phileas fogg
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venerdì 8 febbraio 2013
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un film che racconta due persone
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Perchè questo film merita di essere visto? Sicuramente per le ottime interpretazioni dei due protagonisti Philip Seymour Hoffmann e Joaquin Phoenix. In effetti ruota tutto intorno a loro, ai personaggi cui danno vita e al loro controverso rapporto. E si tratta di un film che più che una storia racconta delle persone. Personalmente ho trovato straordinaria l'interpretazione di Joaquin Phoenix, capace di creare, con Freddie un personaggio disperato che cerca, malamente, di sopravvivere nella quotidianità dopo aver abbandonato il trauma e l'eccezionalità della guerra al fronte, cercando di trovare un senso a una vita ordinaria che di senso non ne ha, e riesce a trovarlo, almeno per un periodo, solo quando la sua strada si incrocia con quella del maestro Dodd/Hoffmann.
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Perchè questo film merita di essere visto? Sicuramente per le ottime interpretazioni dei due protagonisti Philip Seymour Hoffmann e Joaquin Phoenix. In effetti ruota tutto intorno a loro, ai personaggi cui danno vita e al loro controverso rapporto. E si tratta di un film che più che una storia racconta delle persone. Personalmente ho trovato straordinaria l'interpretazione di Joaquin Phoenix, capace di creare, con Freddie un personaggio disperato che cerca, malamente, di sopravvivere nella quotidianità dopo aver abbandonato il trauma e l'eccezionalità della guerra al fronte, cercando di trovare un senso a una vita ordinaria che di senso non ne ha, e riesce a trovarlo, almeno per un periodo, solo quando la sua strada si incrocia con quella del maestro Dodd/Hoffmann. Questo personaggio, pensato pare sul modello del fondatore di Scientology, emerge come l'altra faccia della medaglia. Là dove Freddie è un fallito, perchè non riesce a dare un senso alla vita, il Maestro emerge come uno che è riuscito a farcela, attraverso l'elaborazione di una ideologia di vita che da personale è diventata addirittura comunitaria, coinvolgendo la propria famiglia e diffondendosi negli Stati Uniti attraverso stuoli di seguaci. E poco importa, agli occhi del maestro (e qui viene da chiedersi se ci è o ci fa) se questa ideologia di vita si basa su null'altro che le proprie capacità di comunicazione e improvvisazione e sul bisogno della gente di credere in qualcosa.
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guglielmo cioni
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mercoledì 6 febbraio 2013
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... sleepy...
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Una storia di cui si fa fatica a capire le moltepici sfaccettature. E' come se ogni momento iniziasse un nuovo capitolo che poi non arriva a compimento perchè ne deve cominciare un altro. Avrei voluto poterlo seguire meglio, pero' mi addormentavo troppo spesso...
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dreamers
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lunedì 4 febbraio 2013
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la predica e il deserto
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"Non me ne potrebbe fregare di meno", "Eppure questa storia mi appartiene". Non capita spesso di assistere a un film che ti faccia così ondeggiare tra la più disarmata indifferenza e il più profondo, partecipe interesse. Il fascino di "The master" è un po' quello del suo stesso protagonista: un leader capace di catturare anime come fossero trofei di caccia quanto di respingerle, metterle in fuga, offenderle nella loro fiduciosa attesa. Se il volto del film meno accattivante, se non a volte persino insopportabile, trova espressione in forme storicamente indigeste: troppi dialoghi e poche azioni, vicende biografiche di personaggi remoti, totale assenza di colpi di scena; il suo appeal affiora per vie assai più inusuali, quasi ineffabili.
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"Non me ne potrebbe fregare di meno", "Eppure questa storia mi appartiene". Non capita spesso di assistere a un film che ti faccia così ondeggiare tra la più disarmata indifferenza e il più profondo, partecipe interesse. Il fascino di "The master" è un po' quello del suo stesso protagonista: un leader capace di catturare anime come fossero trofei di caccia quanto di respingerle, metterle in fuga, offenderle nella loro fiduciosa attesa. Se il volto del film meno accattivante, se non a volte persino insopportabile, trova espressione in forme storicamente indigeste: troppi dialoghi e poche azioni, vicende biografiche di personaggi remoti, totale assenza di colpi di scena; il suo appeal affiora per vie assai più inusuali, quasi ineffabili. E' un fascino ancestrale, preonirico, irrazionale quello che qui emerge da una dinamica di coppia non poi così frequente sul grande schermo: allievo/maestro, cavia/studioso, apostolo/predicatore... Sono un po' questi i profili che il film traccia con linee molto sottili eppure precise, nitidissime. Trovarsi sul loro confine è spiazzante e intrigante insieme. Un po' come risvegliarsi improvvisamente nel deserto, guidati da una voce che riempiendo il silenzio ne sottolinea la sua disumana vastità.
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jaylee
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domenica 3 febbraio 2013
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il culto del business
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È sempre stato un mistero come mai il culto di Scientology non fosse mai stato preso in considerazione per una pellicola, anche se la presenza all’interno di essa di figure molto potenti ad Hollywood (come ad esempio Tom Cruise e, fino a poco tempo fa, John Travolta) è probabilmente stato un forte deterrente. Non a caso, ci ha pensato un vero e proprio cane sciolto come Paul Thomas Anderson (che peraltro aveva dato allo stesso Cruise una delle sue migliori interpretazioni di sempre in Magnolia) a darne una versione –anche se con nomi diversi- con The Master, ripercorrendone i primi passi dal 1950 in poi, dallo status di movimento elitario-intellettuale fino al passaggio a movimento di massa.
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È sempre stato un mistero come mai il culto di Scientology non fosse mai stato preso in considerazione per una pellicola, anche se la presenza all’interno di essa di figure molto potenti ad Hollywood (come ad esempio Tom Cruise e, fino a poco tempo fa, John Travolta) è probabilmente stato un forte deterrente. Non a caso, ci ha pensato un vero e proprio cane sciolto come Paul Thomas Anderson (che peraltro aveva dato allo stesso Cruise una delle sue migliori interpretazioni di sempre in Magnolia) a darne una versione –anche se con nomi diversi- con The Master, ripercorrendone i primi passi dal 1950 in poi, dallo status di movimento elitario-intellettuale fino al passaggio a movimento di massa.
In realtà lo scopo di Anderson non è tanto quello di narrare un trattato su cosa sia Scientology, sulle effettive basi su cui poggia il Culto (come viene chiamato all’interno del film), quanto di capire le motivazioni che hanno spinto molti individui verso le idee di uno scrittore di fantascienza (L. Ron Hubbard, nel film il personaggio di Lancaster Dodd, interpretato da Philip Seymour Hoffman), evolutosi in psicoterapeuta autodidatta, poi in patriarca di una setta inizialmente diffusa localmente, poi a livello mondiale.
Lo fa attraverso gli occhi di Freddy Quell (Joaquin Phoenix), veterano traumatizzato della Seconda Guerra Mondiale: alcolizzato, ossessionato dal sesso, passa di lavoro in lavoro, finché incontra Lancaster Dodd, che lo prenderà sotto la sua ala protettrice fino a farne un seguace. I due sviluppano un rapporto quasi padre-figlio, con la moglie di Dodd (una superba Amy Adams, glaciale e pragmatica first lady) a completare il trio familiare. Quello che in realtà colpisce della visione di Anderson, è che il Culto si sviluppa consapevolmente (con forse l’eccezione dello stesso Dodd) nella piena consapevolezza di quanto siano vuote e incoerenti le idee del fondatore, ma siano di fatto sostenute dai seguaci né più né meno come fossero un business, un’azienda intenta a reclutare e fidelizzare clienti sui propri prodotti (libri, sedute “terapeutiche”, eventi…). Allo stesso modo, Freddy non si comporta come un fedele, ma piuttosto come un figliol prodigo che vive in un lungo sogno, intervallato da momenti di lucidità (dove, di fatto, tende a scappare) e sostanzialmente plagiato, ma consapevole allo stesso modo in cui lo sono i suoi Maestri. Crede ciecamente senza capire veramente. In un certo senso, rappresenta quell’America (non a caso il primo post-Conflitto Mondiale, periodo di sbandamento collettivo dopo un unità di intenti naturale come quello di vincere una Guerra), disposta a credere a tutto, pur di appartenere a qualcosa. Non che la storia non sia ciclica, o si tratti di situazioni limitate agli Stati Uniti: in periodi di crisi, emergono i Leader del Domani. Positivi o negativi che siano, Leader; e moltitudini che desiderano essere guidate fuori dall’incertezza.
The Master può vantare recitazioni di livello straordinario, con un Phoenix emaciato e in bilico tra l’oblio e la rabbia, ed un Hoffman magnetico, bugiardo e dal sorriso accogliente come una tagliola. Quello che invece non convince è la trama: il film rimane sempre a metà tra il raccontare la storia di uno sbandato e le origini di un Movimento, ma senza approfondire nessuno dei due in modo soddisfacente. Lo sviluppo della narrazione appare casuale, più una sequenza di scene che effettivamente qualcosa di organico. Ce ne sono di alcune molto interessanti (la scena finale tra Dodd e Quell, o quelle di esperimenti nelle case di alcuni seguaci), con dialoghi altrettanto significativi, ma complessivamente anche molte che lasciano perplessi (le domande che suscitano: e questo cosa significa? Perché mi viene detto questo?). Per tanti versi, The Master ricorda il Petroliere (ultima fatica di P.T. Anderson), con una terra dove religione e business hanno confini labili, personaggi carismatici, epopee legate a momenti storici passati; ma a differenza dell’altro, fallisce nel creare una narrazione coerente. Con una domanda spontanea che sorge alla fine: e quindi? (www.versionekowalski.it)
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erinna78
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mercoledì 30 gennaio 2013
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palloso
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Il film annoia purtroppo, ad un certo punto non vedi l'ora che finisca
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meres
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venerdì 25 gennaio 2013
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la debolezza della mente umana
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Grandissima interpretazione dei due attori principali ,la tematica del film lascia lo spettatore alla fine del film con un senso di vuoto ,forse per il motivo che da noi le sette americane post seconda guerra non interessarono più di tanto, rimarcato ancora una volta che in America i reduci non sono sempre ben accetti soprattutto se tornano con dei problemi mentali cosa che si è ripetuta nel corso degli anni con le successive guerre . Il film comunque sotto l'aspetto cinematografico e' molto valido.
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flaw54
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giovedì 24 gennaio 2013
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ma da dove nascono i giudizi dei critici?
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La visione di questo film ( ma forse non può definirsi tale ) mi ha lasciato esterrefatto: qual è il senso della storia ? Che cosa vuol trasmetterci il regista ? Indubbiamente le risposte sono difficili soprattutto con la mente obnubilata da due ore e passa di visioni senza senso. Due ottimi attori che gigioneggiano, ricoprendo in realtà ruoli così particolari da risultare anche fondamentalmrente facili. Ma dove sta il senso di un film basato sull' assurdo personaggio di Phoenix ? Il film termina senza lasciarci niente anzi facendo nascere in noi molti dubbi su un effettivo messaggio da parte del regista. Anche la libertà di critica ha un limite e definire quest' opera un capolavoro è sicuramente sconcertante.
[+] il cinema non è per lei
(di ilvaras)
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ilaria appetecchia
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martedì 22 gennaio 2013
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e se fosse un bluff...
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Film pluripremiato, plurinominato, plurirecensito; eppure The Master è quasi un bluff.
Un reduce della seconda guerra mondiale, disadattato, mezzo alcolizzato e sessuomane, Freddie Sutton (Joaquin Phoenix), in una circostanza casuale quanto confusa s’imbatte nel maestro-filosofo-scienziato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman). Questo è a capo di una comunità quasi interamente composta dalla sua numerosa e pallida famiglia, ed è convinto che potrà prendersi cura di Freddie grazie alle sue innovative tecniche di riabilitazione a metà strada fra l’iponosi, la metempsicosi, la magia, la sua prepotente personalità.
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Film pluripremiato, plurinominato, plurirecensito; eppure The Master è quasi un bluff.
Un reduce della seconda guerra mondiale, disadattato, mezzo alcolizzato e sessuomane, Freddie Sutton (Joaquin Phoenix), in una circostanza casuale quanto confusa s’imbatte nel maestro-filosofo-scienziato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman). Questo è a capo di una comunità quasi interamente composta dalla sua numerosa e pallida famiglia, ed è convinto che potrà prendersi cura di Freddie grazie alle sue innovative tecniche di riabilitazione a metà strada fra l’iponosi, la metempsicosi, la magia, la sua prepotente personalità. Il riferimento culturale sembra rimandare a L. Ron Hubbard fondatore di Scientology. La setta para-esoterica assai diffusa in America e molto frequentata dai vip di Hollywood.
Il percorso di vicinanza e di riabilitazione fra questi due uomini molto diversi (ma forse simili?) comincia. Come va a finire? Non si capisce bene. Questa la sostanza della trama, sciorinata dal regista Paul Thomas Anderson in una sceneggiatura (firmata da lui stesso) sconclusionata, pretenziosa, confusa. Moltissimi gli esercizi critici sulla ricerca del significato recondito di The Master: un’allegoria della storia americana, un film sulla solitudine umana, una rappresentazione della dialettica servo-padrone-vittima-carnefice. Nessuna interpretazione sarà mai defintiva. La sensazione prevalente consegnata allo spettatore è tuttavia la noia mortale. Una narrazione inutilmente frammentata, lenta, incoerente. Ma ciò che più disturba è il deficit clamoroso dell’idea da raccontare; più banalmente è la mancanza della storia. Tale inconsistenza emerge in modo quasi plastico proprio perché affidata ad un impianto tecnico e attoriale di livello eccelso. In questa dissociazione fra forma e sostanza sta l’effetto bluff di The Master. Le gigantesche interpretazioni di Phoenix e Hoffman, enfatizzate da primi piani quasi invadenti, appaiono perfino leziose, sprecate, proprio perché rimangono sospese nel vuoto, non potendo agganciarsi ad un convincente profilo psicologico ed umano dei personaggi.
Nei fotogrammi finali quasi stufano. Il film non merita davvero la fama che lo ammanta.
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ale01
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martedì 22 gennaio 2013
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perplessa
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Senza parole. Un film che mette addosso un ansia pazzesca mentre lo guardi.Tutti bravissimi gli attori, uno sforzo degli autori per creare un interpretazione artistica nell'analizzare astrattamente la personalità complessa di un personaggio come R Hubbard ma ,fai fatica a vederlo fino in fondo per i sentimenti contrastanti che hai mentre provi a capire lo sviluppo narrativo delle presonalità di questi due uomini così antitetici e così attratti l'uno dall'altro nella trama. Un pugno allo stomaco.
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fedei
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lunedì 21 gennaio 2013
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lunghissimo e lentissimo
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Colpisce solamente per raccontare temi già visti, con la sola novità di una lunghezza e di una lentezza fastidiosi
Era parecchio che non mi capitava di vedere persone uscire dalla sala prima della fine.
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