti memorabili e caratterizzati al microscopio, vero cuore del film sia narrativo-tematico che espressivo. Joaquin Phoenix è Freddie(e vi prego dategli l’Oscar) la sua bravura non sta tanto nei dialoghi che fa(anche se sono da brividi) ma nel suo corpo, nei suoi occhi, e nelle sue movenze trasmettitori tutti di un inquietudine tenuta a bada per troppo tempo e pronta d esplodere, una rabbia repressa sottilissima e straordinariamente complessa da recitare. Philip Seymour Hoffman è il maestro del titolo, carismatico, oratore infallibile, ma come dice lui stesso nel film”uomo”, un personaggio che parte da superiore e finisce allo stesso livello se non più pietoso a quello di Freddie, e Hoffman è impeccabile nel mostrare le varie debolezze del suo Lancaster, umano e umanizzato. The Master offre svariati punti di riflessione a fine visione, fa pensare e scuote psicologicamente e cresce, si ramifica all’interno dello spettatore come solo i grandissimi film sanno e possono fare Quando il cinema è arte allo stato purissimo.
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[+] lrh e scientology
(di anselmo84)
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hernan
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giovedì 10 gennaio 2013
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quando la malattia è l'unica cura
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Agli occhi un pò provinciali di un totale inesperto, la prima associazione post-visione è andata a Italo Svevo. Banale e assurda, senz'altro, ma perchè no? Anderson costruisce un personaggio tra i reduci della seconda guerra mondiale, un ex marinaio psicologicamente segnato dal conflitto e da una lunga e tormentata astinenza, compensata con improvvisati e devastanti drink alcolici. A fine guerra, è la società a entrare in gioco, a decretare la malattia e a stabilire la necessità di un recupero, del ritorno in campo attraverso il lavoro. Rapido quanto scontato insuccesso. Freddie Quell continua a sbandare, sballottato tra un lavoro e l'altro, fino ad incontrare il Maestro, Lancaster Dodd, sciamano del novecento che indaga la psiche alla ricerca dei suoi conflitti attraverso le tecniche più disparate, con largo seguito nell'alta società.
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Agli occhi un pò provinciali di un totale inesperto, la prima associazione post-visione è andata a Italo Svevo. Banale e assurda, senz'altro, ma perchè no? Anderson costruisce un personaggio tra i reduci della seconda guerra mondiale, un ex marinaio psicologicamente segnato dal conflitto e da una lunga e tormentata astinenza, compensata con improvvisati e devastanti drink alcolici. A fine guerra, è la società a entrare in gioco, a decretare la malattia e a stabilire la necessità di un recupero, del ritorno in campo attraverso il lavoro. Rapido quanto scontato insuccesso. Freddie Quell continua a sbandare, sballottato tra un lavoro e l'altro, fino ad incontrare il Maestro, Lancaster Dodd, sciamano del novecento che indaga la psiche alla ricerca dei suoi conflitti attraverso le tecniche più disparate, con largo seguito nell'alta società. E la terapia di Lancaster sembra funzionare, il suo rapporto con Freddie sembra funzionare. Quest'ultimo comincia a studiare la sua malattia (e a condividere le bevute con l'acclamato profeta). La vicenda incespica su se stessa, si ripete, come gli sforzi di una mente instabile che però, a discapito di tutte le altre, è l'unica ad avere chiaro, dalla sua morbosità alle fandonie altrui. Menzogne cui però non rinuncia, bensì si affida. Arriva anche a proteggere Lancaster, più che per le sue teorie, genialmente dissacrate da risa e sconcerie, per la sua vicinanza..l'unica "cura" necessaria? Forse è qui che viene in mente il paragone con lo scrittore italiano, nel pieno di un dramma psicologico in cui il protagonista non basta a se stesso, si affida agli insegnamenti altrui, all'altrui cura (e smania di curare), eppure in fondo sa bene che la malattia, probabilmente, non è che una condizione più pura, più libera, che cerca ciò che vuole senza nascondimenti, senza farsa, senza belle parole o abbracci o canzonette. E nella soddisfazione dei desideri, la pace, quella vera. Al di là delle critiche e delle delusioni, meglio vederlo e giudicare... senza Maestri.
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catel
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mercoledì 9 gennaio 2013
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troppa aspettativa o incomprensione?
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Sulla regia, attori, produzione,e quant'altro poco da ridire! Anzi oserei dire che il ruolo di Freddie Quell interpretato da Phoenix gli calza alla perfezione! Purtroppo per l'ennesima volta o sono stata sdeviata dal trailer che aveva mascherato quasi del tutto l'intento e la trama del film, che mi è risultato fin troppo oscuro, oppure io non ho recepito il messaggio dell'autore. Questa indagine sulla psiche ritengo che è stata un po' superficiale, mi aspettavo un qualcosa di più profondo e ricercato, sono stata tutto il film a cercar di andar oltre e a cercar ogni possibile allusione, ma invano. Il giorno dopo ripensandoci sono arrivata alla conclusione che forse forse il film non necessiva neanche di tutta questa analisi accurata.
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Sulla regia, attori, produzione,e quant'altro poco da ridire! Anzi oserei dire che il ruolo di Freddie Quell interpretato da Phoenix gli calza alla perfezione! Purtroppo per l'ennesima volta o sono stata sdeviata dal trailer che aveva mascherato quasi del tutto l'intento e la trama del film, che mi è risultato fin troppo oscuro, oppure io non ho recepito il messaggio dell'autore. Questa indagine sulla psiche ritengo che è stata un po' superficiale, mi aspettavo un qualcosa di più profondo e ricercato, sono stata tutto il film a cercar di andar oltre e a cercar ogni possibile allusione, ma invano. Il giorno dopo ripensandoci sono arrivata alla conclusione che forse forse il film non necessiva neanche di tutta questa analisi accurata..
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paolorol
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mercoledì 9 gennaio 2013
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senza senso
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Mi accodo alla vox populi. I critici, si sa, qualche goccia di sangue la devono trovare anche in una rapa. Ma qua non si trova niente, neanche a scavare.
Splendidi i due attori, che hanno sottoposto il proprio fisico ad una vera mutazione, in particolare Phoenix impressionante per la magrezza (non credo sia un trucco cinematografico) che ha raggiunto per impersonare il ruolo dello psicopatico.
E il resto? Nulla.
Film tanto inutile quanto ipertrofico, noioso ed interminabile. Il niente che ha detto poteva dirlo in mezzora, non in DUE ORE e UN QUARTO !!! Solo per masochisti !
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sergiolino63
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mercoledì 9 gennaio 2013
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la corazzata potionkin
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Avete presente il commento di Fantozzi al film "la corazzata Potionkin" ??? Ecco....
[+] bravissimo
(di talete79)
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renato volpone
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martedì 8 gennaio 2013
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la costruzione di sé
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Freddy Quell vive in un mondo attraversato dalla guerra e dai suoi dolori. Ma i dolori di Freddy, finita la guerra, sono dentro di lui, soffocati da un morbido ma esplosivo miscuglio di alcool e altri strani componenti. Il destino lo porta ad incontrare Lancaster Dodd "il Maestro" che lo prenderà sotto la sua ala protettiva e lo sottoporrà alle sue terapie alternative. Da un lato il male di vivere e dall'altro la curiosità di scoprire e sondare l'animo umano. Ma il male di vivere qual'è? Allievo e maestro, seppure così diversi, sono molto simili e i loro ruoli si scambiano facendo nascere quasi impercettibilmente un legame fortissimo, ipnotico, sensuale.
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Freddy Quell vive in un mondo attraversato dalla guerra e dai suoi dolori. Ma i dolori di Freddy, finita la guerra, sono dentro di lui, soffocati da un morbido ma esplosivo miscuglio di alcool e altri strani componenti. Il destino lo porta ad incontrare Lancaster Dodd "il Maestro" che lo prenderà sotto la sua ala protettiva e lo sottoporrà alle sue terapie alternative. Da un lato il male di vivere e dall'altro la curiosità di scoprire e sondare l'animo umano. Ma il male di vivere qual'è? Allievo e maestro, seppure così diversi, sono molto simili e i loro ruoli si scambiano facendo nascere quasi impercettibilmente un legame fortissimo, ipnotico, sensuale. Sarà il maestro a rivivere vite passate per trovare e provare il loro primo incontro, quasi avesse timore di portare lontano da sé l'enigmatico, difficile, scostante Freddy. L'algido contorno di personaggi serve solo da sfondo alla loro partita a scacchi: "se mi lascerai ora sarà per sempre" intima in maestro, "ci rivedremo nella prossima vita" ribatte l'allievo. Ma il gioco delle parti viene abilmente giostrato dal regista che tiene lo spettatore sul filo di lana in attesa di un evento doloso o di una clamorosa liberazione, ma nulla accade perché allievo e maestro sono il riflesso l'uno dell'altro, sono il riflesso dell'animo umano. Grande interpretazione di Joacquin Phoenix e di Philip Seymour Hoffman che ci portano attraverso un'America liberale, ma anche gretta e meschina, un'America che vive la paura del sentimento e del desiderio, proiettando su immagini fantastiche le proprie fantasie. Il web parla di espliciti riferimenti a "Scientology", e in effetti viene da pensare al maestro di "la rasatura del prato e la costruzione di sé, ma il vero affanno è quello di rappresentare ciò che noi siamo nel bene e nel male come sono le due facce di questa medaglia. Grandiosa la fotografia. Un capolavoro di bravura.
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[+] i capolavori sono ben altro....
(di sergiolino63)
[ - ] i capolavori sono ben altro....
[+] non esageriamo
(di pepito1948)
[ - ] non esageriamo
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marco.vito
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martedì 8 gennaio 2013
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tanto rumore per nulla? no. tanto rumore per poco.
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Esprimo un giudizio di 3 stelle principalmente per la prestazione maiuscola di Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffmann nella recitazione. Tutto qui. Pensate allo stesso film, stesso impianto narrativo, stesso montaggio ma senza loro due, senza la loro interpretazione intendo. Cosa vi rimarrebbe se non una grandiosa fotografia? Poco. Troppo poco. Si era parlato molto, troppo del "fattore Scientology". Questo probabilmente ha fatto sia bene che male al film. Bene ovviamente agli incassi, visto che in molti hanno riempito le sale nel dediderio di assistere ad una salace critica sul culto più pop del globo (ovviamente nulla di tutto ciò). Male perchè nel film Scientology è solamente un pretesto.
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Esprimo un giudizio di 3 stelle principalmente per la prestazione maiuscola di Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffmann nella recitazione. Tutto qui. Pensate allo stesso film, stesso impianto narrativo, stesso montaggio ma senza loro due, senza la loro interpretazione intendo. Cosa vi rimarrebbe se non una grandiosa fotografia? Poco. Troppo poco. Si era parlato molto, troppo del "fattore Scientology". Questo probabilmente ha fatto sia bene che male al film. Bene ovviamente agli incassi, visto che in molti hanno riempito le sale nel dediderio di assistere ad una salace critica sul culto più pop del globo (ovviamente nulla di tutto ciò). Male perchè nel film Scientology è solamente un pretesto. Un pretesto per abbozzare uno scheletro narrativo sul quale il film a malapena zoppica. Lo spettatore non accede all'universo razionale (o irrazionale) dei protagonisti. Non entra nella loro testa, non gli è permesso. Viene sedotto dalle magistrali interpretazioni dai protagonisti, ma mai rapito, incuriosito o scosso da una trama piatta e senza sussulti. La critica questa volta ha concesso troppo ad un film a mio parere poco più che sufficiente.
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prao.gio
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martedì 8 gennaio 2013
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una forza inarrestabile e un oggetto inamovibile.
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Cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Lo distrugge, si direbbe da finale di The Master, l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, perché quella forza, Freddie Quell (Joaquin Phoenix), ubriaca, folle, imprevedibile, sessualmente ossessionata, era davvero inarrestabile, mentre l’oggetto, Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), non era certo insormontabile. Il film, per ammissione dello stesso regista, è una storia d’amore (platonica e intellettuale) tra due omini complementari: da una parte Freddie, che esercita il potere e la libertà su se stesso oltre la soglia dell’autocontrollo, esprimendo la propria forza in un’esplosione contro la società che lo contiene, ma non lo può comprendere; dall’altra Lancaster Dodd, che trova il proprio potere negli altri, a partire dalle proprie capacità sociali di demagogo, e la propria forza dalla collettività che riesce a controllare grazie a un innegabile carisma.
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Cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Lo distrugge, si direbbe da finale di The Master, l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, perché quella forza, Freddie Quell (Joaquin Phoenix), ubriaca, folle, imprevedibile, sessualmente ossessionata, era davvero inarrestabile, mentre l’oggetto, Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), non era certo insormontabile. Il film, per ammissione dello stesso regista, è una storia d’amore (platonica e intellettuale) tra due omini complementari: da una parte Freddie, che esercita il potere e la libertà su se stesso oltre la soglia dell’autocontrollo, esprimendo la propria forza in un’esplosione contro la società che lo contiene, ma non lo può comprendere; dall’altra Lancaster Dodd, che trova il proprio potere negli altri, a partire dalle proprie capacità sociali di demagogo, e la propria forza dalla collettività che riesce a controllare grazie a un innegabile carisma.
In un facile paragone con il suo film precedente, il petroliere di Daniel Day-Lewis si collocherebbe a metà tra i due personaggi che formano il dittico di The Master, perché lui soggioga col denaro, Dodd con la religione e c’è poi Freddie, che è incontrollabile e perciò riesce a sfuggire ad ogni giogo. I tre personaggi sviluppano un istinto di sopravvivenza sociale che si concretizza in una forma attiva o passiva di dominazione, cioè dominando gli altri o facendo in modo di non essere dominati. Non è un caso poi che, in ultima analisi, Freddie rifiuti il Culto e, vivendo di soli istinti incontrollati e guardando il mondo con occhi contemplativi ma non empatici (come attraverso l’obbiettivo di una macchina fotografica), riesca a liberarsi dalla setta completamente, a differenza di ogni altro individuo che ne rimane assuefatto e controllato. Che un folle sia uno dei pochi che riesca a riemergere all’ipnosi sociale di Dodd è un’esplicita provocazione di Anderson.
La setta poi, letta come metafora dell’architettura del potere, contiene moltissimi adepti, ma lo sguardo si concentra solo sui tre personaggi che ne vivono al di fuori: il Maestro padre, sua moglie (che sembra colei che davvero ne tiene le redini) e il figlio Freddie; tutti ne sfruttano i vantaggi e ne rimangono distanti, quasi come se essi, inizialmente, non credano davvero in ciò che il Culto predica, come se il potere sia tale solo per chi ne è sottomesso, mentre per chi ne ha il controllo è solo un contenitore di anime.
Allora ci viene mostrata la moglie di Lancaster Dodd, Mary Sue (come Maria, cioè la Madre), che, distaccata e risoluta, dà a Freddie della causa persa, poiché non vuole farsi curare, e se ne allontana, quando invece Dodd, che ha ripetuto le proprie elegie abbastanza a lungo per iniziare a crederci e finisce per diventare lui stesso uno dei tanti adepti, tenti un ultimo approccio di riconciliazione, e non in nome della causa, ma per conto solo di se stesso. Freddie però lo abbandona e se ne va.
Si capisce allora come tutta quanta la setta, e il maestro specialmente, non sia altro che un enorme atto masturbatorio, dove (come una scena esplicita) il membro è quello di Dodd, ma le mani sono quelle della moglie, esaurendosi così in un gesto tanto piacevolmente compiaciuto quanto inutile se non riesce a fecondare con un’idea neppure la mente, apparentemente fragile, di Freddie. Scopriamo che il vero antagonista è proprio Mary Sue, mentre Dodd, per cui l’attributo "maestro” sembra ironico al termine della pellicola, è invece l’alleato,l’amico, il fratello, il padre e l’amante deluso, distrutto, incapace, come chiunque altro, di domare Freddie, una forza inarrestabile.
Chi sottolinea la mancanza di una trama robusta ha ragione, ma l’attenzione è sempre alta grazie ad una tensione intellettuale (ed erotica) costante, che diventa una suspense talvolta insopportabile ogni volta che Freddie (interpretato da uno Joaquin Phoenix indimenticabile) è in scena: i suoi occhi mostrano un’energia incatenata ma sempre pronta ad esplodere e lo spettatore trema nel’immaginare dove andrà a finire, come nella straordinaria scena dell’interrogatorio, quando si ha l’impressione di fissare per tre minuti una diga pronta a crollare. Il tutto è poi condito da una regia attenta, una fotografia notevole ed una colonna sonora tanto calzante da diventare indispensabile. The Master non è un film semplice né un film per tutti, ma non potrebbe essere altrimenti.
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[+] "robusta", scelta esatta
(di hernan)
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pressa catozzo
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lunedì 7 gennaio 2013
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sette e religione
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Un opera fatta di inquietudine, rasenta la complessità della mente e la ricerca del superiore. Un film che farà discutere. Si può vedere ogniuno troverà quello che gli interessa.
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8obby
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lunedì 7 gennaio 2013
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noioso
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Due grandi attori e due ottime interpretazioni ma sinceramente un film senza un minimo istante di enfasi, forse non sono stato in grado di comprenderlo, ma sinceramente ho faticato per arrivare alla fine, sperando in un qualcosa che potesse farlo decollare prima o poi, ma inutilmente.
Lo sconsiglio vivamente
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