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Cars 2, i motivi di un insuccesso

Sotto pressione John Lasseter e la Pixar.
di Marco Consoli


giovedì 7 luglio 2011 - Making Of

Alla fine della sua corsa un po' affannosa al botteghino, Cars 2 probabilmente finirà in coda nella classifica degli incassi targati Pixar. La delusione per il mancato trionfo potrebbe celare un motivo di crisi più profonda, che va ben oltre l'episodica mancanza d'ispirazione dopo quindici anni di successi ininterrotti. "Da qualche tempo i creativi e i tecnici della società di John Lasseter sono sotto pressione", ha rivelato il direttore delle strategie industriali Bill Polson, in un incontro tenutosi all'FMX di Stoccarda.
Il fatto è che da cinque anni a questa parte la Pixar è passata dal produrre circa un lungometraggio ogni due anni a realizzarne uno all'anno. Tale strategia, oltre a necessitare l'assunzione di sempre più personale (e infatti il 9 maggio scorso è stata inaugurata la nuova sede, accanto a quella di Emeryville), richiede un'organizzazione del lavoro sempre più affastellata. Se le fasi in cui si crea un cartoon digitale, come ha raccontato Polson, sono quattro e prendono circa un anno ciascuna, è chiaro che dopo quattro anni si entra in un vero e proprio caos, con quattro pellicole in fase di lavorazione. In contemporanea negli studios si svolgono, dunque, diversi momenti produttivi: un team si trova nella prima fase, quella in cui l'idea viene esplorata sia a livello di sceneggiatura sia della tecnologia utile a portarla sullo schermo, si tratti del pelo dei mostri, delle squame dei pesci o della carrozzeria della auto. Nella seconda fase si inizia a sperimentare il software necessario a portare a termine la sfida: per esempio nel caso di Cars 2 è stato necessario ripensare il sistema di illuminazione virtuale, per rendere convincenti i riflessi sui bolidi, aumentati e divenuti più complessi per il cambio di ambientazione, passata dal deserto di Cars alle piste internazionali del nuovo film. Poi c'è la fase tre in cui tutto inizia a funzionare, si procede con l'animazione e ci si avvia verso l'ultimo anno e fase di lavoro, in cui bisogna correre contro il tempo per finire la pellicola. Anche se alla Pixar si sono già salvati da gravi pasticci quando, ai tempi di Toy Story 2, arrivati alla seconda fase, hanno dovuto ricominciare da capo perché la storia non funzionava e il film rischiava di far colare a picco la società, mai prima d'oggi la produzione era stata tanto complicata: il sovrapporsi di questi quattro "step" porta con sé il problema dell'impossibilità per lo stesso team (salvo il regista e le figure chiave) di seguire un progetto dall'inizio fino al suo compimento, come avveniva ad esempio quando tra un film e l'altro passavano anche diversi anni. Inoltre non è possibile sfruttare in tempi rapidi i progressi tecnologici conseguiti per una pellicola per quella successiva, che già si trova in una fase troppo avanzata di sviluppo. Ne consegue che la Pixar sarà sempre più costretta, anche dalle logiche di mercato, ad aumentare il numero dei sequel e a rischiare meno, per ammortizzare i costi, tecnologici e umani, dello sviluppo dei software: non a caso sono già in previsione Monsters & Co. 2 e Toy Story 4.
Ulteriori problemi arriveranno con gli impegni esterni da produttori o consulenti creativi in film live action: la società di John Lasseter, che sta fornendo aiuto a Andrew Stanton con il suo John Carter, ha creato i titoli di testa di Mission Impossible – Ghost Protocol di Brad Bird e dovrebbe produrre anche 1906 sul terremoto di San Francisco. E non è facile immaginare se con la crescita che ha portato Pixar a rimpiazzare per numero di film prodotti la Disney si è fusa, in futuro ci sarà spazio per quell'audacia creativa mostrata in lavori come Wall-E o Up. Noi tutti ce lo auguriamo.

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